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Un megafono per l’Europa
Come creare una opinione pubblica europea? Domenica 5 ottobre 2014 a Ferrara, il Festival di Internazionale ha dedicato uno spazio di confronto sul rapporto tra nuovi media e istituzioni europee
C’era un bel sole autunnale a Ferrara domenica 5 ottobre 2014 e le piazze del centro attorno al duomo e al castello estense erano piene di gente con un libretto giallo in mano: quello dell’ottava edizione del festival di Internazionale . Nel corso di tre giorni, 71mila persone sono passate per le strade acciottolate del centro per andare a seguire conferenze, incontri, film e dibattiti organizzati dal settimanale italiano di informazione estera fondato nel 1993.
Tra i tanti temi, l’Europa e la sua crisi non erano certo in secondo piano e nello splendido spazio del piccolo chiostro di San Paolo Rosemary Bechler di Opendemocracy, John Lloyd del Financial Times, l’editore Giuseppe Laterza e il giornalista di Libération Eric Jozsef hanno discusso con il pubblico sullo stato del nostro continente, tra vecchi e nuovi media.
Aprendo la discussione, il giornalista di Libération si è domandato come si potrà ricomporre il divario oggi esistente tra le istituzioni di Bruxelles e i cittadini. Secondo Jozsef, il comune sforzo degli europei dovrebbe infatti essere quello di “creare un’opinione pubblica europea; ma questo sembra sempre più difficile”.
John Lloyd, del Financial Times, ha recentemente provato a spiegare i motivi di questa difficoltà attraverso una sua indagine giornalistica sulla cattiva qualità dell’informazione serpeggiante tra Bruxelles e Strasburgo. Questo suo studio ha evidenziato un particolare ostacolo alla comunicazione di temi europei: secondo Lloyd la complessità delle istituzioni europee è difficile da esprimere in termini giornalistici e per questo motivo quanto accade a Bruxelles viene reputato noioso per i lettori. “Solo quando c’è una crisi, come per esempio quella dell’euro, l’Europa suscita interesse. Ma generalmente è ritenuta una faccenda molto noiosa”.
Una questione di lealtà
Il giornalista scozzese ha voluto fare un cenno anche ad un altro problema europeo: l’euroscetticismo, in particolare quello britannico. Lloyd si è detto convinto che le posizioni inglesi non vengano sufficientemente capite dagli altri europei. In Gran Bretagna “la maggior parte della stampa è fatta di tabloid e i tabloid sono euroscettici”; ma, prescindendo da questo fattore, il cuore dell’euroscetticismo inglese risiederebbe piuttosto nel fatto che i cittadini hanno un forte senso di lealtà verso il proprio parlamento, tuttora sentito come l’unico e vero legislatore.
Sono infatti i membri del parlamento inglese ad essere conosciuti dalla popolazione e conoscerli significa, da una parte, poter manifestare un interesse personale verso le loro posizioni politiche; dall’altra, poter instaurare un rapporto di fiducia e quindi di lealtà. Per Lloyd, questo senso di lealtà non è invece facilmente trasferibile a Bruxelles perché il cittadino britannico si chiede: “Chi è Juncker?”. Come può quindi manifestare un interesse personale verso ciò che non conosce? Questa situazione rende impensabile l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e lealtà verso le sconosciute istituzioni comunitarie. “Il processo di trasferimento della lealtà sarà molto lungo”, ha concluso il giornalista del Financial Times.
Dibattito pubblico europeo
Rosemary Bechler di Opendemocracy, magazine on-line dedicato a diritti umani e processi democratici, non è stata dello stesso avviso: per lei infatti temi europei non sono di per se stessi noiosi o di scarso interesse ma piuttosto vi è chi "vuole evitare un dibattito pubblico a livello europeo".
