Armenia e Russia: più ricatto che alleanza
Gli interessi oligarchici dell’élite politica locale e le scelte del passato spingono l’Armenia verso Mosca, non verso Bruxelles, con conseguenze gravi per lo stato della democrazia nel paese. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dopo il collasso dell’Unione sovietica il sistema internazionale ha sperimentato grandi cambiamenti. La disgregazione dei blocchi ha creato nuovi sviluppi internazionali per gli stati caucasici e ha visto il loro coinvolgimento in svariati processi di integrazione proposti dai grandi attori internazionali. Di conseguenza, nel contesto di un nuovo ordine gerarchico internazionale, i piccoli paesi devono affrontare difficili sfide di manovra tra le grandi potenze per assicurarsi dei vantaggi in queste prospettive di integrazione.
Le spinte di integrazione verso lo spazio dell’Unione europea da una parte e la prospettiva euro-asiatica dall’altra, che coinvolgono la piccola repubblica dell’Armenia, sono un esempio di questo genere di confronto. L’Armenia si trova tra una potenza pre-moderna come la Russia e una post-moderna come l’Ue. La scelta fatta dalle autorità di Yerevan giocherà un ruolo decisivo nello sviluppo istituzionale del paese sul lungo periodo, e l’Armenia ora deve capire se è meglio essere incorporata nel mondo occidentale o se è preferibile far parte del progetto retrò avanzato dalla Russia. Questo dilemma armeno concerne la sicurezza e gli incentivi di sviluppo offerti sia dall’Ue sia dalla Russia.
A causa del conflitto per il Nagorno-Karabakh, delle limitate risorse energetiche di gas e petrolio e del blocco commerciale turco, l’Armenia deve stabilire relazioni e alleanze con i grandi attori internazionali per avere garanzie sulla propria sicurezza. Dopo l’indipendenza, essa ha condotto con successo una politica di relazioni di cooperazione con grandi potenze come Usa, Ue e Russia, successivamente concettualizzata con il termine di “complementarietà”. L’asimmetria delle relazioni tra un piccolo stato e le grandi potenze è però una vera e propria sfida al mantenimento da parte dell’Armenia di una politica estera equilibrata.
L’analisi del dibattito politico in Armenia sulle politiche di integrazione potrebbe fornire una delucidazione sulla questione. Prima del 3 settembre 2013, le prospettive armene erano legate ai progetti d’integrazione con l’Ue. La piccola repubblica caucasica ha infatti negoziato per più di tre anni l’Accordo di associazione (AA) e l’Accordo di libero scambio (DCFTA) con l’Unione Europea. Alti funzionari armeni come il ministro degli Esteri Zohrab Mnatsakanyan e il segretario per il Consiglio di Sicurezza Nazionale Artur Baghdasaryan hanno più volte annunciato che l’Armenia sarebbe stata pronta a firmare l’Accordo di associazione entro la fine del 2013. Tuttavia, la situazione è cambiata bruscamente dopo la visita a Mosca del presidente armeno Serzh Sargsyan il 3 settembre 2013, dove ha ufficialmente mutato la politica armena in tema di integrazione e dichiarato l’adesione all’unione doganale proposta dalla Russia. Per ottenere il consenso pubblico e giustificare questa decisione, il presidente e l’élite al potere hanno fatto riferimento a questioni di sicurezza nazionale dichiarando che la Russia sarebbe stata una miglior garante per la sicurezza armena.
Ma quali ragioni hanno spinto l’Armenia a questo cambio di priorità nel suo processo di integrazione? Per rispondere, si potrebbero evidenziare sia fattori interni che esterni.
