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Veran Matić, la battaglia contro l’impunità

Una serie di interviste realizzate da SEEMO a giornalisti del sud-est Europa che hanno subito minacce e aggressioni nel fare il loro lavoro. L’incontro con Veran Matić

23/01/2015, SEEMO -

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(Veran Matić)

(Intervista originariamente pubblicata da www.seemo.org)

Veran Matić è amministratore delegato e caporedattore del portale web e radio B92 di Belgrado, dagli inizi nel 1989. Ha fondato e guidato l’Associazione dei media elettronici indipendenti serbi. È presidente del Fondo B92, impegnato in attività sociali ed umanitarie ed è direttore di Samizdat B92. È inoltre fondatore e presidente della Commissione di indagine sugli omicidi di giornalisti in Serbia. In 25 anni di lavoro ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti internazionali e locali, incluso il Premio annuale del Commitee to Protect Journalists (CPJ) di New York nel 1993, il premio Olof Palme Memorial Fund per il giornalismo professionale e la promozione del dialogo internazionale, il Premio Ilaria Alpi e l’MTV Free Your Mind Award. L’International Press Institute (IPI) l’ha selezionato come uno dei cinquanta World Press Freedom Heroes del periodo post Seconda guerra mondiale. Matić è stato insignito del più prestigioso riconoscimento francese, la Medaglia della Legione d’onore, e dell’importante premio serbo Medaglia Sretenje.

Lei vive sotto protezione della polizia. Ci spieghi perché…

Sono sotto protezione 24 ore su 24, 7 giorni a settimana. La polizia ha ritenuto infatti che la mia sicurezza e la mia vita sono in pericolo in qualità di capo-redattore di B92. Dall’anno scorso anche la mia collega Brankica Stanković, autrice e giornalista di Insider, un programma di giornalismo investigativo, è stata messa sotto scorta. Io sono responsabile dei contenuti di Insider perché ricadono sotto la mia responsabilità. La decisione di concederci la scorta è legata al programma televisivo che produciamo che esplora questioni tabù in Serbia, come questioni di corruzione, criminalità organizzata, l’operato di gruppi di hooligan, il saccheggio delle proprietà pubbliche.

Le minacce ci sono state rivolte in vari modi, soprattutto via internet, ma la valutazione sulla nostra sicurezza era più che altro legata alle informazioni raccolte dai servizi con diversi metodi. Io credo che il pericolo maggiore sia derivato dal nostro rifiuto di fare marcia indietro dopo aver ricevuto pesanti segnali sui pericoli che correva la nostra collega Stanković.

Si può lavorare sotto protezione? Come ne è influenzato il lavoro di giornalista?

Quando abbiamo capito che la vita di Brankica Stanković era in pericolo, abbiamo dovuto valutare quale era la risposta migliore da dare. Ci siamo chiesti se era possibile lavorare nonostante la protezione della polizia e la risposta che ci siamo dati è che una persona sotto protezione sarebbe stata in grado di portare avanti solo i normali compiti editoriali, e quindi il lavoro di Insider aveva bisogno di crescere, per poter rafforzare ulteriormente il nostro impegno.

Abbiamo realizzato nuove puntate di Insider, mostrando così resistenza e professionalità, anche in condizioni difficili. Tutto questo ha contribuito alla decisione di mettermi sotto protezione. L’edificio di B92 è protetto da molto tempo perché ci sono stati diversi tentativi di darlo alle fiamme.

Lavoriamo in condizioni dure da anni. Durante la guerra degli anni Novanta, sotto il regime di Milošević, siamo stati messi al bando quattro volte, e in quegli anni la nostra vita era in pericolo. Abbiamo quindi dovuto mettere in atto una strategia di reazione alle minacce e alla repressione, la più efficace delle quali è stata rafforzare la portata delle nostre attività creano un impatto più forte, un pubblico allargato.

Questo sta a significare che una risposta che porta risultati può essere sempre trovata, ma è importante la determinazione, così come il sostegno ai giornalisti minacciati e la reazione delle organizzazioni internazionali e degli altri giornalisti.

Lei presiede la Commissione d’inchiesta per gli omicidi dei giornalisti in Serbia. Come è nata l’idea di creare questo organismo? Quali sono gli obiettivi che si vogliono perseguire e quali i risultati fino ad ora ottenuti?

È molto importante reagire alle minacce in modo da poter diventare più forti e più efficaci nel proprio lavoro. Allo stesso tempo è importante indagare le minacce in modo approfondito, e cercare di scoprire chi ha perpetrato i crimini contro i nostri colleghi e chi ne era il mandante.

Ritenevo necessario risolvere la questione dei giornalisti assassinati in Serbia e poiché nulla era stato fatto per anni, proposi al Primo ministro, due anni fa, di costituire una Commissione di inchiesta. Avrebbe raccolto tutti i documenti delle indagini condotte fino ad oggi, e sarebbe stata composta da rappresentanti dei giornalisti e delle agenzie di sicurezza. La Commissione è stata creata e sono stati istituiti nuovi team investigativi dalla polizia e dai servizi di sicurezza e nuove indagini sono state aperte e condotte dai pubblici ministeri competenti.

Questo sforzo ha contribuito a risolvere il più famoso di questi omicidi, quello del collega Slavko Ćuruvija, avvenuto nel 1999. Ora questo caso è molto vicino all’epilogo. Molte nuove informazioni sono state raccolte, inoltre, a proposito del caso del collega Milan Pantić e mi aspetto che le indagini continuino con maggiore intensità adesso che è terminato uno sciopero degli avvocati durato per mesi.

