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Hamintié, un pezzo di Creta in Siria
I cinquemila abitanti di Hamintié, cittadina siriana, considerano da più di un secolo l’isola di Creta la loro vera patria. Sono musulmani, ma la prima lingua che imparano da piccoli è il greco, o meglio il dialetto cretese. La loro storia
Abitano, o forse abitavano, all’estremo sud siriano, al confine con il Libano, affacciati sulle onde del Mediterraneo. Sono musulmani, ma la prima lingua che imparano da piccoli è il greco, o meglio il dialetto cretese: l’arabo lo apprendono poi alle elementari. Sono musulmani, ma a differenza dei loro vicini di casa arabi rifiutano la poligamia. Anzi: praticano addirittura l’endogamia, sposandosi fra famiglie della stessa etnia, per “non annacquare il sangue cretese”. Sono musulmani, ma criticano l’allontanamento forzato delle loro figlie da scuola.
Ce n’è abbastanza per essere preoccupati per la sorte di questa cittadina di cinquemila abitanti che considerano da più di un secolo tenacemente l’isola di Creta la loro vera patria, in questi mesi di fondamentalismo islamico dilagante in Siria sotto i vessilli dell’Isis, il Califfato islamico che vuole estirpare dal Medio Oriente non solo i cristiani, ma anche tutti i musulmani “diversi”.
Hamintié, un pezzo di Creta in Siria
E sono proprio particolari questi cretesi-musulmani di Hamintié, Al Hamidiyah in arabo. A partire dal 1897 sono stati deportati da Creta alle coste mediorientali dell’immenso impero ottomano: in quel periodo Creta era in piena rivoluzione contro la Sublime Porta e rivendicava la propria indipendenza. Anzi, reclamava la propria annessione alla Grecia, la quale aveva già ottenuto di staccarsi dall’impero turco con la rivolta del 1821.
Nella bufera della lotta, gli abitanti musulmani di Creta, che vi abitavano da secoli, erano visti con sospetto dalla rimanente popolazione cristiana. “Anche se molti di questi cretesi-musulmani avevano abbracciato la fede islamica solo superficialmente, per non avere noie e tasse dalle autorità di Istanbul”, racconta Christos Yacovou, presidente dell’Istituto di studi ciprioti (Kykem).
“Proprio loro, una volta scoppiata la rivoluzione, combatterono ferocemente i turchi a fianco dei cretesi cristiani”, prosegue Yacovou. “Erano noti come ‘Kalisperades’ e furono quindi deportati a forza dal Sultano Abdul Hamit (da qui il nome imposto al paese Hamintiè) verso la Siria e verso il Libano. Sono loro gli antenati degli attuali abitanti di Hamintiè e del resto degli ellenofoni del Libano, settemila persone in tutto”.
Una comunità a rischio
Christos Yacovou si è interessato a questa “enclave” di dialetto cretese in pieno Medioriente perché molti tratti della lingua cipriota assomigliano a quella di Creta. Ma chi conosce ancora meglio Hamintiè e ne parla ad OBC è Roula Tsokalidou, glottologa docente all’università Aristoteleion di Salonicco la quale, a questi strani siriani che ancora oggi, dopo sei generazioni dall’arrivo in Siria, si ostinano a indossare i tradizionali bragoni neri alla zuava del costume cretese, ha dedicato anni di viaggi e di studi.
E oggi è preoccupata: “Negli ultimi tempi ho perso con loro ogni contatto: penso con ansia alla sorte di quei bambini che parlavano con me il cretese meglio dei loro coetanei della stessa Creta, ormai omologati al greco nazionale”. Aggiunge Yacovou: “Sotto l’egemonia siriana di Assad questa piccola etnia è stata tollerata. Mi domando quale sarà il loro futuro in un probabile nuovo stato che avrà gli estremisti islamici al potere”.
Già, perché gli abitanti di Hamintiè non hanno mai smesso di dire che l’adesione “di comodo” alla fede musulmana dei loro antenati fu uno sbaglio, da loro ora pagato duramente con la sindrome dell’esilio. Un bell’azzardo sbandierare questo proprio conflitto con l’islam – che pure praticano mantenendo ottimi rapporti con i vicini di casa arabi – considerando la persecuzione che da decenni vivono non solo i cristiani d’Oriente, che costituivano fino a pochi mesi fa il dieci per cento della popolazione siriana, ma anche molte correnti islamiche considerate eretiche dai fondamentalisti.
Atene calling
Non solo. A Hamintiè, nella piazza del villaggio, i paesani si domandano perché Atene non conceda loro un visto, e non li riconosca come figli suoi, per potere “tornare” alla loro terra dove in realtà nessuno di loro è nato e vissuto. “Ho 82 anni e vorrei tanto, prima di chiudere gli occhi, vedere Creta da vicino” confessa il signor Zafeiris, proprietario di una specie di minimarket dove si trova di tutto.
“Per questi paesani che hanno un basso tenore di vita, mantenere viva l’identità cretese è uno status symbol che li avvicina alla Grecia: la porta più vicina per entrare nel ricco Occidente” ci spiega Roula Tsokalidu. “Molti si consolano facendo un viaggio a Cipro, che invece li accoglie, anche se non mancano fra i più giovani quelli che affrontano il viaggio per Creta da clandestini.”.
