La fase critica del Kosovo

I risultati ufficiali del voto dello scorso 8 giugno non vi sono ancora ma in Kosovo emergono spiragli di una maggiore dinamica democratica. La porta potrebbe però essere presto richiusa, anche con il contributo delle diplomazie occidentali. Un’analisi

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(flickr/Giulio Bernardi)

Il parlamento del Kosovo è composto da 120 seggi, di cui almeno 20 sono riservati alle minoranze. In seguito alle elezioni politiche dell’8 giugno scorso, i partiti che rappresentano le élite politico-economiche del paese hanno ottenuto – secondo risultati non definitivi ma considerati affidabili – 77 seggi. I partiti di minoranza, per lo più alleati con le stesse élite, hanno ottenuto 28 seggi. I restanti 15 sono andati all’unico partito di sinistra in Kosovo, Vetëvendosje, che si oppone fermamente sia alle élite che alle politiche di governance da esse costruite negli ultimi anni.

I partiti nati dalle élite sono il prodotto politico delle organizzazioni di potere (economico, militare, ma anche criminale) sorte nel paese per lo più dalle formazioni guerrigliere del 1998-1999. Nonostante si alternino frequentemente al potere, nel loro insieme hanno contribuito a dar forma all’attuale struttura politico-economica che ora soffoca le opportunità di sviluppo e da cui tutte, pur in diversa misura, traggono profitto.

Il partito Pdk del primo ministro Hashim Thaçi ha dominato questa struttura negli ultimi 7 anni, aumentandone l’inefficienza e intrecciando il suo stesso destino con quello delle istituzioni.

Equilibri di potere

Gli equilibri di potere tra le élite si possono così tratteggiare. Il Pdk ha ottenuto 33 seggi. Il suo alleato, Akr, non è riuscito a superare la soglia del 5% necessaria per entrare in parlamento. Un nuovo partito sorto da due fuoriusciti dal Pdk ha ottenuto 6 seggi. L’Ldk e l’Aak di Ramush Haradinaj, all’opposizione durante la legislatura precedente, hanno conquistato rispettivamente 28 e 10 seggi. Così stando le cose, Thaçi può contare su non più di 55-57 parlamentari: i 33 del Pdk e 20-22 delle minoranze. Per consolidare il proprio potere, Thaçi intendeva stringere alleanza con uno degli altri partiti, quello appena sorto, con l’Ldk oppure l’Aak. Tuttavia, quest’ultimi hanno anticipato le sue mosse formando una coalizione d’opposizione al Pdk. Questa decisione ha alterato significativamente gli equilibri e potrebbe portare il Kosovo verso una fase di criticità.

Se l’alleanza dovesse reggere, Thaçi potrebbe non riuscire a formare una squadra di governo. Tuttavia, anche se la coalizione sembra in grado di attrarre alcuni voti dagli schieramenti dalle minoranze, non ha i numeri necessari a formare un proprio governo senza l’appoggio della sinistra. Perciò al momento sono in corso colloqui per delineare le condizioni grazie alle quali Vetëvendosje fornirebbe sostegno esterno alla coalizione anti-Pdk.

Queste condizioni includono la lotta alla corruzione, la sospensione dei piani di privatizzazione in corso e la sospensione dei colloqui con la Serbia sul Kosovo del nord (sostenuti dall’Unione europea tramite un accordo di mediazione dell’aprile 2013), perché Vetëvendosje ritiene che la questione non vada toccata finché il Kosovo non godrà di una maggiore credibilità politica.

Prospettive migliori?

Questa alleanza è ben lungi dall’essere la guida ideale per il Kosovo. Ma un ricambio al governo, l’emergere di una frattura politica interna all’élite, la formazione di una coalizione bilanciata e non dominata da un solo componente e la sua dipendenza dall’appoggio esterno di Vetëvendosje, tutto questo contribuirà ad un panorama politico più aperto e pluralistico.

Questa dinamica potrebbe essere impercettibile in principio, ma può svilupparsi in futuro, specialmente se la comunità internazionale non dovesse opporsi ad essa nell’interesse di priorità a breve periodo, che riguardano principalmente l’implementazione dell’accordo sul Kosovo del nord.

Macchina predatoria

Tutto ciò potrebbe però rimanere solo una congettura: la porta che pare essersi aperta potrebbe venir in qualsiasi momento richiusa.

