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Vučić a Tirana: tutti insieme per… la Germania!
Storica visita la scorsa settimana del primo ministro serbo in Albania. Non si appianano le grandi divergenze, in particolare sul Kosovo, ma emerge grande cordialità. Sullo sfondo la necessità di collaborazione sui grandi progetti infrastrutturali nella regione
Ogni andata ha il suo ritorno. Ma la trasferta di Aleksandar Vučić a Tirana è stata diversa da quella di Edi Rama a Belgrado: non solo perché, questa volta, droni e palloni sono rimasti fuori dal campo, ma perché il momento politico ha "istigato alla responsabilità". Stretta tra il summit del South-East European Cooperation Process (SEECP) ed i Tirana Talks 2015 del Vienna Economic Forum, la storica visita di Vučić – la prima di un premier serbo nella capitale albanese – ha trasceso la sua dimensione bilaterale ed è stata vissuta con un insolito senso delle proporzioni: entrambi i leader hanno concorso ad inserire i rapporti serbo-albanesi all’interno di un disegno regionale, in vista del comune destino europeo.
A contribuire a questo successo – in verità annunciato dalle dichiarazioni distensive di entrambe le parti – è stata, paradossalmente, la difficile situazione in Macedonia a seguito degli scontri di Kumanovo. Nessuna delle due leadership ha mostrato interesse a schierarsi lungo questa potenziale linea di scontro: non lo vuole Rama, che per tutto il mese di maggio si è speso per sminuire le ragioni etniche del conflitto, e non ne ha bisogno Vučić, che, come sottolinea Dragan Janjić, lascia volentieri ai media serbi il compito di agitare lo spauracchio della «Grande Albania», giovandosi sul piano interno del momentaneo offuscamento della questione del Kosovo e presentandosi all’esterno come il principale interprete della stabilità regionale.
La pletorica utilità del SEECP
Il giorno prima dell’arrivo del premier serbo, si è chiuso a Tirana l’annuale summit del South-East European Cooperation Process, un consiglio di cooperazione regionale lanciato su iniziativa bulgara nel 1996 e presieduto, nel corso dell’ultimo anno, proprio dall’Albania.
Conformemente agli obiettivi dell’organizzazione, i capi di Stato e di governo partecipanti al summit (Serbia e altri paesi membri non erano presenti) hanno confermato il processo di integrazione europea quale unica prospettiva per i paesi dell’area balcanica. Il Presidente della Repubblica Albanese Bujar Nishani ha insistito sulla necessità di instaurare relazioni di buon vicinato all’interno di una regione che non smette di dimostrarsi "fragile". Gli ha fatto eco il presidente bulgaro Rosen Plevneliev, che non ha esitato a soffermarsi sulla questione macedone e sulla mal posta problematica dei confini: "Noi vogliamo che le frontiere nei Balcani non esistano, non che vengano modificate. Durante la nostra presidenza SEECP, a partire dal prossimo giugno, proporremo una dichiarazione che ribadisce l’integrità territoriale di ogni singolo paese".
Dal canto suo, il premier rumeno Victor Ponta ha ribadito "il sostegno incondizionato" di Romania e Bulgaria (i due membri Ue classe 2007) a tutti i candidati ufficiali e potenziali della regione, e ha chiesto a Bruxelles di non dare l’impressione di avere le "porte chiuse". La presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga, ha invece sottolineato come il progetto Ue abbia portato non solo la stabilità politica, ma anche un aumento della prosperità: "L’integrazione in un tale sistema di valori è una garanzia per lo sviluppo di tutti i nostri paesi".
Per quanto pletoriche o scontate possano apparire queste dichiarazioni, la narrazione europea sviluppata ad un tavolo che ha il pregio di riunire i massimi rappresentanti di paesi già membri, di paesi candidati e di candidati potenziali, ha fatto senza dubbio da prodromo all’atteso vertice serbo-albanese, che in qualche modo ne ha perpetuato la visione.
Un serbo a Tirana
La visita del 27 maggio era stata preparata da rigide misure di sicurezza: sin dal giorno prima, sulle principali arterie della capitale era stato vietato il parcheggio, intere zone erano state chiuse al traffico. Tra agenti di polizia e unità delle forze speciali, erano schierate a terra circa mille unità armate, mentre elicotteri dell’esercito vegliavano sugli itinerari.
Vučić è atterrato a Tirana in mattinata. La cerimonia di benvenuto è stata allestita presso Palazzo delle Brigate, dove sulle note dell’inno Bože pravde è stato issato il tricolore serbo. Un’accoglienza in linea con il protocollo di Stato albanese, intorno alla cui simbologia s’era creata una certa attesa mediatica – stando ai giornali albanesi, a Belgrado nessuna aquila bicipite aveva accolto l’arrivo di Rama.
