Alla Berlinale la Romania è di casa
Anche quest’anno il cinema romeno ha raccolto grandi consensi al Festival del cinema di Berlino, tenutosi lo scorso febbraio. Una panoramica su tutti i premi assegnati nella 65ma edizione
L’ennesimo, meritato, premio alla scuola romena. Si è concluso così il 65° Film Festival di Berlino che ha visto l’Orso d’oro andare verso l’Iran, dal quale non può uscire (e non potrebbe neppure girare film) Jafar Panahi che in “Taxi” sostituisce l’ironia alla frustrazione per raccontare il presente e i problemi del suo paese.
Ad “Aferim!” di Radu Jude è andato l’Orso d’argento per la regia, ex equo con la polacca Malgorzata Szumowska di “Body”. La giuria ha riconosciuto la grande capacità del regista romeno, al terzo lungometraggio e con diversi corti all’attivo, di mettere in scena magistralmente un’avventura picaresca nella Valacchia del 1835 e raccontare vecchi e nuovi pregiudizi e soprusi sempre attuali da parte dei potenti e dei piccoli signori.
Senza premi “Vergine giurata”, di Laura Bispuri con Alba Rohrwacher, Flonja Kodheli, Lars Eidinger e Luan Jaha, storia tra Albania e Italia dal libro omonimo di Elvira Dones pubblicato da Feltrinelli. E trascurabile il film d’apertura, “Nobody Wants the Night” di Isabel Coixet, coproduzione Spagna/Francia/Bulgaria, dove a Sofia sono state girate solo le scene in studio.
Solo il premio per il miglior contributo tecnico, alla fotografia di Evgeny Privin e Sergej Mikhalchuk, per il russo “Pod electricheskimi oblakami – Under Electric Clouds” di Alexei German jr. Riconoscimento al lavoro per l’aspetto visivo che non valorizza abbastanza una delle pellicole più forti della competizione. Una potente e incisive riflessione su una Russia (siamo nel 2017) impaurita dove si respira aria di guerra, non si conosce la storia recente e si discriminano gli ebrei. Un film felliniano, diviso in capitoli collegati tra loro, tra incubi, sogni, assurdità, personaggi smarriti, statue di Lenin che indicano il nulla, strade non finite e morti.
Quasi sugli stessi sentimenti si muove l’altro russo “Pionery-geroi (Pioneer Heroes)” di e con Natalia Kudryashova, nella sezione Panorama. Un bel film, convincente e ben costruito anche se, naturalmente, ha ambizioni non paragonabili a quelle di German. Tre ragazzini compagni di classe che nel 1987 a Novgorod devono diventare “giovani pionieri di Lenin” e 25 anni adulti dopo in uno scenario completamente mutato e con più ombre che luci.
Ha ricevuto il premio dei lettori del Tagesspiegel “Flotel Europa” di Vladimir Tomić, bel documentario autobiografico presentato nella sezione Forum. Prende il titolo dalla nave dove il regista, profugo a Copenhagen con la madre e il fratello maggiore, fu alloggiato e visse per circa tre anni. Nell’estate 1992, anziché come di consueto andare al mare in Croazia, i tre partono per la Danimarca per sfuggire alla guerra a Sarajevo. In città resta solo il padre, che la moglie cerca di raggiungere telefonicamente, mentre i figli non sanno che raccontare, ma talvolta gli inviano delle cassette vhs con dei videomessaggi.
Tomić con la sua voce ricostruisce avvenimenti, ricordi e sensazioni di quel tempo: la vita dei profughi, il senso di nuova comunità, la nostalgia di casa, la voglia di inserirsi nella nuova città, le notizie che arrivano. Una nave divenuta casa per un migliaio di persone, un paese galleggiante nel mezzo di un’altra città, portandoci i sapori e gli odori (quello di caffè si diffonde subito, sottolinea la voce) provenienti da una città ancora più lontana e assediata. Un momento di passaggio e di svolta è rappresentato dall’apprendere dell’uccisione dello zio Nenad. Tomić cita più volte il film cult “Boško Buha” (1978) di Branko Bauer, nel quale un gruppo di ragazzini si univano ai partigiani contro i nazisti e Boško Buha divenne una leggenda per la sua capacità di distruggere le postazioni nemiche. C’è una tenerezza, una nostalgia mitigata in “Flotel”, c’è la vita da profugo raccontata in maniera originale e personale, senza lamentele, senza indugiare su cosa mancava, conservando un po’ lo sguardo del bambino che il regista era al tempo. E torna fuori anche la simpatia e l’amore per la coetanea Melisa, tanto che il film ha pure un lato romantico.
Ancora in Forum un esordio interessante dalla Turchia, “Until I lose my Breath/Nefesim kesilene kadar” di Emine Emel Balci. Serap (Esme Madra) è una ragazza ventenne appena uscita dall’orfanotrofio perché il padre era in carcere. Si è sistemata a casa della sorella, ma non sopporta il cognato invadente e violento. Ha però trovato lavoro in una sartoria e stabilito un’amicizia con una collega. Il suo obiettivo è cercare il padre che ora fa il camionista su lunghe distanze e stabilire un rapporto con lui. Il suo desiderio è vivere assieme a lui, che è però evanescente e preso dalle sue cose, e poi riuscire a emigrare. Un buon film di pedinamento alla Dardenne, che ricorda anche “Uzak” di Ceylan (senza averne lo stile visivo) nelle atmosfere. Non accade moltissimo, c’è l’ostinazione della ragazza a riprendersi la vita, a raggiungere i suoi scopi e alla fine raggiunge una consapevolezza. La protagonista sta praticamente sempre in scena e si porta addosso il film.
Sempre turco, incluso nella sezione Generation per ragazzi, è l’ancora più convincente "Snow Pirates – Kar korsanlari" dell’altro esordiente Faruk Hacihafizoglu. Un film che inizia con un gruppo di ragazzini che gioca d’inverno con la neve e racconta delle storie. Siamo a Kars, nell’est della Turchia, sotto la dittatura, a inizio anni ‘80. Il protagonista Serhat vive con il nonno e la madre: sogna il cinema e il pattinaggio, ma non c’è carbone per scaldare le case. Intanto suo fratello Vedat, che sta in una casa piena di libri, non può andare all’università per via dei militari. I ragazzi cercano di procurarsi il carbone, destinato tutto agli uffici e negato ai cittadini comuni. Prima recuperano quello di scarto, poi raccolgono quello che cade dai mezzi che lo trasportano, poi provano a rubarne un po’. Il dramma è in agguato, pur con la delicatezza che il regista dosa. La dittatura negli aspetti che più toccano la vita delle persone, anche dei bambini. Un film quasi neorealista, una bella storia, un bel gruppo di ragazzi, un bello sguardo sulle cose. Nel suo piccolo, un gioiellino.