La vergine giurata
Si chiude domenica 15 febbraio il Festival di Berlino. Ieri è stato presentato "Vergine giurata", lungometraggio di debutto di Laura Bispuri. Una recensione
In un’ottima edizione del 65° Festival di Berlino, con un concorso che ha tenuto fede alle alte aspettative, è arrivato quasi in chiusura “Vergine giurata”, lungometraggio di debutto di Laura Bispuri con Alba Rohrwacher. Una coproduzione Italia, Albania, Kosovo, Germania e Svizzera per portare sullo schermo il romanzo omonimo di Elvira Dones pubblicato da Feltrinelli nel 2007.
La storia
Un uomo schivo, Mark, lascia le montagne albanesi e suona alla porta di un condominio di Bolzano. Cerca Lila, una donna d’origine albanese che vive lì con il marito e la figlia Jonida. Sono fratello e sorella, ma le cose non sono come sembrano. Con una serie di flashback si scopre che i due erano in realtà cugini e che Mark era Hana: da ragazzina restò senza genitori e con una passione per attività in Albania riservate ai maschi, come sparare o andare in giro da sola. Presa in casa dagli zii, per evitare scandali decise di sottomettersi alla legge del Kanun e diventare vergine giurata: assumere un’identità maschile e rinunciare all’amore e al sesso. Fino al viaggio in Italia alla ricerca di Lila, con la quale aveva un rapporto strettissimo.
Il risultato è un film sicuramente interessante e meritevole e nell’insieme riuscito, rispettoso nell’approccio, pur se non privo di qualche debolezza e incertezza. La prova di Emily Ferratello nella parte di Jonida non è convincente e l’effetto di specchio tra nipote e Mark nel darsi forza e stimoli l’uno con l’altra verso il cambiamento è troppo esplicito e sviluppato con superficialità. Meglio la parte albanese di quella italiana e da menzionare l’interpretazione di Flonja Kodheli nella parte di Lila, una bella scoperta che probabilmente rivedremo presto. Il rapporto tra Hana e Lila, sia giovani sia adulte, è uno dei pregi maggiori di un film che cerca nel contrasto di paesaggi (le montagne impervie contro le palazzine anonime) e di corpi (non a caso la nipote pratica nuoto sincronizzato) un suo marchio.
Voci
“Ho scoperto questa cosa leggendo il romanzo e lì è nato il mio interesse e la voglia di approfondire – ha spiegato la regista – mi ha colpito l’originalità e la forza del romanzo e la sua trama. Ho sentito che c’era un legame con i miei cortometraggi precedenti e che ci avrei potuto mettere molto di me. Credo sia anche un film molto fisico”. “Sono stata più volte nel nord dell’Albania – ha aggiunto Laura Bispuri – ho visto un documentario e ho letto tutto quello che credo sia disponibile sull’argomento. Ho incontrato diverse vergini giurate, anche di 60 anni e oltre. Mi ha molto colpito una di 35, che ha un atteggiamento molto duro. Parlando mi ha detto che per lei l’amore equivale alla morte. Sono tutte molto fedeli alla parola data. Una, Pal, compare anche due volte nel film”.
“Ho letto la sceneggiatura e poi il libro – ha invece dichiarato Alba Rohrwacher – il film mi è sembrato subito interessante ma un po’ ambizioso, soprattutto per me. Dovevo confrontarmi con un lavoro nuovo e un paese, una realtà che non conoscevo. Ho accettato perché vedevo che Laura aveva fiducia ed era sicura che ce l’avremmo fatta e con incoscienza mi sono messa a studiare una lingua difficilissima”. “Ho incontrato alcune di queste vergini giurate – ha proseguito l’attrice – mi hanno raccontato il loro percorso. E ho conosciuto Pal che è sempre stata benevole e con uno sguardo accogliente verso di noi, è una persona che si è costruita una prigione ma è molto aperta verso l’esterno. Non è di certo un film sulle differenze tra noi e l’Albania, anche là è sempre meno così. Il nostro film è il percorso di una di loro”.
Altri film
In concorso, tra quelli che possono puntare a un premio, anche il potente affresco storico della Romania “Aferim!” di Radu Jude. Il terzo film del regista di “The Happiest Girl in the World” (2009) e “Everybody in Our Family” (2012) è ambientato nella Valacchia del 1835, al tempo occupata dai russi con i boiardi. L’avventura picaresca di un ufficiale che, accompagnato dal figlio, percorre a cavallo le campagne e le valli alla ricerca di uno zingaro schiavo accusato di essere l’amante della moglie del suo padrone. Un viaggio in un paese conteso, poverissimo, zeppo di pregiudizi verso gli altri, ebrei e rom (chiamati comunemente e sprezzantemente “corvi”). Il quadro di una società molto gerarchica e piramidale, dove le leggi cambiano a seconda dei signorotti locali e così la giustizia e le angherie subite dai contadini. Una pellicola in bianco e nero con tanti lunghi pianisequenza e molto ben recitata, con alcuni dei più bravi attori romeni, dal protagonista Teodor Corban a Luminita Gheorgiu e Victor Rebengiuc. Quasi un western fatto di incontri, con parecchi momenti da ricordare, dalle perquisizioni nelle famiglie alle danze all’incontro con un pope ortodosso.
Valido è anche l’altro romeno “De ce eu? – Why Me?” di Tudor Giurgiu, nella sezione Panorama. Una storia che inizia nel marzo 2002 e ispirata alla vera vicenda di un giovane magistrato suicida. Il giovane e ambizioso procuratore Cristian si vede assegnato un caso importante, l’indagine su un collega più anziano accusato di corruzione. Nella sua inchiesta si ritrova molto esposto in pubblico, ma le prove contro Leca mancano e i testimoni proclamano la sua estraneità: i superiori però insistono per andare avanti. Cristian scopre un caso di corruzione molto più ampio e grave, che coinvolge anche la SRI, l’erede della Securitate. Mentre prosegue l’indagine, aumentano i dubbi e le paure di colui che la conduce, che comincia a provare la solitudine e la paranoia. Un dramma cupo, molto concentrato sul protagonista, nel suo passare dalla speranza che sia il caso della sua vita che gli assicurerà una luminosa carriera ai tormenti e alla crisi. Un film sulla corruzione dilagante in quegli anni (sui titoli finali scorrono dati inquietanti sui primi anni 2000 con il governo Nastase) e sulla ricerca ossessiva della verità, sulle sue ambiguità, sui suoi costi, sui compromessi da fare.