Il blocco delle attività degli avvocati ha rallentato una serie di azioni che richiedevano il loro lavoro. Per risolvere il caso di Radislava Dada Vujasinović, molte competenze sono state fornite dall’Istituto nazionale forense dell’Aja, dal momento che i referti precedenti raccolti dagli esperti serbi si sono rivelati contraddittori. Credo che sia questa il modo più concreto per combattere l’impunità. Può diventare il modello di soluzione per situazioni analoghe. Una commissione simile è stata istituita in Montenegro, usando il nostro come modello.

Qual è il suo consiglio a chi ha subito minacce? Come ci si dovrebbe comportare?

Credo che nessuna minaccia debba essere sottostimata e che i pubblici ministeri, la polizia, le associazioni dei giornalisti e gli avvocati debbano esserne informati prontamente. È assolutamente necessario riportare le minaccia al pubblico sia locale che internazionale e chiedere sostegno. È necessario inoltre che i proprietari delle testate e le direzioni sostengano fortemente i propri giornalisti ed editori minacciati e dimostrino il proprio sostegno in modo continuativo e pubblicamente.

Queste misure non devono mai essere trascurate, con la scusa che si tratta solo di perdite di tempo, o qualcosa del genere. Soltanto prestando la dovuta attenzione anche ai casi apparentemente minori, sarà possibile alzare il livello di attenzione delle istituzioni verso la sicurezza del lavoro giornalistico. E questo può rendere possibile prevenire con successo le minacce future. Soltanto i casi pienamente risolti e i casi che incontrano la sentenza di una corte possono rappresentare dei messaggi positivi, messaggi che dicono che l’impunità non è un’opzione, e che i responsabili vanno incontro alla giustizia per quello che hanno fatto.

La Commissione collabora con lo stato e in un certo senso fa il lavoro sia della polizia che del sistema giudiziario. Le istituzioni non sono obbligate a risolvere i casi di omicidio?

Certamente, ognuno dovrebbe fare il proprio lavoro: le istituzioni competenti sono tenute a farlo. Ma se 15-20 anni trascorrono da un omicidio senza che il caso venga risolto, questo viene chiuso. Questo è il motivo per cui ho deciso di impegnarmi personalmente, per tracciare una linea, e risolvere i casi irrisolti. Volevo che venisse introdotto un criterio chiaro nella determinazione di questi crimini e nella loro prevenzione e per una risoluzione più rapida dei procedimenti pendenti.

I casi non chiusi sono un fardello per tutti noi, perché accrescono la sfiducia tra i giornalisti e le istituzioni.

Questo è il motivo per cui è importante che noi come giornalisti dimostriamo di avere a cuore il problema. E lo possiamo dimostrare non solo facendo dichiarazioni il giorno dell’anniversario della scomparsa di qualcuno, o rilasciando un po’ di dichiarazioni pubbliche, ma facendo in modo che sia ovvio che tutti i casi di omicidio ottengano un corso giudiziario ed una sentenza e noi siamo pronti a mettere in pericolo persino la nostra sicurezza per raggiungere questo obiettivo.

Nel caso dell’omicidio di Slavko Ćuruvija, sono stati incriminati il capo della polizia segreta di Milošević e altri due alti ufficiali, insieme ad un altro sospettato – latitante – nei confronti del quale l’Interpol ha emesso un mandato di arresto internazionale. Questi fatti, insieme ad altri casi in corso di investigazione, ci mettono naturalmente tutti in pericolo quando chiediamo con insistenza che si faccia chiarezza. Ma questo è il prezzo che dobbiamo pagare, e ciascuno dovrebbe essere pronto a pagarlo per alzare il livello di sicurezza quando si tratta del lavoro dei giornalisti e dei media.

In caso di attacchi o minacce contro i giornalisti, quanto significativo è il sostegno di organizzazioni internazionali come SEEMO?

Il sostegno in sé può anche non voler dire niente. Ma se invece ci sono redazioni unite, se le associazioni locali e le ONG si uniscono in una rete e acquisiscono forza per difendere le violazioni dei diritti umani e la libertà di espressione, in quel caso le organizzazioni internazionali possono fornire un’assistenza significativa. Possono ad esempio informare il pubblico internazionale e spingere affinché vengano fatte pressioni per prevenire le minacce e rendere più sicuri i giornalisti e gli organi di stampa. E poi naturalmente le organizzazioni internazionali possono anche mettere a punto interventi mirati per limitare i possibili pericoli attraverso l’istituzione di rifugi sicuri per i giornalisti, o garantendo la solidarietà dei colleghi attraverso un network professionale più forte.

In situazioni dove le istituzioni statali non vogliono proteggere i giornalisti è particolarmente importante che le organizzazioni internazionali riempiano questo vuoto attraverso la solidarietà e l’aiuto finanziario agli operatori dei media in difficoltà. Credo inoltre sia importante creare strutture e modalità d’agire su cui i giornalisti possano appoggiarsi in situazioni di emergenza. Sono sicuro che questo li aiuterebbe a fare il proprio lavoro in modo più professionale, oltre a proteggere la loro sicurezza e a salvar loro la vita.

È di cruciale importanza non lasciare la situazione in mano a frange violente della società, rimanendo inattivi. Dobbiamo invece mostrare, attraverso queste azioni, che non sarà facile mettere in pericolo i giornalisti senza incontrare resistenze e che le violazioni alla sicurezza dei giornalisti incontreranno una punizione adeguata.

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