Miracolo a Yerevan
Le parole pronunciate da Papa Francesco domenica sul genocidio armeno hanno raggiunto una Yerevan in preda all’entusiasmo. Freddezza invece per il basso profilo che il governo italiano sembra riservare alle prossime celebrazioni del centenario
Il centenario del Genocidio armeno sembra aver preso una piega imprevista, negli ultimi giorni a Yerevan. La capitale armena, città sobria e dall’apparenza pigra e sonnecchiosa – un po’ come la provincia italiana immortalata da Fellini nei Vitelloni – è stata travolta da un’ondata di entusiasmo incontenibile e a tratti quasi surreale. Un’esperienza liberatoria, forse, ma scomposta, secondo il giudizio di alcuni: ma si tratta solo di una sparuta minoranza. Nonostante il momento difficile per il paese – o meglio: forse proprio a causa di questo – i più si sono lasciati andare e la commemorazione si è tramutata per poco più di una settimana, incredibilmente, in una festa. E si è sfiorato il delirio.
Il culmine delle celebrazioni si avrà come da tradizione, il 24 aprile, data in cui si ricorda quello che si ritiene essere il punto d’avvio di questa tragedia: fu questa la notte in cui, nel 1915, alcune centinaia di intellettuali armeni vennero prelevati dalle loro case a Istanbul e in altre città dell’Impero ottomano per essere deportati e uccisi. Ebbene, a solo pochi giorni da quest’appuntamento con la storia – sentissimo ancora oggi da tutti gli armeni – la piccola nazione caucasica è stata travolta da un ciclone di intensità mai viste, almeno a queste latitudini. E questo portento della natura ha un nome, o meglio un cognome, tipicamente armeno: sono le sorelle Kardashian.
Le sorelle Kardashian
Le celebri star della TV americana sono sbarcate a Yerevan per una visita di otto giorni, da poco conclusa, all’insegna della riscoperta delle loro radici paterne: il padre Robert era infatti un armeno americano di terza generazione. L’occasione si è sposata al supporto da loro offerto – da PR, come amano ripetere come in un mantra gli armeni in questi giorni – alla causa del riconoscimento internazionale del genocidio. In aggiunta, il viaggio è rientrato anche in un progetto televisivo: i filmati raccolti dall’onnipresente troupe finiranno nel reality show intitolato Keeping Up with the Kardashians. Di realtà però se ne è vista davvero poca, e la loro visita ha assunto – nei suoi momenti migliori – le tinte fantasmagoriche del sogno. Come quando il marito di Kim Kardashian, il rapper e produttore Kanye West, ha improvvisato un concerto in quello che gli armeni chiamano il lago dei Cigni, un piccolo lago artificiale a pochi passi dal centralissimo Teatro dell’Opera. Si racconta persino che alcuni ragazzi, alla fine della performance, abbiano raccolto e portato a casa in bottigliette un po’ d’acqua del laghetto dove West si era immerso nel culmine dello spettacolo, in ricordo di questa giornata memorabile.
Nei momenti peggiori, invece, si sono sfiorati il grottesco e la farsa, come quando le sorelle e il loro seguito si sono recate in visita a Gyumri da quelli che sono stati annunciati dai media, armeni e internazionali, come dei loro lontanissimi parenti. Il contrasto fra il lusso ostentato dalle ragazze e la miseria palpabile di Gyumri – città non più ripresasi dal terremoto del 1988, quando morirono circa 25.000 persone – non poteva che saltare agli occhi. Ma gli armeni, di solito attenti e lucidi, non ci hanno fatto molto caso. Il paese ha bisogno ora più che mai di supporto e di attenzione, per riprendersi dalla crisi profonda in cui versa; e le Kardashian in questo momento, nell’ottica di molti, possono aiutare ad ottenere un po’ dell’uno e dell’altra. Favorendo anche il turismo, che è uno dei pochi settori in crescita in un’economia che versa in pessime condizioni e rischia ora una recessione.
La parola di Papa Francesco
Il culmine dell’euforia e della festa si è toccato il 12 aprile, in concomitanza con il concerto serale di West, ma anche con la messa di rito armeno tenutasi in Vaticano e con le parole del Pontefice. O meglio, con la parola, perché di questo si tratta in particolar modo: la parola “genocidio”, pronunciata da Papa Francesco in quell’occasione. Un termine coniato dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin proprio in nome del paragone fra Shoah e genocidio armeno, che ha un valore e un peso ben specifici: racchiude infatti in sé la volontà di sterminio, e non il semplice aver luogo di massacri privi di una pianificazione politica e quindi di responsabilità, come vorrebbe ancora oggi la Turchia.
In realtà, il significato politico e religioso di quella giornata romana non si esaurisce qui. Da segnalare almeno la presenza a San Pietro, oltre al presidente Sargsyan, anche dei tre principali leader spirituali delle chiese armene: Karekin II, Catholicos della Chiesa apostolica armena che ha sede a Echmiadzin, Aram I della Santa Sede di Cilicia, e Nerses Bedros XIX Tarmouni, Patriarca della Chiesa armeno-cattolica. Ma per molti degli armeni che hanno seguito la messa sui loro teleschermi, quello del riconoscimento del genocidio era il punto più importante. Perché l’Armenia di oggi ha bisogno proprio di questo: di parole consolatorie e dolci, di non sentirsi sola, e forse persino di miracoli.
L’eco delle vicende romane
Meno attenzione e risalto hanno così avuto le altre vicende romane di questi giorni, la cui eco è giunta a Yerevan alquanto affievolita. Ci riferiamo alle affermazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi che, a discapito della risoluzione sul genocidio armeno votata dalla Camera nel novembre 2000, ha dichiarato che “non è compito dei governi decidere cosa sia successo 100 anni fa, spetta agli storici”. Un risposta un po’ debole, come hanno notato in molti, nel contesto di un’Italia repubblicana nata in seguito al fascismo e all’orrore della Shoah.
In secondo piano è passato anche un altro fatto non meno grave, riportato dalla stampa italiana sempre negli stessi giorni: l’ostruzionismo del governo e l’ottenuta rimozione del termine “genocidio” dalle celebrazioni del centenario organizzate dall’Ambasciata armena a Roma. Un rifiuto che si è esteso, inoltre, al calendario delle iniziative ufficiali per i cento anni dalla Prima guerra mondiale, all’interno delle quali è stato negato un posto al genocidio degli armeni. Infine, Renzi non ha neppure voluto ricevere il presidente armeno in visita a Roma e, se la notizia sarà confermata, si profila una delegazione italiana di basso profilo per la commemorazione del genocidio a Yerevan.
Ma l’Armenia, come detto, oggi preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno (di cognac, ovviamente). Preferisce sognare il suo miracolo.