Tra i motivi di politica interna, risaltano in particolare il ruolo dei singoli leader politici (1), delle istituzioni economiche e degli interessi della classe dirigente armena. Inoltre, considerando la questione del conflitto del Nagorno-Karabakh, il tema della sicurezza risulta determinante in chiave di politica estera. Ciononostante, dopo le vittorie militari contro l’Azerbajan tra il 1992 e il 1994 sul territorio della repubblica del Nagorno-Karabakh, la nazione armena è diventata più sicura di sé dimostrando di potersi affidare alle sole proprie forze, e quindi la questione sicurezza non dovrebbe più essere percepita dall’élite politica armena come vincolante rispetto al futuro. Piuttosto la classe politica armena dovrebbe incoraggiare scelte politiche ed economiche incentrate sul rafforzamento dell’Armenia rispetto a possibili pressioni e ricatti di stati terzi.
Nel caso in questione andrebbe presa in considerazione la politica estera russa prettamente speculativa nei confronti dell’Armenia, conseguenza di decisioni disgraziate prese dalla ex classe dirigente armena. Decisioni che hanno reso vulnerabile l’Armenia non solo da un punto di vista militare, ma anche sotto l’aspetto della dipendenza energetica ed economica verso la Russia.
Tra le ragioni di questa situazione vi sono in particolare le decisioni prese dal regime "estrattivo" di Kocharian (1998-2008). Un chiaro esempio di quella politica è rappresentato dal programma chiamato “Proprietà contro il debito”: cinque importanti strutture industriali armene furono cedute alla Federazione russa come forma di pagamento di 95 milioni di dollari di debito che l’Armenia aveva con la Russia (2). L’accordo “Proprietà contro il debito” del Presidente Kocharyan portò al sostegno nei suoi confronti del governo russo durante l’instabilità politica armena alla fine degli anni Novanta. Un altro accordo significativo è stato poi il patto sul gas siglato nel 2013 tra i governi di Armenia e Russia, secondo cui l’Armenia si è impegnata a trasferire il 20% delle azioni di ArmRosGazprom a Gazprom per coprire i 300 milioni di dollari di debito per il consumo di gas russo negli anni 2011-’13.
Gazprom, usato come uno strumento di controllo e di punizione politica, fornirà così alla Russia nuove leve nella sua crescente influenza sull’Armenia. Il controllo dell’economia e il conflitto in Nagorno-Karabakh garantiscono alla Russia nuovi spazi per esercitare il suo soft power attraverso i ricatti economici. In particolare, questa politica è stata applicata dalla Russia quando l’Armenia ha provato a staccarsi dalla sua orbita. La Russia, come partner militare dell’Armenia, ha infatti speculato sulle questioni di sicurezza nazionale del piccolo paese caucasico. Questo processo viene accompagnato da una cooperazione tecnico-militare tra Azerbajan e Russia che si aggira attorno ad una cifra di 4 miliardi di dollari. A fronte di tutto questo l’Armenia sembra avere poca possibilità di scelta se non quella di accettare la “partnership strategica” della Russia a prescindere dalle condizioni a cui questa viene offerta.
L’esistenza di una consistente comunità armena in Russia è una delle altre ragioni dietro alla decisione presa il 3 settembre 2013. Le élite imprenditoriali della diaspora armena in Russia e la classe dirigente di Yerevan hanno comuni interessi nella gestione oligarchica e monopolistica dell’economia armena. Hanno relazioni che si basano su legami familiari e progetti economici in comune sia in Russia che in Armenia. Inoltre, armeni che vivono in Russia e lavoratori migranti armeni trasferiscono notevoli quantità di rimesse dalla Russia in Armenia. Di conseguenza il potenziale della diaspora può essere utilizzato sia dalle autorità russe che da quelle armene per raggiungere consenso tra le élite sulle politiche di integrazione tra Russia e Armenia.
Un’altra motivazione dietro l’intenzione dell’Armenia di partecipare ai progetti eurasiatici della Russia è la preoccupazione per la mancanza di volontà o per l’incapacità espressa dall’UE nel contrastare la Russia in materia di sicurezza. Nel quadro delle politiche europee per il vicinato, l’idea che l’Europa possa servire come garanzia alla sicurezza regionale sta diventando sempre più sbiadita.
