Banja Luka: la tentazione della censura

La proposta di legge sull’ordine pubblico presentata dal governo della Republika Srpska è stata approvata dal parlamento dell’entità, nonostante le numerose voci che, a livello locale e internazionale, ne avevano chiesto il ritiro. Le reazioni

06/02/2015, Andrea Oskari Rossini - Sarajevo

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(Foto semihundido, Flickr )

Il Parlamento di Banja Luka ha approvato nella sua seduta di ieri, 5 febbraio, la controversa proposta di legge su “Pace e ordine pubblico nella Republika Srpska”.

Nei giorni scorsi le associazioni dei giornalisti della Bosnia Erzegovina, insieme a diverse organizzazioni internazionali per la libertà dei media e i diritti umani, avevano duramente criticato il disegno di legge, chiedendo alle autorità di ritirarlo.

La legge espande il concetto di “luogo pubblico” fino a comprendervi internet, prevedendo pene di varia entità per chi ne violi l’ordine.

Al momento del voto, le opposizioni hanno abbandonato la sala dichiarando di non voler votare un “atto dittatoriale”.

La proposta era stata presentata dal governo dell’entità guidato da Željka Cvijanović, dell’Unione Indipendente Socialdemocratica (SNSD), il partito del presidente della RS, Milorad Dodik.

Nelle settimane scorse la stessa Cvijanović era stata al centro di un caso di intercettazioni pubblicate dal portale informativo Klix.ba .

Secondo quanto riportato, nell’intercettazione si poteva udire la voce della premier dare assicurazioni sul voto di alcuni parlamentari, decisivi per la costituzione del governo, che sarebbero stati comprati.

La pubblicazione, la cui autenticità è stata negata dalla premier, aveva portato alla brusca perquisizione della sede del portale sarajevese e al sequestro da parte della polizia bosniaca di alcuni materiali redazionali.

La rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media, Dunja Mijatović, il 27 gennaio scorso ha inviato una lettera al portavoce del parlamento della RS , Nedeljko Čubrilović, chiedendo di non approvare la legge.

Secondo la Mijatović, estendere la definizione di luogo pubblico ai social media significa “rischiare che termini vaghi come disturbo dell’ordine pubblico e simili possano essere usati per sanzionare e limitare la libertà di espressione […] con il rischio di abusi e accuse arbitrarie.”

Per la rappresentante dell’OSCE, la libertà di espressione online dovrebbe essere lasciata a meccanismi di autoregolamentazione, e sanzioni legali dovrebbero essere adottate solo nei casi di incitamento alla violenza.

Ieri, dopo l’approvazione del testo definitivo, la Mijatović ha dichiarato che si tratta di una legge “devastante per la libertà di espressione e per la libertà dei media online in Republika Srpska”.

Anche l’associazione dei giornalisti della Bosnia Erzegovina , parte della Federazione Internazionale dei Giornalisti, aveva invano richiesto al governo della RS di ritirare la proposta, sostenendo in un comunicato che “espandere la definizione di luogo pubblico dal mondo reale a quello virtuale rappresenta la più grave forma di violenza contro la libertà di espressione imponendo la censura su internet, violando direttamente la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e le convenzioni internazionali sulle libertà civili e sociali.”

Dello stesso tenore il comunicato dell’associazione dei giornalisti della RS , secondo cui la legge approvata “minaccia la libertà dei media, di pensiero e di parola garantite dalla costituzione della RS”.

Anche la Delegazione dell’Unione Europea in Bosnia Erzegovina ha ieri diramato un comunicato nel quale si sottolinea che “le definizioni [adottate] nella legge della RS sull’ordine pubblico rimangono vaghe e lasciano troppo spazio alla implementazione arbitraria”, aggiungendo che l’UE “ne monitorerà da vicino gli sviluppi”.

La legge dovrà ora passare dalla Camera dei Popoli (Vijeće naroda) dell’entità e poi essere promulgata dal presidente della RS.

Il vice presidente del PDP, Zoran Djerić, all’opposizione, ha dichiarato che il governo della RS dovrebbe concentrarsi sull’economia, il sistema sanitario e l’istruzione e che la RS “non ha bisogno di leggi simili a quelle in vigore nella Corea del Nord, ma di leggi moderne in linea con gli standard internazionali ed europei.”

Il presidente dell’associazione dei giornalisti di Banja Luka, Siniša Vukelić, ha invece ricordato che verranno prese in considerazione tutte le misure possibili per opporsi a questa legge, dai ricorsi costituzionali alle proteste, “fino al possibile invito a tutti i colleghi giornalisti al boicottaggio dei lavori del governo della RS.”

Il direttore del Media Centar di Sarajevo, Boro Kontić, ha pubblicato questa mattina un lungo commento nel quale ripercorre tutti gli attacchi portati negli ultimi otto anni alla libertà dell’informazione e a qualsiasi voce “dissonante” dal governo della Republika Srpska sotto la guida dell’attuale presidente, Milorad Dodik. Secondo Kontić, l’attuale provvedimento non è che la logica conseguenza del clima politico vigente nell’entità, e ne rappresenta il “coronamento”.

Dello stesso tenore la dichiarazione del presidente del Comitato di Helsinki per i Diritti Umani della Republika Srpska, Branko Todorović, secondo cui “le radici di questo provvedimento stanno nelle proteste che si sono svolte un anno fa.”

Domani, 7 febbraio, ricorre infatti in Bosnia Erzegovina il primo anniversario delle proteste che, partite dalla città di Tuzla, si erano estese a tutto il paese con rivendicazioni di tipo economico, sociale e per un cambio generale nella politica del governo. Nel corso delle dimostrazioni erano state distrutte le sedi di 4 governi cantonali. Dopo l’iniziale fiammata di protesta, il movimento si era stabilizzato in una serie di “Plenum” civici che hanno continuato le proprie attività in forma di assemblee aperte. Per la giornata di domani, diverse associazioni hanno chiamato i cittadini a dimostrare pacificamente per festeggiare il “compleanno” della democrazia.

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