Macedonia, dopo Kumanovo

La Macedonia tenta di fare i conti con gli scontri armati che sabato scorso hanno sconvolto la città di Kumanovo. Al centro del dibattito il nazionalismo pan-albanese, ma anche sospetti di un tentativo di distrarre l’opinione pubblica dagli scandali che scuotono il governo

12/05/2015, Ilcho Cvetanoski -

Macedonia-dopo-Kumanovo

Otto poliziotti uccisi e 37 feriti. Questo il bilancio dello scontro armato tra forze dell’ordine e un gruppo armato accaduto sabato scorso nella città di Kumanovo, nel nord-est della Macedonia. Secondo le autorità sarebbero morti anche 14 membri del gruppo, mentre più di trenta si sarebbero arresi alle forze speciali della polizia. Per fortuna, non ci sono vittime civili, ma i media raccontano di enormi danni materiali.

Per più di ventiquattro ore il quartiere di “Divo Naselje” a Kumanovo si è trasformato in un campo di battaglia, con intere famiglie aiutate dalla polizia a fuggire dagli scontri ed elicotteri in volo sulla città. L’intero quartiere è stato evacuato e i cittadini hanno potuto far ritorno nelle proprie case solo domenica sera. L’intera area è sfregiata dai colpi esplosi, mentre si può sentire ancora forte l’odore della polvere da sparo. Il governo ha dichiarato due giorni di lutto nazionale in onore dei poliziotti uccisi, tutti membri dell’unità speciale anti-t[]ismo.

Sabato, sono dovute passare almeno dieci ore dall’inizio degli scontri prima che il ministero degli Interni si decidesse a dare qualche informazione pubblica. Ufficiali della polizia hanno parlato di “un gruppo di 50-70 t[]isti ben armati”, entrati in Macedonia “da un paese vicino” e con l’obiettivo “di destabilizzare lo stato attraverso l’attacco ad obiettivi strategici, sia istituzionali che civili, a Skopje ed in altre città macedoni”.

Domenica, al termine dell’operazione, la polizia ha reso pubblico un video in cui appaiono alcuni membri del gruppo armato dopo la resa. Alcuni di questi portano insegne dell’Esercito di Liberazione Nazionale (noto come UCK macedone). L’UCK, imparentato al quasi omonimo Esercito di Liberazione del Kosovo, è stato attivo negli scontri armati che hanno diviso la Macedonia nel 2001, portandola ad un passo dalla guerra civile tra le componenti macedone ed albanese.

Secondo il ministero degli Interni, tra i leader del gruppo armato di Kumanovo ci sarebbero nomi storici dell’UCK kosovaro, come Muhamed Krasniqi noto come comandante “Malisheva”, Mirsad Ndrecaj – “comandante Nato”, Sami Ukshini – “comandante Sokoli”, Beg Rizaj – “comandante Begu” e Deme Shehu – “comandante Juniku”.

Lo stesso giorno, sui media è comparsa una rivendicazione, sempre firmata UCK, che assumeva la responsabilità degli attacchi, sottolineando che questi vanno visti all’interno della lotta per la creazione di un grande stato albanese.

Domenica, anche il premier Nikola Gruevski si è rivolto alla nazione. “Questo non è un conflitto tra albanesi e macedoni, ma tra chi vuole il male del paese e chi cerca di proteggere lo stato e la sua costituzione”, ha detto il primo ministro.

Ma dopo il peggiore incidente armato degli ultimi anni, moltissimi restano i punti interrogativi aperti su quanto accaduto a Kumanovo. Soprattutto sulle cause profonde che hanno portato agli scontri.

Lo scenario della “Grande Albania”

L’ipotesi che la battaglia di Kumanovo sia da iscrivere all’interno della lotta per la “Grande Albania” è supportata da alcune considerazioni. L’UCK macedone ha rivendicato anche la recente operazione nel villaggio di Goshince, non lontano dal confine col Kosovo, avvenuta lo scorso 21 aprile.

Allora, un gruppo di circa 40 uomini armati ha attaccato la locale stazione di polizia prendendone il controllo per un paio d’ore, e facendo ostaggi i locali agenti di polizia che sono stati picchiati prima di essere rilasciati. Il gruppo ha poi riattraversato il confine con il Kosovo. L’Esercito di Liberazione Nazionale ha anche rivendicato altri episodi violenti (esplosioni nei pressi di stazioni di polizia, lancio di granate contro edifici pubblici ecc.) avvenuti tra l’ottobre 2014 e il maggio 2015.

Politici albanesi di Albania, Kosovo e Macedonia fanno poi spesso riferimento alla cosiddetta “Grande Albania” o “Albania naturale”, anche se spesso da posizioni minoritarie.

In un’intervista per Osservatorio Balcani Caucaso, Armanda Kodra, antropologa di Tirana avvertiva che “il nazionalismo non è mai scomparso dal discorso pubblico albanese, ma è divenuto più intenso dopo la proclamazione di indipendenza dal Kosovo”. Un atteggiamento che, sempre secondo la Kodra, i politici utilizzano in modo sconsiderato per i propri ristretti interessi.