Per esempio, in tema di crisi economica l’unica via presentata come percorribile da politici e media in questi anni è stata a suo avviso quella dei tagli al deficit: nessuna alternativa è mai stata veramente messa sul tavolo della discussione per avviare un serio confronto pubblico. Questa grave mancanza si somma poi alla stretta connessione esistente tra le politiche del taglio del deficit e la crescita dei partiti di estrema destra negli stati membri. Secondo la giornalista britannica infatti in quel “noi nazionalista e monoculturale” che si ripete in tutti i nostri paesi c’è una volontà generale che “si oppone alla multiculturalismo facendo stillicido della solidarietà” attorno a cui era nata l’idea di Europa unita.
Manca una narrazione simbolica
Eric Jozsef ha preso al volo questo riferimento di Rosemary Bechler per ragionare su come l’Europa, concentrandosi nel ripartire dai valori e dai principi comuni dopo i grandi massacri provocati dai nazionalismi del sangue, abbia forse dimenticato che “per creare un’entità comune ci vuole anche una narrazione simbolica”. "Gli avversari populisti dell’Ue conoscono fin troppo bene questo genere di narrazione e stanno cavalcando con successo le simbologie nazionali molto più note ai cittadini europei, di quanto non lo siano le idee di Jean Monet, di De Gasperi, Adenauer e Schuman".
A questa nota di Eric Jozsef, Rosemary Bachler ha ribattuto che secondo lei una nuova narrativa europea si sta trovando proprio attraverso i nuovi media, concepibili come un’altra forma di comunicazione per colmare il deficit democratico di cui soffre l’Ue. Il loro utilizzo non può però bastare: essi certamente contribuiscono, ma non in modo esclusivo alla creazione di una nuova narrativa.
Oggi infatti secondo la giornalista di Opendemocracy sono le persone che decidono quali informazioni prendere a seconda dei loro specifici interessi. Non c’è più quindi quella fruizione passiva per cui un tempo bastava uno slogan istituzionale come “l’unione fa la forza” a spiegare il motivo della bandiera blu con il cerchio di stelle. “Oggi è necessario che i politici capiscano l’impatto degli smart phone sulla comunicazione”, ha detto Bechler citando un membro del Partito dei Pirati svedese.
L’est del Continente
Stimolati da un intervento di OBC i relatori sono infine interventi anche sulla necessità di creare uno spazio nel dibattito pubblico anche per l’Europa dell’est, a cui troppo spesso si dimentica di dare una voce ed un punto di vista.
Rosemary Bechler a questo riguardo ha sottolineato il ruolo di Opendemocracy, una rivista online sui temi di democrazia diretta che "vuole essere presente anche nelle piazze, in mezzo ai movimenti cittadini anche in Bosnia ed Ucraina. Per poter stare tra le persone dove queste si spendono concretamente per un’azione civile".
Jozsef, guardando alle politiche comunitarie, ha specificato che occorre parlare di “riunificazione, anziché di allargamento” perché non dev’esserci nessun tipo di rapporto elitario, ma piuttosto una rete di relazioni. "Una rete di relazione è l’unica strada per divulgare i diversi racconti, che sono vissuti in Europa".
Ascoltare e comprendere attraverso le relazioni le varie narrative europee è quello che sta cercando di fare un gruppo di giornalisti e scrittori attorno all’editore Giuseppe Laterza. La neonata rivista online Eutopia intende infatti rinnovare quell’impegno civile che negli anni ottanta si era concretizzato con la nascita della collana “fare l’Europa” a cui avevano collaborato Jacques Le Goff e altre grandi firme.
L’accessibilità dei temi europei a qualsiasi utente risponde al nome ispirato da Luciano Canfora: eu-topos inteso come “buon luogo” affianco all’idea di utopia di Tommaso Moro. L’intenzione è quella di trasformare l’Europa in una agorà esattamente come lo sono state le piazze di Ferrara in questi giorni di sole autunnale.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea, nel quadro dei programmi di comunicazione del Parlamento Europeo. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto BeEU – 8 Media outlets for 1 Parliament.