Olocausto in Romania: una storia nazionale ancora da costruire
Dieci anni fa la Commissione Wiesel pubblicava le sue conclusioni sulla Romania: il regime di Ion Antonescu era da ritenersi responsabile per la morte di 280.000 – 380.000 ebrei e 11.000 rom, tutti uccisi tra il 1940 e il 1944. Un decennio dopo, che sguardo sull’Olocausto in Romania?
(Pubblicato originariamente su RFI il 6 novembre 2014, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC)
Dieci anni dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Wiesel, è tempo di misurare gli effetti di questo lavoro sulla società rumena. Tre sono le conseguenze dirette delle raccomandazioni poste dalla Commissione Wiesel. Tutti i 9 di ottobre, da dieci anni, si commemorano in un’apposita giornata le vittime dell’Olocausto. Nel 2009, proprio durante quella giornata, è stato inaugurato un memoriale dedicato a quelle vittime. Inoltre, nel 2005, il governo rumeno ha creato l’Istituto nazionale per lo studio dell’Olocausto in Romania.
Per Alexandru Florian, storico e direttore di questo centro “sono tutte realizzazioni utili perché generano progetti educativi e azioni pubbliche che spingono sul dovere di preservare la memoria”. Per alcuni dei membri della Commissione Wiesel, come Adrian Cioflâncă, il bilancio è invece più magro.
Lo storico, originario di Iași, identifica due ambiti nei quali il rapporto della Commissione ha avuto effetti significativi. Innanzitutto nell’opinione pubblica, dove il negazionismo e l’antisemitismo accendono dure reazioni. “Vi sono ancora affermazioni negazioniste ma le proteste forti che generano mostrano che le cose sono cambiate rispetto agli anni ’90. All’epoca era Gheorghe Buzatu (storico rumeno sostenitore della tesi negazionista e militante per la riabilitazione del maresciallo Antonescu, ndr) a dare il timbro al dibattito pubblico”. Progressi sono stati fatti anche a livello istituzionale con la creazione di alcuni centri studio e di filiere dedicate allo studio della storia degli ebrei e dell’Olocausto. Archivi sono stati aperti e manuali di storia dedicati a questi temi sono stati pubblicati e diffusi.
Ciononostante, per Cioflâncă, non si è andati molto oltre. “A livello di insegnamento abbiamo invece fatto passi indietro”, sostiene lo storico “pochi insegnanti scelgono di trattare il tema dell’Olocausto e pochi di loro prendono seriamente in considerazione il fatto che la storia degli ebrei e dell’Olocausto fa parte della storia contemporanea della Romania”.
Un ambiente negazionista
Il negazionismo risulta ancora molto diffuso in Romania, specie presso le personalità pubbliche ed i politici. Da qui il fiorire di dichiarazioni in tal senso negli ultimi anni. “Le fonti mostrano che a Iași sono stati uccisi 24 cittadini rumeni di origine ebraica da soldati dell’esercito tedesco. I soldati rumeni non hanno partecipato all’assassinio, è storicamente provato”, ha dichiarato il 5 marzo 2012 il senatore Dan Șova, allora portavoce del partito Social-democratico (PSD) durante una trasmissione televisiva dedicata al progrom dell’estate 1941 in quella città, andato in onda sul canale Money Channel.
In realtà, secondo gli storici, tra i 13.000 e i 15.000 ebrei vennero uccisi in quel massacro. Dopo numerose reazioni alla sua affermazione, Dan Șova è stato obbligato a rettificare assicurando di non aver voluto “negare le sofferenze del popolo ebraico e nemmeno la responsabilità delle autorità rumene dell’epoca”. Victor Ponta l’ha infine obbligato alle dimissioni dal suo incarico e Dan Șova è stato inoltre mandato al museo dell’Olocausto, a Washington, per documentarsi. Ciononostante, cinque mesi più tardi, l’uomo politico è stato nominato dal premier rumeno ministro per le relazioni con il Parlamento.
Il 14 febbraio 2013, lo storico Vladimir Iliescu, che insegna all’Università di Aachen, in Germania, ha presentato un suo rapporto presso l’Accademia rumena. Davanti ad un pubblico composto di ricercatori ha spiegato che “l’Olocausto in Romania è un’enorme menzogna” e che gli ebrei hanno condotto una vita normale e che molti di quelli che sono stati deportati hanno poi fatto ritorno. “In Romania non vi è stato alcun Olocausto, ma solo delle persecuzioni”. Alla fine del suo intervento ha ricevuto gli applausi dei presenti e la direzione dell’Accademia rumena non ha mai condannato in modo esplicito queste affermazioni negazioniste, proferite nel cuore della stessa istituzione.
Una legge non applicata
Nel 2002, il governo guidato da Adrian Năstase ha adottato un provvedimento d’urgenza che penalizzava, tra le altre cose, la negazione dell’Olocausto e il culto nei confronti di coloro che hanno commesso crimini contro l’umanità, nello specifico Ion Antonescu.
Ma secondi i dati della Procura della Repubblica e del ministero della Giustizia l’applicazione di questo decreto d’urgenza è rimasta molto limitata. Dal 2002 la procura ha trattato 101 casi ed inviato davanti ai giudici 10 persone, l’ultima nel 2009. I tribunali hanno emesso tre condanne di cui una sola prevedeva la reclusione.
Per il direttore dell’Istituto Elie Wiesel, Alexandru Florian, in nessuna delle condanne si è fatto esplicito riferimento all’Olocausto in Romania. “Tutte le denunce a cui sono seguite condanne con sanzioni penali riguardavano l’utilizzo di simboli nazisti, come la svastica e riguardavano l’estremismo ungherese. Nessun caso riguardante apologia delle Guardie di ferro o la negazione dell’Olocausto rumeno è terminato con una condanna. Quei casi sono finiti nel nulla”.