Kosovo: chi al governo e chi all’opposizione?

E’ stata una settimana intensa per il Kosovo quella seguita alle politiche dello scorso 8 giugno. Nonostante la vittoria del Pdk del premier uscente Thaçi sono state le opposizioni a trovare tra loro un accordo per un eventuale governo. Ma si rischia di dover tornare alle urne

13/06/2014, Violeta Hyseni Kelmendi - Pristina

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(flickr/Alan Levine)

Mentre continua il conteggio delle schede, inclusi i voti a distanza, i partiti politici del Kosovo sono ai ferri corti. Motivo del contendere: il diritto a governare il paese nei prossimi quattro anni. Col 99,8% delle schede scrutinate, il Partito democratico del Kosovo (PDK) del premier Hashim Thaçi si conferma come primo partito. Il 31% delle preferenze raccolte, però, non permette al PDK di creare autonomamente un nuovo governo.

Nel frattempo, i partiti di opposizione hanno trovato un accordo per creare una coalizione con l’obiettivo di dare vita ad un nuovo – ed alternativo – esecutivo. La Lega democratica del Kosovo (LDK), l’Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK) e il nuovo movimento NISMA, creato da un’ala ribelle del PDK, sostengono di avere i 61 voti in parlamento necessari per votare la fiducia ad un nuovo governo, il cui leader dovrebbe essere Ramush Haradinaj.

Haradinaj già primo ministro nel 2005, fu costretto a dimettersi solo tre mesi dopo essere entrato in carica a causa del processo intentatogli dal Tribunale dell’Aja per crimini di guerra, accuse poi non confermate in aula. L’opposizione ha dichiarato che l’obiettivo è “dare al Kosovo un governo che possa far rinascere la speranza”. L’accordo a tre è sostenuto anche dal movimento “Vetevendosje” (“Autodeterminazione”), l’attore più radicale della scena politica kosovara, giunto terzo nelle elezioni dell’8 giugno.

Il Pdk non ci sta

L’accordo ha provocato forte condanna da parte del PDK: il partito sostiene di avere diritto a formare il governo come prima forza politica emersa dal voto popolare. I leader democratici hanno definito l’intesa raggiunta dall’opposizione come anticostituzionale, e hanno minacciato di sottoporre il caso alla Corte costituzionale.

“E’ un’evidente violazione della Costituzione, e un chiaro tentativo di alzare la posta nei negoziati politici col nostro partito”, ha dichiarato il vice-premier e vice-segretario del PDK Hajredin Kuci. Secondo il testo costituzionale kosovaro “in seguito ad elezioni il Presidente della Repubblica propone al parlamento un candidato premier, dopo consultazioni con il partito politico o con la coalizione che dispone della maggioranza necessaria in Assemblea nazionale per creare il governo. Un governo viene considerato eletto quando riceve un voto di fiducia nel parlamento del Kosovo”.

Differenti interpretazioni del dettato costituzionale non dividono solo le forze politiche, ma anche esperti ed analisti politici. In ogni caso, fino alla chiusura ufficiale dello spoglio, nessuna forza politica ha diritto ad intraprendere passi concreti per la formazione del governo. E non è escluso che l’attuale crisi possa riportare in fretta i cittadini kosovari alle urne.

La notte elettorale

La notte elettorale aveva visto il premier uscente Thaçi dichiarare la vittoria, proprio sulla base del 31% dei consensi ottenuti dal PDK. Al secondo posto si è attestato l’LDK col 26%, seguito da “Vetevendosje” col 14%. Rivolgendosi a migliaia di sostenitori a poche ore dalla chiusura dei seggi, Thaçi aveva promesso di portare avanti l’implementazione dell’ambizioso programma elettorale del partito, ribattezzato “La nuova missione”. Il piano prevede investimenti per 1,5 miliardi di euro, 200mila nuovi posti di lavoro in quattro anni, in un paese che oggi conta il 35% di disoccupazione e dove il 12% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema.

“Mostreremo al mondo che l’indipendenza del Kosovo è stata solo l’inizio, e non la fine”, aveva continuato Thaçi. “Abbiamo chiuso con successo due capitoli importanti: l’indipendenza e l’ottenimento della libertà. Ora dobbiamo vincere la prossima battaglia: quella per lo sviluppo economico, la creazione di nuovi posti di lavoro e di migliori condizioni di vita”. Secondo molti economisti, però, il PIL del Kosovo dovrebbe crescere in modo spettacolare per molti anni per rendere possibile il programma pre-elettorale del PDK.

Poche settimane prima del voto, Thaçi ha aumentato gli stipendi del settore pubblico del 25%, promettendo di alzarli ancora ogni anno se rieletto. Al tempo stesso, le tasse universitarie sono state dimezzate. I partiti d’opposizione accusano però Thaçi di corruzione e cattiva gestione della cosa pubblica, e il PDK appare oggi isolato nella scena politica kosovara. Diversi leader del PDK sono inoltre sotto indagine da parte della Special Task Force dell’UE per accuse di presunti crimini di guerra.

Disillusione?

Le elezioni dell’8 giugno sono state caratterizzate da un calo dell’affluenza alle urne rispetto alle precedenti consultazioni, toccando appena il 43% degli aventi diritto. La scelta di molti elettori di disertare il voto sembra affondare le radici nella frustrazione di molti nei confronti della leadership politica del Kosovo, e dell’incapacità di dare risposte ai principali problemi del paese.

Quasi 30mila osservatori kosovari ed internazionali erano presenti sul terreno per impedire la ripetizione delle gravi irregolarità che macchiarono il processo elettorale nel 2010. La missione di osservazione elettorale dell’Unione europea ha dato un primo giudizio sostanzialmente positivo, definendo le elezioni 2014 come trasparenti e ben organizzate.

Per la prima volta dalla dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, la minoranza serba è stata invitata da Belgrado a prendere parte alle elezioni politiche, cambiamento avvenuto all’interno del processo di normalizzazione dei rapporti sponsorizzato dall’Unione europea. La risposta è stata però soltanto parzialmente positiva. La lista civica “Srpska”, fortemente legata al governo serbo, che di fatto ha diretto la sua nascita, ha ha raccolto il 4,2% dei voti, ma come previsto dalla costituzione potrà contare su 10 seggi (su 120) nel prossimo parlamento. Con lo scontro aperto tra PDK e opposizione sulla creazione dell’esecutivo, resta da vedere se e come la “Srpska” verrà invitata a far parte della prossimo governo.

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