Se giudicato nei meriti, lo scopo di governo del Pdk non è consistito tanto nello sviluppo del Kosovo, quanto nell’accaparrarsi le sue risorse. A partire dal 2008 questo partito ha capeggiato un’orgia predatoria probabilmente con pochi precedenti nella storia recente. Ha potuto farlo perché ha mantenuto il parlamento debole, controllato le istituzioni che si supponevano indipendenti e anche una buona parte dei media: ad oggi il Kosovo non gode di un efficace sistema di bilanciamento dei poteri.

Questo implica anche che, una volta al governo, l’alleanza tenterà di mettere le mani sulla macchina predatoria del Pdk. La dipendenza da Vetëvendosje farà da contraltare a questo. Allo stesso tempo, i fedelissimi del Pdk saranno rimpiazzati da uomini dell’alleanza, che cercherà anche di sottrarre al Pdk influenza nel settore privato. La logica interna al sistema è tale che questo sovvertimento incontrerà scarsa resistenza. Coloro che si opporranno saranno combattuti con gli stessi strumenti di cui il Pdk si è dotato, ad esempio attraverso i pubblici ministeri, che il Pdk ha usato in passato per intimidire o colpire i propri nemici.

In altre parole, il sistema kosovaro è tale che chi perde le elezioni rischia di perdere davvero tutto. E il Pdk non cederà il potere senza combattere: dovrà essere sconfitto e la battaglia comincia ora.

Resistenza Pdk

Legittimamente, il Pdk ha già iniziato a muoversi per spezzare l’alleanza. Dovesse fallire, come sembra probabile, tenterà di arrivare ad elezioni anticipate, impedendo così all’alleanza di formare un governo e causando così uno stallo istituzionale. Con le nuove consultazioni, il Pdk cercherà di accaparrarsi più voti attraverso la manipolazione: è plausibile che il partito si stia tutt’ora mordendo le mani per aver accettato le richieste europee e americane e aver tenuto a freno la sua fraudolenta macchina elettorale durante la consultazione dell’8 giugno scorso.

L’ipotesi non è inverosimile. Per quanto rischiosa, risulta realistica in quanto il Pdk controlla tuttora le istituzioni. Ha la possibilità di influenzare gli arbitri del gioco – il presidente e la corte costituzionale – e ottenere così le elezioni anticipate. Può manipolare queste ultime perché controlla la commissione elettorale, il ministero degli Interni, la polizia, la magistratura e la maggior parte dei media. Ovviamente il Pdk potrebbe non influire a sufficienza sul risultato elettorale, o potrebbe agire in modo talmente grossolano da scatenare proteste, forse anche una sollevazione. Nonostante questo, tentare questa via sarebbe una soluzione razionale per il Pdk, di fronte all’idea di perdere completamente il potere.

Ipotesi elezioni anticipate

Concentriamoci ora sul primo passo di questo piano – ottenere elezioni anticipate – per poter verificare, nel corso delle prossime due o tre settimane, se il Pdk abbia davvero scelto la strada che ho fin qui delineato. Così fosse, i cittadini kosovari sanno cosa attendersi.

La costituzione permette soltanto due tentativi di formare un governo in seguito alle elezioni, dopo i quali il parlamento è sciolto e sono indette nuove elezioni: questo è il meccanismo che il Pdk intende sfruttare.

La questione ruota attorno a due disposizioni costituzionali, entrambe fortemente dibattute. La prima è che, dopo le elezioni, il presidente incarichi un primo ministro “con l’appoggio del partito o della coalizione che abbia ottenuto la maggioranza in parlamento” (articolo 95.1). La seconda indica che, se il primo candidato fallisce nel costruire una maggioranza, il presidente “incarica un altro candidato” (articolo 95.4). Se anche quest’altro fallisce, si va a nuove elezioni.

Il Pdk sostiene che il 95.1 fa riferimento solamente a coalizione pre-elettorali. L’alleanza sostiene il contrario. Ritengo che il Pdk sia nel giusto, sia per considerazioni testuali – la parola “ottenuto” sembra riferirsi a coalizioni pre-elettorali, non ad alleanze postume – sia per ragioni di sistema: questa disposizione sembra mirare al rispetto della volontà espressa dall’elettorato. Perciò il Pdk dovrebbe essere il primo ad essere incaricato di formare un governo. Per come stanno oggi le cose però, pare destinato al fallimento. Cosa succede dopo?

Il Pdk argomenta che il 95.4 indica che il presidente debba scegliere anche il secondo candidato nelle fila del partito o della coalizione che ha ottenuto il consenso elettorale più ampio. Questa argomentazione non ha alcun senso, sia per ragioni logiche – se ha fallito il candidato Pdk principale, perché un sostituto della stessa parte politica dovrebbe aver successo? – sia per ragioni sistematiche: poiché il presidente ha il dovere di assicurare la sopravvivenza del parlamento per l’interezza del mandato quadriennale, egli deve incaricare la persona che ritiene abbia più possibilità di ottenere una maggioranza, non una plausibilmente destinata al fallimento.

