Macedonia: gli studenti, strada del cambiamento?
Sono scesi nelle strade in novembre e poi, a migliaia, in dicembre. Gli studenti macedoni protestano contro alcune novità che il governo vuole introdurre nell’accesso allo studio. Ma la loro può trasformarsi nella protesta di un paese intero
(Pubblicato originariamente da Bilten.org il 15 dicembre 2014)
Il motivo iniziale che ha scatenato le recenti proteste degli studenti macedoni è riconducibile all’approvazione da parte del governo di un ulteriore ostacolo burocratico posto al percorso di studi. Tuttavia la mobilitazione ha raccolto un’adesione molto ampia esprimendo una resistenza alla soppressione delle libertà fondamentali che l’attuale governo conservatore sta esercitando.
In una situazione di democrazia compromessa e messa a repentaglio dagli stessi media, completamente controllati dal governo, gli studenti scesi in strada aprono la possibilità al cambiamento.
Nelle ultime settimane la Macedonia è stata colpita dalla seconda più grande ondata di proteste studentesche della sua storia di paese indipendente. La prima era avvenuta nel 1997 ed aveva una causa ben diversa: si trattava di nazionalismo e xenofobia, in quanto l’obiettivo fu quello di impedire agli studenti albanesi di frequentare corsi in lingua madre nelle università pubbliche. Alcuni tra i fomentatori più rumorosi di quelle proteste oggi sono ministri del governo ultraconservatore VMRO-DPMNE. Ad esempio l’ex ministro dell’Istruzione Nikola Todorov è uno di quelli che hanno lanciato la propria carriera politica grazie all’impegno – dimostrato negli anni studenteschi – nel diffondere l’odio e la divisione etnica.
Le proteste attuali, quindi, non hanno niente in comune con quelle del 1997. Il 17 novembre 2014 alcune migliaia di studenti, organizzati in plenum, sono scesi in strada per esprimere il proprio dissenso verso l’annuncio del governo di introdurre un esame di valutazione esterno in tutte le università del paese: il governo aveva infatti inizialmente proposto che fossero le sue agenzie, e non le istituzioni accademiche, a valutare la competenza degli studenti. Chi non avrebbe soddisfatto i criteri stabiliti, sarebbe stato impossibilitato a proseguire il corso di studi.
In un primo momento, tale proposta sembrava troppo assurda per essere vera. Ma il governo l’ha confermata pubblicamente – continuando ad insistere sul fatto che ad osteggiarla fossero gli studenti che rischiano la non idoneità, che in ogni caso non dovrebbero sprecare tempo per studiare – e la mossa non poteva allora passare senza contestazioni.
La prima manifestazione organizzata a novembre ha segnalato al governo che stava esagerando nel tentare di controllare la società, e soprattutto la popolazione studentesca. Per coloro che vivono in Macedonia tale atteggiamento politico non è purtroppo stato una sorpresa, ma semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
L’intensificazione dell’autoritarismo
Già da qualche tempo siamo testimoni di una tendenza governativa di maggiore regolamentazione e controllo generalizzato: sanzioni draconiane vengono introdotte per qualsiasi infrazione, che si vada dal codice della strada, agli scioperi dei lavoratori o al funzionamento dei servizi sociali. L’essenza del modo di governare della coalizione VMRO-DPMNE sta nel tentativo di legalizzare – attraverso una regolamentazione estesa e le relative sanzioni – i limiti posti nel paese alla libertà di espressione. Vale la pena menzionare che la maggior parte di questi provvedimenti è stata approvata senza alcuna discussione in parlamento, boicottato dall’opposizione, con ad esempio un centinaio di leggi votate in un solo giorno.
L’attuale proposta di legge sull’istruzione superiore è inaccettabile su vari fronti: costituzionale, politico, democratico. La proposta di legge è innanzitutto contraria alla Costituzione che garantisce l’incondizionato accesso all’istruzione a tutti. Con l’adozione di questa legge, il governo acquisirebbe infatti il controllo sul diritto all’istruzione superiore delle generazioni presenti e future, contemporaneamente fomentando un sentimento di incertezza e diventando la massima autorità in materia di diritto allo studio.
In secondo luogo, la legge rappresenta un attacco diretto all’autonomia dell’Università in quanto, attraverso l’intervento burocratico del potere esecutivo, danneggia i processi accademici e scientifici di educazione e valutazione. Inoltre, la proposta in questione rappresenta un doppio attacco al potenziale di emancipazione della società poiché, da un lato tenta di disciplinare il corpo insegnante giudicando le loro capacità professionali, mentre dall’altro intimidisce e minaccia gli studenti limitando il loro diritto allo studio. Con la giustificazione di voler accertare standard di qualità, il governo sta cercando di introdurre meccanismi di controllo e intimidazione all’università, l’unico spazio pubblico che ancora accoglie intellettuali e giovani.
Nessun romanticismo
Nonostante le diverse ore di grida di più di 15 mila manifestanti (studenti, genitori e altri cittadini) radunatisi il 10 dicembre per la seconda volta, dopo le proteste di novembre, occorre trattenersi dal descrivere in termini troppo romantici la situazione. Gli studenti infatti sono stati finora tra i gruppi sociali più passivi e per anni hanno dimostrato un livello molto basso di solidarietà con altre fasce sociali esposte agli attacchi delle politiche governative.
