Famiglie transnazionali: dall’Italia all’Europa

La condizione delle famiglie che vivono separate a seguito del processo migratorio riguarda sempre più persone. Ma in Europa il fenomeno rimane pressoché sconosciuto. Un convegno ha contribuito ora a parlarne

15/05/2014, Cristina Bezzi -

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(flickr/Massimiliano)

Nella giornata internazionale della famiglia, lo scorso 9 maggio si è tenuto alla sala del Mappamondo presso la Camera dei deputati il convegno: "La famiglia nel processo migratorio tra distanze e ricongiungimenti", promosso dall’onorevole Khalid Chaouki, Presidente della Commissione Cultura dell’AP-UpM (Assemblea Parlamentare Unione per il Mediterraneo) su iniziativa  dell’associazione donne romene in Italia ADRI e con la collaborazione della Onlus Soleterre.

Il convegno ha rappresentato un momento importante di dialogo tra società civile e politica che ha portato in una sede istituzionale prestigiosa un tema attuale e importante quale quello della famiglia nel processo migratorio. Il dibattito ha portato alla luce una moltitudine di elementi legati a questo tema, quale la femminizzazione della migrazione, la condizione di benessere e i diritti dei lavoratori domestici, le conseguenze sul welfare state nei paesi di origine e sullo stato sociale delle famiglie delle donne migranti, la necessità di intervenire con politiche di welfare transnazionale a supporto delle famiglie divise dalla migrazione, il diritto alla mobilità sociale, all’unità familiare e al ricongiungimento familiare.

Non è mancato l’atteggiamento critico nei confronti di quanto ancora deve essere fatto ma allo stesso tempo si è inteso evidenziare alcuni passaggi importanti raggiunti dall’Italia, primo paese in Europa per numero di ricongiungimenti familiari e primo paese a ratificare la convezione ILO 189/2011 sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici.

“Quando si parla di immigrazione” ha osservato Natale Forlani, direttore generale dell’immigrazione del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, “non si parla mai di famiglia e tanto meno si riflette su quello che accade alle famiglie di origine dei migranti che lavorano in Italia. E’ importante in primo luogo farsi carico dei nuclei familiari di immigrati che vivono in Italia e che sono parte della nostra comunità e che in questo momento stanno precipitando nella povertà e in secondo luogo è necessario conciliare la libera circolazione con una buona gestione di politica del lavoro e studiando delle formule contrattuali che consentano alle lavoratrici domestiche dei periodi di ritorno in patria”.

Famiglia e migrazione: la dimensione transnazionale

Come ha sottolineato Alessandro Baldo direttore di Soleterre, difficilmente i termini famiglia e immigrazione vengono pensati assieme, nella maggior parte dei casi quando si parla di immigrazione si tende pensare a degli individui che migrano soli, mentre nella quasi totalità dei casi la migrazione è un progetto famigliare all’interno del quale un membro accetta il mandato familiare e migra con la volontà e l’obiettivo di sostenere la famiglia di origine.

Negli ultimi decenni la femminizzazione dei flussi migratori ha visto numerose donne partire come prime migranti, richiamate dalla crescente domanda nel settore della cura domiciliare, che nel 75% dei casi lasciano i propri figli nel paese di origine. Donne provenienti principalmente dall’Est Europa, che sostengono altre donne, quelle italiane, nei lavori domestici e di cura, permettendo loro di conciliare vita lavorativa e vita famigliare ma per cui allo stesso tempo questa conciliazione diventa impossibile a causa della distanza dalla propria famiglia d’origine. Questa situazione determina inoltre pesanti ricadute negative sui sistemi di welfare e sullo stato sociale delle loro famiglie.

E’ necessario dunque tenere in considerazione le difficoltà affrontate da queste donne, il cui contributo alla gestione della vita delle famiglie italiane è prezioso, per non cadere in un’ottica utilitarista nei confronti dei migranti spesso percepiti unicamente come risorsa lavorativa.

Baldo ha ribadito l’importanza di leggere questo fenomeno nella sua complessità transnazionale tenendo conto che il processo della migrazione familiare riguarda tutti e due i paesi ai poli del processo migratorio e progettando delle politiche di welfare transnazionale a patire anche dai paesi di origine dei migranti.