Anche se l’UE aveva enfatizzato una soluzione pacifica per la questione del Nagorno-Karabakh, essa non ha mai concretizzato principi di risoluzione negli Action Plans per Armenia e Azerbaijan. Queste mancanze di Bruxelles hanno aperto la strada alla Russia per rivitalizzare un suo ruolo assertivo in politica estera, ad esempio impedendo all’Armenia di cercare risorse energetiche alternative in Iran. È plausibile infatti pensare che l’Iran potrebbe offrire nuove opportunità non solo per diminuire la dipendenza energetica ed economica dell’Armenia rispetto alla Russia, ma anche per aprire la strada ad un nuovo equilibrio di poteri nella regione e per fornire un accesso alla “nuova via della seta”.
Dall’altra parte la firma dell’Accordo di associazione con l’UE difficilmente avrebbe potuto soddisfare gli interessi dell’élite armena. E’ difficile immaginare che quest’ultima esprimerà la volontà di liberarsi della “partnership strategica” con la Russia, dato che quest’ultima fornisce loro molte opportunità di tipo oligarchico-monopolistico.
Per riassumere, la volontà dell’Armenia di essere integrata nelle iniziative euroasiatiche a guida russa può essere spiegata dall’esistenza di forti influenze russe in Armenia per quanto riguarda la sicurezza, l’energia e l’economia. Questo potere d’influenza non è apparso improvvisamente nelle mani della Russia o per una imposizione esterna; piuttosto è stato il frutto di una serie di politiche interne armene. In questo senso, la dipendenza armena rispetto alla Russia per energia e sicurezza, il ruolo russo nel conflitto del Nagorno-Karabakh, l’eredità sovietica come pure la presenza della diaspora armena in Russia (con più di due milioni di armeni-russi) sono fattori che hanno sostenuto la concettualizzazione della “partnership strategica” con la Russia.
Considerando però la dichiarazione di Putin, “la Russia non abbandonerà il Caucaso” e la sua politica estera nei confronti della regione, asimmetrica e fatta di ricatti, si può affermare che la Russia non ha più il ruolo di garante della sicurezza per la regione, ma piuttosto è raffigurabile come una vera e propria minaccia alla sicurezza regionale.
Il consenso della classe dirigente armena a favore di un’entrata nell’Unione doganale deriva da interessi oligarchici e monopolistici. Nel caso differente di un accesso dell’Armenia nell’Unione economica e democratica dell’UE, questa oligarchia rischierebbe il tracollo. Al contrario, un ingresso dell’Armenia nell’Unione Euroasiatica difficilmente incoraggerebbe la formazione di istituzioni democratiche in un’ottica di lungo periodo.
Ma per avere l’Armenia come un partner affidabile nel Caucaso meridionale l’Ue dovrebbe aumentare la sua presenza istituzionale e, in cambio, l’Armenia potrebbe avere la possibilità di diminuire la sua dipendenza economica ed energetica rispetto alla Russia. In più, un’assistenza istituzionale all’Armenia potrebbe generare un sistema di governance che può incoraggiare non solo più indipendenza nella politica estera ed interna, ma potrebbe anche dirigere le potenzialità della diaspora armena verso un ruolo di compensazione a livello internazionale della "piccola Armenia".
Note:
1. J. A. Hey, “Small States in World Politics: Explaining Foreign Policy Behavior”, Boulder, CO: Lynne Rienner Publishers, 2003.
2. Tiffany G. Petros, Evolution of Armnian Foreign Policy, Armenian International Policy Research Group, Working Paper No. 03, 2013, p. 5
L’articolo è scritto nel contesto del progetto di ricerca “Research Beyond the Ivory Tower: Policy and Communications Training for University Teams” sostenuto dal Norwegian Institute of International Affairs (NUPI).