Dopo i consueti salamelecchi protocollari, è seguita un’ora di faccia a faccia tra le due delegazioni, fin circa a mezzogiorno, quando i due leader sono usciti per l’attesissima conferenza stampa. Sei mesi prima, nella capitale serba, l’esplicito riferimento di Rama alla questione del Kosovo era suonato provocatorio; si trattò, con buona probabilità, di una mossa unilaterale del premier albanese, che scelse volutamente di uscire dal seminato concordato a porte chiuse. Sin dalle prime battute, ben altro clima ha invece avvolto la conferenza di Tirana: i leader escono distesi, si avvicinano ai podi sorridenti.
Riprendendo un discorso europeista già avviato alla vigilia del vertice (con dichiarazioni mirate ai media serbi) Rama esordisce rifacendosi al "coraggio della Francia e della Germania", una lezione che "deve ispirarci per poter trasformare questo momento di pace tra di noi in una fase storica per la costruzione di una convivenza sostenibile, nella pace interetnica, interreligiosa ed interstatale".
La metafora franco-tedesca è d’effetto, e Rama insiste: "Delle relazioni tra Francia e Germania si dice che rappresentino l’asse dell’Europa, spero di non mancare di modestia dicendo che gli albanesi e i serbi vogliono trasformare le loro relazioni in un’uguale testimonianza del fatto che da una storia di guerre sanguinose potrebbe nascere l’esempio di un comune successo di pace".
Il discorso di Rama è impostato sulla comune responsabilità che entrambe le parte devono assumersi dinanzi all’Europa, e solo a margine vengono citati gli "infiniti spazi di opportunità" che possono scaturire da un effettivo scambio tra i due paesi – l’allusione, poi raccolta da Vučić, è al migliorabile scambio commerciabile: nel 2014 meno dell’1% delle esportazioni albanesi ha raggiunto la Serbia.
Lo stile di Vučić è decisamente più abbottonato, la retorica meno europeista, ma questa volta è il premier serbo ad andare dritto al cuore del problema: "La grande divergenza fra Belgrado e Tirana sullo status del Kosovo non deve essere un ostacolo ai nostri rapporti bilaterali. È un fatto che su questo non siamo d’accordo: la Serbia tratta e continuerà a trattare il Kosovo come sua parte costitutiva, mentre l’Albania considera il Kosovo uno stato indipendente; nonostante questo, ritengo che questa incongruenza non significhi che non possiamo ammorbidire le differenze con il dialogo".
Dopo aver ringraziato Rama per il benvenuto, Vučić si dice "orgoglioso" di essere il primo in Albania: "Qualcuno in Serbia farà rumore per questa mia visita, come immagino succederà a Rama per avermi invitato. Ma il mio dovere è di guardare al futuro, e nel futuro le relazioni fra di noi sono molto importanti… Pensiamo in modo diverso, parliamo in modo diverso. Ma questo non ha a che fare con il fatto di lavorare insieme". Senza rifarsi a virtuosi precedenti storici, Vučić prosegue volentieri la narrazione di Rama, partendo dal dato di fatto che "anche per i prossimi cento anni saremo le due più grandi nazioni della regione", e che le relazioni serbo-albanesi rappresenteranno la spina dorsale della stabilità dell’area: "Se saremo abbastanza responsabili, saggi e intelligenti, se non penseremo di risolvere i nostri problemi con i conflitti ma con il dialogo, con rapporti sinceri, aperti e onesti, allora sono sicuro che Serbia e Albania avranno un futuro migliore del passato. Alla storia non possiamo sfuggire, ma il nostro sguardo dovrà essere rivolto al futuro, perciò oggi sono qui per porgere al mio collega Rama la mano dell’amicizia".
Nel pomeriggio, il premier serbo è stato ricevuto dal presidente della Repubblica Nishani, dal presidente del parlamento Meta e dal sindaco di Tirana Basha. Il primo giorno di visita si è concluso con un incontro con i rappresentanti dell’Unione dei serbi d’Albania, una minoranza settentrionale per cui Vučić ha reclamato maggiore attenzione da parte delle autorità albanesi.
Vienna Economic Forum: Tirana Talks 2015
L’idillio non è sfumato nel tramonto di mercoledì. Rasserenati dal duetto diplomatico del giorno prima, la mattina del 28 maggio si aprivano i Tirana Talks del Vienna Economic Forum: un tavolo di discussione nato nel 2004 proprio per promuovere investimenti strategici nell’area balcanica – si spiega così la composizione della delegazione serba, che annoverava tra le sue fila anche Zorana Mihajlovic, il ministro dell’Edilizia, delle infrastrutture e dei trasporti. Moderati dall’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, sono intervenuti all’edizione tiranese i primi ministri di Albania, Serbia, Macedonia, Montenegro, Bosnia e Kosovo (curiosità tutta italiana: tra i vari «ex» presenti c’era anche il fu Presidente del Consiglio Massimo D’Alema).
