Ucraina: tregua o non tregua

Un mese fa iniziava il cessate il fuoco nell’est dell’Ucraina. Tra il rimpallo delle accuse di violazioni della tregua e il timore di un attacco separatista a Mariupol’, gli accordi di Minsk-2 sembrano tutto sommato tenere. Ma non tutto lascia sperare per il meglio

13/03/2015, Danilo Elia -

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Ucraina (Norma Desmond/flickr)

A Mariupol’ si preparano al peggio. Nonostante la tregua in atto, nonostante il ritiro di gran parte dell’artiglieria pesante dalla fascia demilitarizzata, la città portuale sul Mar d’Azov sotto il controllo governativo rimane un obiettivo dichiarato dei separatisti filorussi. Mariupol’ è stata oggetto a fine gennaio di un attacco a ciel sereno con missili grad, ma anche nei giorni scorsi fonti locali hanno riportato intensi bombardamenti con mortai nel villaggio di Shyrokyne, dove si trovano le postazioni avanzate dell’esercito ucraino, a meno di dieci chilometri da Mariupol’.

A quasi un mese esatto dall’inizio della nuova tregua siglata a Minsk dal cosiddetto “quartetto Normandia” – Ucraina, Russia, Francia e Germania – le sorti del Donbass sono tutt’altro che certe. Già all’indomani dell’inizio del cessate il fuoco, erano in molti a decretarne il fallimento. L’offensiva separatista sulla cittadina di Debaltseve, partita quando l’inchiostro delle firme di Minsk non si era ancora asciugato, aveva fatto giustamente pensare al peggio.

Se i rappresentanti delle cosiddette repubbliche di Donetsk (Dnr) e Luhansk (Lnr) nel gruppo di contatto avevano dato il loro benestare allo stop nell’uso delle armi e dopo poche ore la milizia attaccava con ogni mezzo l’esercito ucraino che controllava l’importante snodo strategico, i dubbi che il protocollo di pace firmato dai quattro (senza i rappresentanti di Dnr e Lnr) fosse carta straccia erano più che legittimi. Ma, una volta che i miliziani hanno ottenuto quello che volevano, i passi verso la realizzazione della fascia demilitarizzata lungo la linea di confine tra i territori separatisti e quelli controllati dal governo hanno cominciato lentamente a muoversi. Il problema è ora capire se c’è qualcos’altro che fa gola ai filorussi.

Prendere Mariupol’

“Faremo tutto il possibile per prendere Mariupol con mezzi politici”, ha detto Denis Pushilin, il rappresentante della Dnr presso il gruppo di contatto. Le sue parole non hanno però lasciato intendere cosa potrebbe accadere se i mezzi politici non dovessero bastare. E gli attacchi di questi giorni alle porte di Mariupol’ non fanno presagire niente di buono.

Nel frattempo, stando a quanto comunicato dalla missione speciale dell’Osce in Ucraina, che è incaricata di controllare il rispetto del protocollo di Minsk-2, le due parti in guerra stanno portando avanti il ritiro dell’artiglieria dalla fascia demilitarizzata. Anche qui, però ci sono non pochi dubbi. Intanto, fonti locali riferiscono dell’uso di mortai negli attacchi di Shyrokyne. Mentre la stessa missione dell’Osce non riesce a compilare un report periodico senza elencare le numerose violazioni della tregua, da entrambe le parti. E sempre l’Osce riporta l’avvistamento, anche con l’uso di droni dedicati, di numerose postazioni di artiglieria o carri armati all’interno della zona demilitarizzata.

Eppure, non si può dire che nel suo complesso la tregua non stia tenendo e che gli accordi non siano rispettati.

A Minsk si è concordato un immediato e totale cessate il fuoco, il ritiro dell’artiglieria pesante e delle armi tattiche dalla linea di contatto, lo scambio di tutti i prigionieri di guerra, l’amnistia per tutti i separatisti, l’avvio dei negoziati per l’indizione di elezioni secondo la legge ucraina. Il ritiro delle armi è scaglionato in base alla loro capacità offensiva, 50 chilometri per quelle di calibro superiore a 100 millimetri, 70 chilometri per i lanciamissili (Mslr), 140 chilometri per i missili Tornado-S, Uragan, Smerch, Tochka, e Tochka-U.

Niente di buono

Stando a quanto riportato dalla missione dell’Osce e alle informazioni indipendenti che arrivano da chi è sul campo, non si può parlare quindi di un totale cessate il fuoco. Oltre alla periferia di Mariupol’, scontri si registrano quasi quotidianamente a nord di Donetsk, nell’area dell’aeroporto e nel sobborgo di Pesky. Eppure l’artiglieria ha smesso di martellare con insistenza le zone abitate e la stessa città di Donetsk dove, appena poche ore prima dell’inizio della tregua, si moriva a una fermata di un bus o in un mercato. Ogni giorno.

Sembrerebbe invece che le parti in guerra stiano attuando il ritiro dell’artiglieria dalla fascia demilitarizzata, seppur in ritardo sui tempi pattuiti e a macchia di leopardo. È una nota positiva, ma non necessariamente un punto a favore di una duratura prospettiva di pace. Non ci vuole davvero molto, in caso di una improvvisa ripresa delle ostilità, a riportare tutte le armi in campo.

Un indicatore più affidabile in questo senso sono gli impegni politici assunti a Minsk. Al quarto punto si prevede che non più tardi del trentesimo giorno dalla firma del protocollo la Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, debba adottare una risoluzione per determinare nel dettaglio a quali territori sarà garantito lo status di autonomia speciale. A tutt’oggi la Rada non ha ancora predisposto il documento, anche se il vicecapo dello staff presidenziale, Vitaliy Kovalchuk, ha dichiarato di non escludere "che la risoluzione sarà adottata nella prossima settimana, durante la sessione già in calendario”.

Molti sono però ancora i problemi da risolvere. Tanto per cominciare non è chiaro cosa si intenda esattamente per “status speciale di autogoverno locale” e, soprattutto, resta da vedere fino a che punto alle autorità separatiste andrà bene una concessione di autonomia da parte di Kiev su territori già de facto indipendenti e pienamente sotto il loro controllo.

La risoluzione dovrebbe essere poi il primo passo verso elezioni locali da tenersi sotto il controllo ucraino e secondo la legge ucraina, scenario che al momento sembra davvero poco credibile.

Su queste premesse dovrebbe avviarsi il dialogo tra il governo di Kiev e le autoproclamate autorità separatiste per trovare una soluzione duratura al conflitto, sempre secondo quanto pattuito a Minsk. Ma finora non si registra alcun progresso in tal senso. A questo si aggiungano le parole di Lavrov e Steinmeier. I due ministri degli esteri russo e tedesco, che si sono sentiti al telefono l’11 marzo, hanno convenuto sul fatto che “la situazione in Ucraina, nonostante alcuni progressi nell’implementazione degli accordi di Minsk, rimane tesa”. Volendo leggere tra le righe del diplomatichese non c’è da aspettarsi niente di buono.

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