E’ quanto Soleterre si impegna a fare già da otto anni attraverso attività e servizi a sostegno delle famiglie interessate al processo migratorio sostenendole nella gestione delle relazioni a distanza, nei ricongiungimenti familiari così come nei rientri in patria. L’Italia inoltre, ha auspicato Baldo, potrebbe diventare capofila in Europa nella promozione di politiche di welfare trasnanzionale sempre più necessarie.

La necessità di intervenire con un sistema di servizi bilaterali è stata ribadita anche da Franco Aloisio, presidente del CIAO, secondo cui se da una parte la libera circolazione è un diritto sacrosanto, dall’altra può produrre degli effetti perversi che le persone si trovano poi a gestire da sole. “I rapporti molto intensi tra Romania e Italia sono evidenti se si pensa che quasi un milione di romeni vive in Italia e quasi trentamila aziende italiane lavorano in Romania, tuttavia quando si parla di relazione tra i due paesi si tende a mettere in luce gli aspetti macro-economici dimenticandosi che invece esistono anche dei rapporti sociali. Uno degli obiettivi del CIAO è proprio fare emergere anche questi aspetti convinti che la società civile, essendo la componente sociale che per prima entra in contatto con i problemi delle persone, ha il dovere e la responsabilità di informare le istituzioni quando questi problemi sono ancora in stato embrionale.”

Ne siamo tutti vittime

La “società tutta è la vera vittima”, sostiene Silvia Dumitrache presidente di ADRI, “non solo le madri e i bambini che evidentemente stanno pagando il prezzo più alto, perché quando la famiglia non sta bene, vive distante e si disgrega è tutta la società che soffre; per questo è importante occuparsi delle famiglie e prendersi cura di queste madri che crescono ed educano i futuri membri della società.”

L’associazione da anni sostiene in modo volontario il progetto Te iubeste mama, la mamma ti vuole bene, un progetto di sostegno alla genitorialità a distanza che aiuta mamme e bambini romeni a rimanere in contatto e comunicare nonostante la distanza attraverso i nuovi mezzi di comunicazione. Un dialogo che spesso viene interrotto con il processo migratorio e le cui conseguenze sono molto pesanti sia per chi parte sia per chi rimane, tanto che alcuni psicologi hanno introdotto il concetto di Sindrome Italia, per descrivere una forma grave di depressione che colpisce molte donne impiegate in Italia come assistenti domiciliari e i loro figli che in alcuni casi sono arrivati al suicidio.

Occuparsi dei figli di un’altra famiglia mentre i propri sono a chilometri e chilometri di distanza è una situazione molto dolorosa e difficile da sopportare. Una situazione che riguarda molte donne romene così come quelle di altre nazionalità ricorda Silvia ringraziando l’onorevole Khalid Chaouki per la sensibilità nell’accogliere la sua “richiesta d’aiuto” e dando la possibilità di esporre i problemi e la voce delle numerose donne coinvolte nel processo migratorio in una sede istituzionale.

Le famiglie transnazionali: dall’Italia in Europa

Paola Panzeri, policy officer della confederazione COFACE, nel suo intervento ha sottolineato che in Europa il tema delle famiglie transnazionali e delle donne migranti è un tema che riguarda sempre più persone ma che è quasi ignorato. Il tema dell’immigrazione all’interno delle politiche europee tende a seguire secondo le analisi di COFACE due trend, quello della defamiliarizzazione del migrante che viene percepito come individuo slegato da qualsiasi rete sociale e familiare e quello dell’utilitarismo per cui il migrante viene considerato solo in quanto utile a riempire vuoti all’interno del mercato del lavoro.

“Tuttavia – ha affermato Panzeri – è importante guardare all’Europa non solo come a fonte di finanziamenti ma anche ricordare che l’Europa siamo noi e pensare quindi a che cosa possiamo fare noi per fare in modo che le istituzioni europee assomiglino sempre più a quello che noi vogliamo che siano. In questo senso – ha suggerito – il semestre di presidenza italiana del consiglio dell’Unione europea può rappresentare un’opportunità per far sentire la propria voce in termini di società civile su alcuni dei temi di cui si è discusso durante il convegno.”

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