In estrema sintesi, si può affermare che la seconda giornata tiranese di Vučić ha esplicitato le ragioni del rapprochement bilaterale: a seguito della Conferenza di Berlino dello scorso agosto – un’iniziativa della cancelliera Angela Merkel – il "pomo della concordia" è infatti rappresentato dai progetti regionali che, in fase di accesso, Tirana e Belgrado hanno l’opportunità di farsi finanziare dall’Ue o da singoli partner europei: primo fra tutti un’autostrada che colleghi Belgrado a Tirana, magari passando, con notevole valenza simbolica, per il Kosovo. Come i tedeschi hanno saputo spiegare ai partner balcanici, la stabilità regionale è premessa necessaria alla realizzazione di quei networks infrastrutturali senza i quali sarà impossibile integrare i Balcani nella rete dell’economia europea: si tratta di opere transnazionali che richiedono l’impegno di tutti, perché tutti ne saranno beneficiari.
Il taglio dei Tirana Talks lo ha reso evidente: è il tema dei fondi che ha portato Rama a Belgrado e Vučić a Tirana. "È giunto il tempo per tutti i paesi balcanici di condividere un impegno formale nel considerare il Sud-est Europa come la loro casa comune, al fine di spingere l’Europa a relazionarsi diversamente con l’intera regione", ha dichiarato Edi Rama. Una necessità condivisa dal partner serbo, che ha ribadito la sua piena volontà di lavorare a join ventures infrastrutturali, cercando di guadagnarsi il supporto europeo su progetti comuni: "Abbiamo avuto abbastanza seminari, ora c’è bisogno di soldi per costruire strade e autostrade". "Le genti dei Balcani – aggiunge Vučić – non dovrebbero essere sottovalutate, perché si aspettano risultati concreti".
Da segnalare, infine, i gruppetti che hanno preso forma a margine della conferenza: com’era immaginabile, da un lato si sono appartati Edi Rama e Isa Mustafa; una coppia albanofona che Aleksandar Vučić ha raggiunto per stringere la mano al primo ministro kosovaro, suggellando a beneficio di camera la sua «due giorni» del dialogo.
L’Europa di Berlino
Prima di lasciare l’Albania, Vučić ha affidato ai microfoni di Top Channel la sua "profonda gratitudine" per l’accoglienza riservatagli. "Questa non sarà la mia ultima visita in Albania", ha aggiunto, anche se pochi nutrono dubbi al riguardo.
Al di là della suggestiva narrazione europeista proposta dal premier albanese, le ragioni tedesche, mutuate dal forum viennese, sono diventate le ragioni della Serbia e dell’Albania. È una buona notizia, perché, come da anni riconosce lo stesso Processo di Stabilizzazione, è bene che l’integrazione economica, energetica ed infrastrutturale della regione preceda l’ingresso istituzionale dei singoli paesi nell’Unione. Si sa che, essendo priva di politica estera, nelle sue relazioni esterne l’Unione utilizza l’economia e la prospettiva dell’allargamento. In quest’ottica, la promessa di Salonicco 2003 è la stessa di Berlino 2014: quella di inserire la penisola balcanica nella «rete di benessere» dell’Europa continentale. Pacificatevi, e gli investimenti arriveranno.
Ora, senza sminuire gli enormi progressi bilaterali cui stiamo assistendo, chiedersi quanta Germania e quanta Europa vi sia alle origini del 10 in condotta di Vučić in Albania non è un vezzo da scienziato politico. Rimane una questione sostanziale. Perché l’estate scorsa, a Berlino, Barroso, Oettinger e Füle furono semplici osservatori dell’iniziativa tedesca. Come spettatore si conferma oggi Johannes Hahn, il commissario per la politica europea di buon vicinato che postando su twitter la foto della storica stretta di mano tra Rama e Vučić ha forse pensato di contribuire a quella realtà: "Mi congratulo con entrambi i leader per il loro approccio costruttivo e responsabile!".
Dal punto di vista europeo, la realtà è però meno rosea di quanto sembri: a più di dieci anni dalla politicissima Commissione Prodi – la quale, lo ricordiamo, si presentava a Salonicco con il Trattato costituzionale in una mano e i referenda confermativi di sette paesi dell’est nell’altra – in una Tirana positivamente fulcro di eccellenti propositi intergovernativi, brillano di tragica assenza le istituzioni comunitarie.