Se a questo aggiungiamo le recenti dichiarazioni del premier albanese Edi Rama sull’“inevitabile unione tra Albania e Kosovo”, all’interno della cornice UE o fuori di questa, appare chiaro perché lo scontro di Kumanovo venga letto da molti come un evento da leggere nella cornice della lotta nazionalista e irredentista albanese.

Incidente programmato?

C’è però una seconda ipotesi che si è fatta strada in questi giorni, soprattutto sui media di opposizione, attraverso la lettura degli eventi data da vari esperti. Secondo questa versione, gli scontri di Kumanovo sarebbero in realtà un “inside job”, un incidente programmato per distrarre l’attenzione pubblica.

Il dito viene puntato contro l’attuale governo, una coalizione tra VMRO-DPMNE e DUI, che di tale distrazione sarebbero i principali beneficiari, visto l’enorme scandalo delle intercettazioni che sta scuotendo il paese e le successive proteste di piazza, o contro non meglio identificati servizi segreti stranieri. Anche la partecipazione della Macedonia ai progetti di trasporto del gas russo verso l’Europa occidentale viene menzionato come possibile movente. La pista interna, però, è quella più dibattuta.

Martedì 5 maggio migliaia di cittadini hanno protestato di fronte al governo a Skopje per chiedere le dimissioni del premier Gruevski e dell’esecutivo, in seguito alla rivelazione di nuove intercettazioni. Nelle conversazioni rese pubbliche dall’opposizione socialdemocratica, emerge che membri del governo sarebbero coinvolti nel tentativo di insabbiamento relativo all’uccisione del 22enne Martin Neskovski, picchiato a morte da un poliziotto nel giugno 2011.

La manifestazione, all’inizio pacifica, si è trasformata nello scontro tra cittadini scesi in strada e polizia. Dopo che i manifestanti hanno gettato più volte uova sulla facciata della sede del governo, poco prima della mezzanotte la polizia è intervenuta per disperdere la manifestazione. Nei tafferugli che sono seguiti, sia poliziotti che manifestanti sono rimasti feriti, mentre una trentina di persone sono state arrestate.

L’ex deputato e analista politico Mersel Biljali, a fine aprile aveva dichiarato al portale BIRN che la mancata soluzione in tempi brevi della crisi politica alzava il rischio che qualcuno potesse pagare piccoli gruppi criminali per mettere in scena un conflitto etnico. “Gruppi criminali albanesi possono essere usati per attaccare villaggi macedoni, o viceversa”, aveva detto ancora Biljali poco dopo l’attacco alla stazione di polizia di Goshince.

Ilija Nikolovski, oggi generale in pensione, protagonista degli scontri del 2001 tra esercito macedone e UCK, in un’intervista al canale tv “Kanal 5” ha dichiarato che la situazione di allora e quella di oggi non hanno punti in comune. Secondo Nikolovski, non esistono oggi le condizioni per cui gli scontri di Kumanovo possano trasformarsi in un conflitto più vasto. “E’ negli interessi degli albanesi, a prescindere dallo stato in cui vivono, che la regione sia stabile e pacifica, e di non essere additati come ‘i soliti sospetti’ alla base di conflitti e instabilità nei Balcani”.

Un altro generale in pensione, Stojanche Angelov, anche lui impegnato negli scontri del 2001, alcune settimane fa aveva dichiarato pubblicamente che qualcuno – senza però specificare chi – stava tentando di provocare scontri interetnici con l’aiuto di gruppi criminali. Per questo obiettivo, aveva detto Angelov, sarebbero stati pagati circa due milioni di euro.

The Day after

Mentre da parte europea ed internazionale viene espressa forte preoccupazione ed inviti alla calma, la Macedonia prova a fare i conti con le conseguenze degli scontri a Kumanovo.

Sul tavolo restano molte teorie cospirative, notizie non verificate e pura disinformazione. Ma anche fatti incontrovertibili, come la morte di otto poliziotti (di cui uno di etnia albanese) di quattordici t[]isti (o mercenari?), i feriti, i danni, il panico e la paura tra i cittadini macedoni, a prescindere dalla propria appartenenza etnica.

Al momento, però, l’obiettivo di dividere le persone non ha sortito effetto. Non ci sono segni di divisioni etniche o attacchi diretti verso “l’altro”. Un video che ritrae un cittadino di etnia albanese di Kumanovo, che chiede pace, solidarietà e responsabilità politica in un’intervista rilasciata al canale tv “24 Vesti” è diventato virale, collezionando in meno di otto ore 400mila visite e 15mila condivisioni su Facebook.

Un piccolo, ma importante segno di speranza: che la società macedone abbia oggi gli anticorpi necessari per non lasciarsi trascinare nella violenza.

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