Ecco il racconto di Yannis, un cinquantenne intervistato dalla ricercatrice glottologa: “Io ho un figlio che da cinque anni vive a Creta facendo vari mestieri, soprattutto nell’edilizia”. Qualcuno non torna e riesce a conquistare l’agognata cittadinanza greca sposando una ragazza cretese. “I migliori amici che ho conosciuto al mondo sono quelli che ho fatto a Creta”, racconta con la caratteristica cadenza cretese un trentenne che è stato nell’isola ellenica per un periodo. “Lì mi hanno dato qualsiasi aiuto avessi bisogno: soldi, consigli, di tutto”.
Ma anche coloro che non hanno mai visto la patria lontana, mantengono in ogni modo i contatti: alla domanda della Tsokalidou “Avete notizie da Creta?” rispondono “Alle sette di sera accendiamo la televisione e l’intera Grecia arriva da noi”.
Lingua viva
Certo, la loro conoscenza della lingua “madre” è soprattutto orale, al punto che non solo sanno a memoria le antiche mantinades, le tipiche ballate popolari accompagnate dalla lira che ancora oggi si cantano a Creta, ma ne continuano a comporre di nuove, quando si riuniscono la sera. Un idioma vivissimo, quindi.
E dire che sono alla sesta generazione dall’arrivo in Siria, di solito la trasmissione della lingua madre da parte degli immigrati in ogni parte del mondo, secondo gli studi dei glottologi, arriva al massimo alla terza generazione: poi i discendenti adottano definitivamente la parlata del Paese dove si trovano a vivere.
Invece a Hamintiè sono ostinati: “Tutti siamo arrivati qui e sapevamo solo il dialetto cretese, non sapevamo nessuna altra lingua” ha raccontato un altro paesano alla Tsokalidou “Io ho imparato da solo anche a scrivere in greco. Ma siamo in pochi a saperlo fare: il nostro medico ad esempio”.
Amore non corrisposto
Sì, perché la tanto amata Grecia non mai inviato a Hamintiè un maestro, nonostante le richieste, perché per Atene gli hamintioti sono solo dei siriani musulmani. “Mentre esistono maestri inviati dal ministero degli Esteri di Atene a Tripoli, in Libano, e a Damasco e ad Aleppo, in Siria dove si contano circa 3000 cristiani greco-ortodossi, per questa loro identità religiosa riconosciuti come “diaspora greca” dal governo ellenico” ricorda Roula Tsokalidu.
Paolo, Pietro e la Siria cristiana
In questi giorni dove dalla Siria continuano ad arrivare profughi non solo nel vicino Libano (“ormai un libanese su tre è arrivato di recente dalla confinante Siria, per sfuggire agli orrori della guerra” conferma la glottologa) ma anche in Europa, è difficile dimenticare che la culla del cristianesimo è nata proprio qui, in Medio Oriente.
E che proprio il Patriarcato di Antiochia, nell’odierna Siria, è stato uno dei primi cinque Patriarcati fondati nei primi secoli dopo Cristo, insieme a quello di Costantinopoli, Alessandria d’Egitto, Gerusalemme e Roma, molto tempo prima dello scisma del 1054 fra la Chiesa cristiana d’Oriente e quella d’Occidente.
Addirittura la prima chiesa cristiana ad Antiochia fu fondata nel 34 d.C. dall’apostolo Paolo. Lo stesso apostolo Pietro risiedette sette anni in questa città prima di partire per Roma e portarvi il cristianesimo e subirvi il noto martirio. Infine, uno dei primi Concili ecumenici, quello di Nicea del 325 d.C., voluto dall’imperatore Costantino, dichiarò il primato della Chiesa di Antiochia su tutti i vescovati di Oriente.
In fuga dalla guerra
Fino a qualche mese fa, prima degli ultimi sanguinosi eccidi e persecuzioni da parte delle fazioni integraliste islamiche, circa un siriano su dieci era cristiano, fra ortodossi, cattolici, armeni e sirocristiani. Ora non ci sono dati precisi, ma da fonti della chiesa greco-ortodossa la situazione appare drammatica: solo da Aleppo, uno dei grossi centri dove abitavano i cristiani in Siria insieme a Damasco e a Tartous, molti sono fuggiti verso il vicino Libano, Cipro, la Grecia, la Svezia. Ma nel gran mosaico delle etnie mediorientali una minuscola tessera è formata dagli strani cretesi-musulmani dissidenti, malati di nostalgia per Creta, di Hamintiè.
Pare, sempre secondo le stesse fonti che conoscono l’esistenza della cittadina cretese musulmana, che al momento la guerra non li abbia ancora toccati, anche se il confine con il Libano è vicino e alcuni avranno cercato lidi più sicuri. A Creta, e precisamente a Chania sulla costa ovest, ci sono circa 60 profughi da tutta la Siria, accolti da piccoli albergatori a loro spese, con minime sovvenzioni dallo Stato in crisi. Non esistono cataloghi ufficiali con l’identità di questi disperati in fuga. Che i più coraggiosi hamintioti abbiano finalmente realizzato il sogno di “tornare” alla madre patria?