Sicuramente l’aggettivo utilizzato nel 95.4 – “incaricare un altro candidato” – indica che il secondo candidato non deve essere semplicemente un’altra persona, cosa di per sé ovvia, ma che possa rappresentare anche un’altra parte politica. Ne segue che il presidente nella situazione attuale non può incaricare una persona delle fila del Pdk come secondo candidato: così facendo violerebbe la costituzione. In teoria è libero di scegliere chiunque abbia possibilità di ottenere una maggioranza, ma l’esistenza della coalizione anti-Pdk lo priva nei fatti di questa discrezionalità perché, se l’alleanza regge, nessun altro che non sia l’alleanza sarà in grado di formare un governo. Al secondo tentativo, quindi, il presidente deve incaricare un loro candidato.

Un’altra disposizione è oggetto di dibattito in Kosovo. È l’articolo 84.14 della costituzione che, senza distinguere tra primo e secondo tentativo, stabilisce che il presidente debba incaricare un candidato al ruolo di primo ministro “dietro proposta del partito o della coalizione che detiene la maggioranza dell’Assemblea”.

Qualunque sia la minima differenza tra questo testo e il 95.1, tuttavia, rifarsi a questa disposizione per risolvere la questione sarebbe completamente errato in quanto l’articolo 84 non è nulla più che una lista dei poteri presidenziali, ciascuno dei quali fa riferimento ad altre disposizioni della costituzione in cui questi poteri sono regolati e limitati in dettaglio. L’articolo 84.14, quindi, non è altro che un riferimento ai poteri presidenziali definiti nell’articolo 95 e dovrebbe essere letto come “il presidente incarica il primo ministro come previsto dall’articolo 95”. Il testo dell’articolo 84.14 non è quindi vincolante e non rappresenta un’autentica disposizione: è più simile ad un elemento di un indice e non dice nulla su chi, oggi, debba essere indicato come primo ministro.

Ahi, la corte

In un recente saggio sui provvedimenti adottati dalla corte costituzionale del Kosovo, ho illustrato come i giudici membri e un precedente presidente abbiano mal interpretato un altro elemento dell’articolo 84 – il comma 9 della lista, attraverso il quale il presidente “può porre quesiti costituzionali alla corte costituzionale” – e come, in una successiva sentenza, la corte abbia chiaramente contraddetto se stessa su questo punto.

Nelle mani delle istituzioni kosovare però, l’articolo 95 potrebbe finire col significare ben altre cose rispetto a quanto realmente dice. Se il Pdk dovesse richiederlo, sia il presidente che la corte costituzionale – che è palesemente sottoposta alle élite, come sostengo nel saggio – sosterrebbero che anche il secondo mandato debba essere assegnato al Pdk. Se questo dovesse accadere, i cittadini del Kosovo sapranno che il Pdk ha avviato il piano prima delineato. Altro non sarebbe che una forma tenue di colpo di stato, contro la quale sarebbe legittimo attendersi un’adeguata risposta da coloro che hanno a cuore la democrazia di questo paese.

Segni

Un primo segno del fatto che il Pdk e il presidente si stiano preparando a questa mossa è emerso nei giorni scorsi, quando il presidente ha nuovamente abusato della stessa disposizione – articolo 84.9 – per richiedere l’interpretazione della corte costituzionale su a chi vada assegnato il mandato per la formazione del governo: questo offre alla corte l’opportunità di emettere una sentenza che, pur in contraddizione con la costituzione, possa andare incontro alle richieste del Pdk.

Anche se il Kosovo ha accettato in silenzio la frode elettorale del 2010, indizi recenti suggeriscono che l’opinione pubblica potrebbe reagire duramente a questo tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale.

Perciò il Pdk rischia la sconfitta sia che decida di rispettar le regole, sia che tenti di aggirarle: in ogni caso, le parole “credibilità politica” cominceranno ad avere un significato più chiaro in Kosovo. Diplomatici occidentali a Pristina potrebbero essere tentati di assecondare il piano Pdk, per poter ottenere progressi sul Kosovo del nord e nel dialogo con la Serbia. Io confido che i loro diretti superiori non consentano che questa disgrazia e grave errore accada: piuttosto lascino che la vita politica del paese acquisti una nuova dimensione democratica, invece, e questo porterà gradualmente a soluzione anche la questione del Kosovo del nord.

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