Trnovi, una moschea di provincia

L’ennesimo attacco nei confronti dell’imam di Trnovi mostra il potenziale conflitto in Bosnia Erzegovina tra Islam tradizionale e nuovi gruppi

25/02/2015, Andrea Oskari Rossini - Sarajevo

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Bosnia, moschea (Foto annaspies, Flickr )

Sabato scorso, per la quarta volta in due mesi e mezzo, l’imam di un piccolo paesino della Bosnia nord occidentale è stato aggredito e ferito da alcuni sconosciuti.

Selvedin Beganović è la guida spirituale della comunità islamica di Trnovi, vicino a Velika Kladuša. L’anno scorso Beganović aveva inviato una lettera aperta a Husein Bosnić, detto Bilal, considerato uno dei leader informali del movimento wahabita in Bosnia Erzegovina e arrestato in settembre dai servizi di sicurezza bosniaci.

Nella lettera, secondo quanto riportato dai media locali, Beganović prendeva nettamente posizione contro la pratica di reclutare e inviare giovani dalla Bosnia Erzegovina a combattere in Siria e Iraq. “Quella non è la nostra guerra – ha poi dichiarato l’imam ai giornalisti. La nostra jihad in Bosnia è la lotta contro la disoccupazione, la cura per i nostri genitori che hanno pensioni minime, la cura per le persone socialmente a rischio.”

La comunità islamica della Bosnia Erzegovina è una delle più importanti in Europa per storia, tradizione e numero di aderenti. Il suo leader, Husein Kavazović, ha condannato duramente l’attacco di sabato scorso contro Beganović, protestando per l’incapacità degli organi di sicurezza di garantire adeguata protezione all’imam.

La storia dell’imam di Velika Kladuša è già nota da tempo non solo ai media locali, ma anche a quelli internazionali. All’inizio di gennaio la Associated Press aveva raccolto la sua storia , sottolineando la relazione diretta tra gli attacchi subiti dall’imam e le sue nette prese di posizione contro le guerre in Siria e Iraq.

In un accorato editoriale pubblicato lunedì dal Bosnia Daily, la caporedattrice Amra Zimić si chiede come sia possibile che l’imam Beganović, “che da tempo è obiettivo di radicali islamici che cercano di impaurirlo, ferirlo e forse ucciderlo […] sia lasciato senza protezione dalla polizia e dai servizi di sicurezza [della Bosnia Erzegovina].” Secondo la giornalista, il caso di Beganović dimostra che i servizi anti t[]ismo della Bosnia Erzegovina sono inadeguati, non professionali e “forse anche deliberatamente deviati per lasciare spazio ad estremisti, forse anche a t[]isti.”

I media europei sono molto apprensivi rispetto al rischio rappresentato dall’islam radicale in Bosnia Erzegovina, data la presenza nel Paese di una numerosa componente musulmana. La comunità islamica della Bosnia Erzegovina, però, è estranea ai fenomeni di radicalismo. Nei giorni successivi all’attentato di Parigi, l’Ambasciatore italiano a Sarajevo, Ruggero Corrias, ha visitato il leader della comunità, Husein Kavazović, elogiandone l’atteggiamento ispirato al dialogo e alla moderazione.

La specificità della Bosnia, sotto il profilo del pericolo t[]ista, non sta nella sua numerosa popolazione musulmana. La comunità islamica tradizionale, nella quale si riconosce la stragrande maggioranza della popolazione di fede musulmana, è impegnata in una dialettica aspra con i nuovi gruppi, come dimostra l’episodio di Velika Kladuša. La profonda crisi sociale ed economica in cui versa il Paese, però, può rappresentare un terreno fertile per il diffondersi della propaganda estremista, soprattutto in assenza di un’adeguata azione di prevenzione da parte dei servizi di sicurezza.

All’inizio di febbraio, i media internazionali hanno dato ampio risalto alla notizia di alcune bandiere dell’ISIS fotografate nel villaggio di Gornja Maoča, presso Srebrenik. Il villaggio è noto per essere la sede di un gruppo di radicali islamici. A Gornja Maoča aveva risieduto anche Mevlid Jašarević, condannato l’anno scorso a 15 anni di reclusione per aver sparato con un kalashnikov contro la sede dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Sarajevo, nel 2011. La polizia bosniaca ha effettuato un raid nel villaggio dopo che le immagini delle bandiere avevano cominciato a circolare su internet, ma senza risultati.

Dopo l’ultimo attacco all’imam Beganović, sono state fermate 4 persone. Il portavoce del ministero degli Interni del cantone Una-Sana, Ale Šiljdedić, ha dichiarato che l’imam – colpito da coltellate alla schiena, al torace e all’avambraccio sinistro, è ora fuori pericolo. “L’inchiesta è in corso – ha aggiunto Šiljdedić, e i risultati saranno comunicati al pubblico al momento opportuno.”

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