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Željko Ivanović, fare giornalismo in Montenegro
Una serie di interviste realizzate da SEEMO a giornalisti del sud-est Europa che hanno subito minacce e aggressioni nel fare il loro lavoro. L’incontro con Željko Ivanović
(Intervista originariamente pubblicata da www.seemo.org)
Željko Ivanović è l’amministratore delegato di Daily Press, LLC, nonché fondatore ed editore di Vijesti, quotidiano di Pogdorica, Montenegro. Ha lavorato per il settimanale Monitor, Alternative Informative Network (AIM) e diversi altri media esteri.
In passato lei è stato vittima di una dura aggressione. Quando e come è accaduto?
Era il primo settembre 2007, un giorno importante perché Vijesti stava celebrando i suoi primi dieci anni di attività. Dopo l’attacco ebbi modo di dire che si trattò simbolicamente del modo del regime di farci i complimenti.
Per quanto riguarda gli eventi di quel giorno, ricordo che tutti noi di Vijesti andammo a festeggiare in un ristorante al centro di Podgorica. Quando lasciai il locale, alle due del mattino circa, tre persone mi stavano aspettando vicino alla mia auto armati di bastoni. Si trattò di uno schema classico, un gruppo organizzato di persone che mi avevano seguito ed erano pronte ad intimidire il direttore del giornale montenegrino più influente.
Venne portato in ospedale. Cosa le dissero i medici?
Trascorsi un paio di ore al Montenegro Clinical Centre, dove mi diagnosticarono una frattura allo zigomo e diversi ematomi in tutto il corpo. Fu soltanto grazie alla mia forza fisica che riuscii ad evitare danni maggiori se si pensa alla brutalità dell’attacco che ho subito.
Ci furono testimoni?
Sì, due: l’autista del nostro giornale, che vide e sentì gli aggressori dal parco al di là del ristorante prima che entrassero in azione, e un uomo che si trovava in un edificio di fronte alla mia auto parcheggiata. Sentì dei rumori e vide quegli uomini abbastanza distintamente dal suo balcone. In seguito, quando è stato avviato un processo a carico dei presunti colpevoli (che in realtà non erano gli uomini che mi avevano aggredito), entrambi i testimoni dichiararono di non riconoscerli perché le persone sedute al banco degli imputati avevano un aspetto fisico e una voce diversa da quella che loro associavano agli aggressori. Ma, dal momento che è stato il regime ad organizzare questa farsa, il pubblico ministero e il giudice hanno ritenuto i due uomini individuati come colpevoli per chiudere velocemente il caso. Questa messa in scena è stata per me più dolorosa dell’attacco in sé. E mi ha convinto ancora di più del fatto che fosse un gruppo di persone mosse dal regime ad agire nell’aggressione.
Come ha affrontato l’episodio dal punto di vista personale? Qualcosa è cambiato nella sua vita?
In un primo momento ero scioccato perché non avrei mai pensato che mi sarebbe accaduta una cosa del genere. Poi è arrivata la delusione, dall’aver capito che nulla sarebbe stato lo stesso dopo l’aggressione. Non è cambiato niente nell’impegno professionale e nella fede in un giornalismo credibile e professionale. Tuttavia, tante cose sono cambiate nella mia vita personale. Ho dovuto chiedere la scorta per la mia sicurezza e per quella dei nostri uffici.
L’aggressione ha colpito anche la sua famiglia? Come?
Certamente. La pressione è cresciuta anche su di loro, che sono andati via dal Montenegro, a Vienna, per un anno. Hanno a cuore la mia sicurezza più di quanto lo faccia io.
Lei è co-proprietario e direttore di uno dei maggiori quotidiani in Montenegro. Ci racconta degli altri attacchi ai danni di Vijesti avvenuti negli ultimi anni?
Negli ultimi otto anni, ci sono stati circa 10 attacchi violenti contro i nostri dipendenti e le proprietà del giornale. Dopo l’aggressione contro di me, altri attacchi simili e persino più brutali sono stati condotti contro i colleghi Tufik Softić, Mladen Stojović, Mihailo Jovović e Olivera Lakić. Le nostre auto sono state date alle fiamme tre volte, mentre un attacco dinamitardo è stato preparato sotto la finestra di uno dei nostri maggiori collaboratori.
Perché Vijesti è il target di questi attacchi?
Per via della nostra influenza e della nostra credibilità, ma anche dell’incapacità del regime di controllarci. L’atmosfera di linciaggio che il regime ha creato attraverso i suoi principali media, organi di stampa ufficiali, propagandistici, controllati dallo stato ci ha resi un target per chiunque sia connesso alla criminalità e alla corruzione, due temi che Vijesti segue con molta attenzione.
Ha qualche consiglio da dare ai giornalisti che potrebbero trovarsi in una situazione di pericolo, come nel suo caso? Come dovrebbero comportarsi?
E’ difficile dare consigli di questo tipo. L’unica cosa che si può fare è pregare di sopravvivere. Quando un gruppo organizzato, che sia governativo o afferente a strutture criminali, prepara un attacco contro di te non hai molto spazio per difenderti. È tutto nelle loro mani, tutto dipende dal loro piano; se decidono di uccidere, oppure “solo” di intimidirti con la violenza. E se sopravvivi non devi piegarti. Perché è meglio morire che essere umiliati.