Vita e poesia del soldato Crnjanski
Soldato con l’uniforme imperiale, Miloš Crnjanski affronta in prima persona la Grande guerra e ne scrive nei suoi diari. Vicino ai suoi contemporanei europei per temi e sensibilità, ne prende le distanze per lo stile e la lirica della sua prosa
Nell’estate del 1914, dopo l’attentato a Sarajevo e durante i quattro anni passati con l’uniforme dell’Austria-Ungheria, prima da soldato semplice e poi da ufficiale, Crnjanski in più occasioni fu salvato, come diceva lui stesso, dal “commediante Caso”. Questo salvatore, il cui nome ripete spesso, rese possibile alla letteratura serba ed europea di ottenere una voluminosa e grande opera letteraria.
Senza quel commediante non ci sarebbero stati: “Lirika Itake” (1919) [Lirica di Itaca], “Priča o muškom” (1920) [Storia del maschile], “Sumatra i Objašnjenje Sumatre” (1920) [Sumatra e la spiegazione di Sumatra], “Dnevnik o Čarnojeviću” (1921) [Diario di Černojević], infine “Itaka i Komentari” (1959) [Itaca e i Commenti]. Di tutte queste opere – caratteristiche non solo del contesto letterario d’allora ma anche della percezione dell’autore del rapporto dell’individuo con i nuovi contorni che andava assumendo la storia e il mondo – l’unica disponibile per il lettore italiano è la traduzione della poesia “Sumatra” (vedi: Miloš Crnjanski: Nessuno va dove vuole).
28 giugno 1914, la fine della serenità europea
Dei giorni della guerra, nei suoi “Commenti”, che non sono altro che un “Crnjanski su se stesso”, scritti durante l’esilio a Londra quattro decenni dopo la fine della Grande Guerra, l’autore parla la lingua dello scrittore di memorie.
“Le memorie sono la parte migliore della letteratura, in particolare se non sono veritiere …”
Il giorno dell’attentato , “quando il povero Principe tese la propria mano, che non tremò”, Crnjanski stava stirando a Vienna il suo frac.
“Nei grandi momenti storici, il destino dà a tutti un ruolo, e non chiede.”
L’associazione patriottica dei serbi, croati e sloveni a Vienna, tra i cui membri c’era anche lo studente Crnjanski, stava preparandosi per il coro. Che si tenne, quel giorno, di mattino. Il ballo del pomeriggio, invece, non si fece.
“L’epoca dei valzer era finita”.
Era la fine anche dell’epoca della serenità europea.
Nell’atmosfera d’insicurezza generale per i serbi e per tutti quei sudditi della monarchia che erano a favore della Jugoslavia, Crnjanski arriva da Vienna a Novi Sad. Poi, mentre sta accompagnando “una giovane e bella donna, con le sue due piccole bambine”, moglie di un ufficiale serbo, lo arrestano a Segedin. In tasca ha una rivoltella e un foulard coi colori della bandiera serba.
Parla però la lingua dell’ispettore e il “commediante” lo salva dall’internamento che costò la vita a molti dei suoi connazionali nei campi di concentramento della monarchia. La stessa estate Crnjanski viene mandato nella caserma di Bečkerek, nel reggimento K. und K. Già alla fine dell’estate del 1914 sarebbe dovuto andare al fronte in Serbia, ma il suo battaglione viene contaminato dal colera.
“Io sono stato, insieme ai molti, lasciato in un vagone che puzzava di vomito e diarrea, alla stazione ferroviaria di Šid”
Il “Commediante” apparirà ancora a Crnjanski sottoforma della madre di uno ragazzo di Šid. Quella donna senza egoismo, lo prende in casa, con il rischio di aver preso un malandrino. Invece che al fronte in Serbia, viene inviato all’ospedale di Vukovar e in seguito a Fiume. Vi finisce in quarantena, per un’epidemia di tifo. Aiuta i medici, come volontario, nel reparto dei pazienti epilettici.
“Come Rimbaud, sto passando sei settimane all’inferno”
Per la prima volta, rinuncia a scrivere poesie.
L’autunno in Galizia, 1915 e altre stagioni
Nell’estate del 1915, Crnjanski viene mandato nel 29° reggimento a Bečkerek. In autunno è già sul fronte di Galizia, coinvolto nelle battaglie di Zlota Lipi. Sullo stesso fronte nel novembre dell’anno prima, il grande poeta austriaco Georg Trakl si era tolto la vita.
Nonostante tutto, Crnjanski ricomincia a scrivere poesie e le prime pagine del “Diario di Čarnojević”. (La vera prima pagina di quel romanzo poetico, che inizia con la frase “L’autunno, e la vita senza senso”, verrà creata dopo la sua empatia col “Novembre” di Flaubert; libro che leggerà, nella traduzione tedesca, in Friuli nella primavera del 1918.) Il “Commediante Caso” apparirà attraverso una diagnosi medica: il soldato Miloš Crnjanski ha la polmonite. Poi anche sottoforma della strana zia, monaca nel monastero di Vienna “Le figlie dell’amor divino”, nel cui ospedale passerà un certo periodo.