Quando in passato in Macedonia i lavoratori delle fabbriche fallite li hanno invitati a solidarizzare con i loro problemi, la popolazione studentesca non ha reagito in modo adeguato. Questi stessi lavoratori delle fabbriche chiuse hanno invece partecipato in gran numero alla protesta di dicembre degli studenti.
D’altro canto, si può affermare che solo in questo momento sta nascendo un vero movimento studentesco. Nonostante gli studenti siano scesi in piazza solo dopo essere diventati loro stessi bersaglio delle politiche governative, l’esperienza di questa mobilitazione li renderà consapevoli di tutta una serie di pressanti problemi sistematici, dei quali stanno venendo a conoscenza nel migliore dei modi, attraverso l’esperienza diretta in strada. Gli studenti si sono già scontrati ad esempio con la questione della mancata indipendenza dei media, i quali, rigorosamente controllati dal governo, li rappresentano come membri del partito di opposizione e della Fondazione Soros. Si sono scontrati con l’assoluta inesistenza di trasparenza e di procedure democratiche nei processi decisionali nonché con l’arroganza politica dei massimi rappresentanti del potere che non hanno osato offenderli in più occasioni. Grazie alle recenti proteste, gli studenti si sono resi conto della triste realtà che il vero problema non sta solo nell’esame esterno voluto dal governo, ma nell’intero set di politiche da quest’ultimo applicate per rafforzare l’attuale regime, non democratico e autoritario, instaurato in Macedonia.
Una volta trascinati nel dibattito, gli studenti saranno costretti ad allargare l’ambito del proprio dissenso a causa della sfida posta loro, e a tutti i cittadini mostratisi solidali, dai problemi politici impellenti nel paese.
È emersa infatti la questione della democrazia del paese, la questione dell’autismo dell’élite politica, al potere ormai da quasi un decennio, diventata talmente autosufficiente da poter credere nelle notizie che essa stessa consegna alle proprie aziende mediatiche. Questo scontro inevitabilmente pone anche la questione delle condizioni sistematiche che rendono possibile l’ascesa al potere di tali gruppi, devastando non solo gli studenti ma l’intera società.
Gli studenti hanno dimostrato un nuovo entusiasmo per la lotta. Sono loro quel tanto annunciato fattore del cambiamento che potrebbe innescare la solidarietà dell’intera società. È arrivato il momento di ideare una strategia di protesta, contrasto e denuncia, per aprire molto più spazio per il dissenso nella società depressa del paese più povero e diseguale di tutta Europa.
Insieme in piazza
Le recenti proteste si distinguono da quelle del 1997 anche per il fatto che, per la prima volta nella storia del paese, un numero significativo di giovani è sceso in piazza indipendentemente dalla propria identificazione etnica, politica o religiosa. In questo paese gli incidenti etnici avvengono ogni giorno, soprattutto tra i giovani, profondamente divisi nelle scuole e università, nei caffè e quartieri, e tale situazione giova perfettamente al doppio nazionalismo promosso dal governo. Le tensioni etniche ogni tanto minacciano di risolvere questo parallelismo della società in un grande scontro etnico, portando di nuovo allo spargimento di sangue. Tuttavia, il potenziale emancipatorio della popolazione studentesca è recentemente esploso nei messaggi di unità e solidarietà, di lotta comune e visione di una società migliore, mobilitando anche altri cittadini e spingendoli a prender parte a questa nuova situazione che promette molto di più di quanto ne siamo coscienti al momento.
I prossimi giorni saranno un periodo politico decisivo che segnerà il futuro di questo paese. L’eco che le proteste hanno avuto sull’intera società ha creato un entusiasmo mai visto finora e l’aspettativa che un cambiamento radicale della politica possa partire dalle piazze, dato che non esiste un’opzione sostenibile in parlamento. Per la società che ha accettato di essere sottoposta ad una continua repressione, disciplinamento e punizione, la posta in gioco è molto alta. Ora stiamo imparando di nuovo che il cambiamento desiderato viene dalla società e non dalla sfera dei partiti politici.
Gli studenti dovranno, inevitabilmente, affrontare la sfida della radicalizzazione dei propri argomenti e richieste nonché quella dell’intensificazione dello scontro, semplicemente perché la questione dell’esame esterno non è l’unico problema. Metteranno in discussione molto di più, magari porteranno anche l’intero sistema di repressione e sopruso sul punto di scoppiare. Le recenti proteste sono riuscite a destabilizzare l’intero set di relazioni politiche, dimostrando che la mobilitazione di massa, anche quando apparentemente motivata da una questione tecnica, politicizza l’intera situazione sociale. Hanno aperto una questione che è diventata politica e nella quale migliaia di cittadini hanno riconosciuto la propria lotta per la libertà e la giustizia. La seconda protesta, la più grande nella storia della Macedonia, si è conclusa con un appello alla determinatezza e persistenza nella lotta. Lo slogan “La libertà comincia dove finisce la paura” ha espresso esattamente quello che la società da troppo tempo nasconde e sopporta nella vita quotidiana. Tutto questo si è finalmente riversato sulle strade, considerando la politica più seriamente di quanto essa consideri se stessa.