L’anno successivo, su intervento della zia, riceverà un incarico nelle retrovie a Segedin. Crnjanski, telefonista nella stazione ferroviaria, ha tempo per i suoi scritti e, nel caos generale, per sistemare le sue riflessioni sul fronte. Dalle quali nascerà, alla fine della guerra, l’idea che nessuno va dove desidera andare. Benché non in grado di dare una risposta alla domanda “Dov’è la vita?”, Crnjanski sospetta che da qualche parte, almeno da qualche parte, deve esserci una consolazione.
In piena guerra, sul foglio letterario di Zagabria “Savremenik” (Contemporaneo), per la prima volta Crnjanski pubblica le sue poesie. Alcune sono profondamente antibelliche.
Il caporedattore del giornale, Julije Benešić, non lo conosceva affatto. Ma aveva fiuto per la grandezza letteraria. Quel fiuto che, nell’Europa di oggi fatta di editori di libri a vagonate, dovremmo cercare con la candela a mezzodì. Ma nemmeno questa stagione dura a lungo: nell’inverno del 1917 Crnjanski viene mandato a Ostrogon, alla scuola degli ufficiali di riserva. Poi in Italia, al Comando supremo dell’esercito a Soča, a San Vito al Tagliamento. Nella primavera del 1918, mentre sul Piave in lontananza tuonano le cannonate, scrive la poesia “Racconto”:
Ricordo solo che era
vergine e snella
e che i suoi capelli erano
caldi come seta nera
sul petto nudo.
E che prima della sveglia
l’acacia bianca profumò in noi.
Io triste per caso ricordai,
perché amo
serrare gli occhi e tacere.
Quando l’acacia l’anno venturo profumerà
chissà dove sarò.
Nel silenzio ho il presentimento
di non ricordare il suo nome
mai più.
(traduzione dal serbo: Božidar Stanišić)
In quel periodo, a Udine, Crnjanski – come per provvidenza – trova quella edizione di “Novembre” di Flaubert. E si convince che sia proprio quel romanzo dimenticato del 19° secolo, a portargli una nuova sensibilità. Alla quale non serve alcuna azione, alcuna narrativa.
Su questa sensibilità è basato il suo “Diario di Čarnojević“. Quando viene pubblicata quest’opera, dove si parla di guerra e si sognano consolazione e pace, non mancano lo stupore dei lettori davanti a una nuova forma letteraria e alle strane domande poste sul mondo e sull’individuo.
“Ah, chi è questo Crnjanski? Che non crede in nulla, tranne che in ‘qualche costa blu, a Sumatra!’ ”. E’ così che si parlava di lui, anche fra gli scrittori, nella Belgrado del dopoguerra. Quando al Crnjanski, ex ufficiale di una ex monarchia, era molto chiaro, che “il ritorno dalla guerra è la più triste esperienza nella vita di un uomo”. E che non ci sono i veri “Racconti sul maschile”, ma solo sull’individuo che rimane stupito davanti alla Storia in Movimento.
Crnjanski e i suoi contemporanei europei
Dei suoi contemporanei europei che scrivevano sulla Grande Guerra (Barbusse, Remarque, Krleža, Hemingway, Dos Passos…) Crnjanski si distingue prima di tutto per lo stile e la lirica della sua prosa. E, sul piano semantico, per il suo sumatrismo, che è un’intera filosofia poetica della consolazione. E che non esiste in nessun manifesto artistico dell’epoca.
Al realismo moderno e all’espressionismo (Krleža) dei suoi contemporanei europei, Crnjanski si avvicina soltanto nei ricordi sulla guerra, nei “Commenti”. Ad ogni modo, tutti questi autori rimangono in una reciproca prossimità semantica, basata sull’umanità delle loro vedute sulla guerra e sull’assurda esperienza di quell’enorme macello europeo. Di cui, ripeterò anche in questa occasione, nel caso di Krleža, il lettore italiano sa qualcosa (“La battaglia di Bistrica Lesna”, studio Tesi). Nel caso di Crnjanski, in italiano abbiamo purtroppo soltanto qualche frammento (“Sumatra”, nella traduzione di Sofia Zani e Massimo Rizzanti).
Un amico italiano, che ha letto “Diario di Čarnojevic” in francese, mi ha scritto in un messaggio: “Peccato che Crnjanski non sia inglese o francese, non sarebbe stato solo una voce da una periferia letteraria. Avrebbe un posto di rilievo nella letteratura europea. Ma già mi pento per queste frasi! Non credo che, in quel caso, sarebbe stato Crnjanski…”