Turchia: se la critica è bandita

Pubblicato il 10 giugno dall’Associazione degli editori turchi (TYB), il Rapporto 2015 sulla libertà di espressione in Turchia descrive un quadro in netto peggioramento nel paese

01/07/2015, Marzia Bona -

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(Siyan Ren/Unsplash)

“Il paese sta attraversando un periodo storico in cui il concetto di “critica” è svuotato del proprio significato. Ogni opinione contraria alle forze politiche in carica, o che manchi di esprimere consenso nei loro confronti, viene percepita come “insulto” o “diffamazione”, e il dissenso politico deve scontrarsi regolarmente con intimidazioni. In questo clima, la polarizzazione politica e sociale è fra gli effetti negativi più evidenti e investe anche il settore dell’editoria e della stampa”, si scrive nel Rapporto 2015 sulla libertà di espressione in Turchia, reso pubblico lo scorso 10 giugno dall’Associazione degli editori turchi (TYB)

Tra i fenomeni più preoccupanti messi in luce dal rapporto c’è il moltiplicarsi di azioni legali intraprese ai danni di giornalisti e scrittori. Il capo di imputazione più ricorrente è quello di “oltraggio”, sollevato con particolare frequenza da parte di esponenti del governo: il rapporto descrive in dettaglio una casistica molto ampia, che va dalla richiesta dell’allora ministro degli Esteri e oggi premier Ahmet Davutoğlu di ritirare dal mercato il libro Religione e Politica, al processo ai danni del giornalista Soner Yalçın per aver “insultato”, nel suo libro (The Lost Record) il figlio del presidente Bilal Erdoğan.

Numerosi i casi di censura, fra i quali l’intervento del ministro della Cultura per vietare la distribuzione del catalogo dell’artista Sarkis per la Biennale di Venezia, per via dei riferimenti al genocidio armeno contenuti nel volume. È un caso di censura preventiva quello che coinvolge invece il Consiglio dell’Istruzione Superiore (YÖK6), intervenuto con un memorandum distribuito a tutte le università del paese per proibire in via preventiva qualsiasi ricerca sul tema dei rifugiati siriani. La decisione è stata presentata come ordine del ministro degli Interni, che si riserva dunque di approvare qualsiasi progetto di ricerca sull’argomento in questione.

Vignette e caricature sono sotto i riflettori in particolare dopo la vicenda Charlie Ebdo: a gennaio la polizia turca era intervenuta per prevenire che il quotidiano Cumhuriyet uscisse in edicola con la prima pagina di Charlie Ebdo raffigurante il profeta. Tra i vignettisti presi di mira, Musa Kart del quotidiano Cumhuriyet per aver “insultato il presidente” e “compromesso le indagini” con una vignetta, e il caricaturista Bahadır Baruter, tra i fondatori assieme a Metin Üstündağ, Erdil Yaşaroğlu and Selçuk Erdem della rivista satirica Penguen

Il rapporto evidenzia un trend particolarmente negativo per quanto riguarda il divieto imposto ai media di occuparsi di “eventi critici”, una categoria nella quale di fatto rientra ogni aspetto sensibile dell’attualità turca, su decisione presa di volta in volta dalla magistratura. A questo si sommano i commenti del Presidente turco, diretti ad alcuni giornalisti e testate in particolare, che alimentano tensioni nei confronti dei media.

Sempre secondo il rapporto, quest’ostilità nei confronti di voci alternative ha incoraggiato forme di intolleranza preoccupanti. “Molti cittadini prendono alla lettera le parole dei leader politici e dimostrano di percepire come insultanti pubblicazioni che presentano narrative storiche divergenti o che affrontano temi religiosi normalmente banditi. Ciò comporta un incremento dei ricorsi legali preventivi e punitivi nei confronti della stampa”.

Nel 2014 sono stati 11 i giornalisti incarcerati, mentre 339 fra giornalisti, scrittori e professionisti nel campo dell’informazione sono stati licenziati o costretti a dimettersi. L’indice per la libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere relega la Turchia alla posizione 149 nella classifica mondiale, definendola come paese “semi-libero”.

Il rapporto denuncia infine anche il giro di vite sulla libertà della rete. La censura online ha raggiunto l’apice nei mesi successivi alle vicende di Gezi Park e all’ondata di notizie sulle accuse di corruzione a carico di deputati dell’AKP. In seguito ad un accordo tra Ankara e Twitter sottoscritto nel 2014 il numero di contenuti rimossi e account bloccati è aumentato in maniera significativa. Secondo il Rapporto annuale sulla trasparenza pubblicato da Twitter, la Turchia è il paese dal quale proviene il più alto numero di richieste di blocco o rimozione dei contenuti da parte delle autorità. Fra luglio e dicembre 2014, proprio dalla Turchia sono arrivate 1820 richieste di rimozione dei contenuti, su un totale di 1982 segnalazioni. Facebook mantiene una politica accomodante nei confronti delle richieste delle autorità, ma segnala a sua volta che il paese si colloca al secondo posto nel classifica mondiale per numero di richieste di rimozione di contenuti: nel 2014 è stato bloccato o limitato l’accesso a 5517 pagine Facebook. Nei primi sei mesi dell’anno, i contenuti rimossi dal social network sono stati 1893, cifra salita a 3624 nella seconda metà dell’anno, segnando un incremento del 91.4%. Facebook ha ricevuto dal governo turco 318 richieste ufficiali di informazioni su 527 account personali.

Oltre a confermare i dati allarmanti sulla libertà di espressione in Turchia, il rapporto mette in luce una dimensione preoccupante del fenomeno: la diversificazione dei fronti sui quali il governo interviene per limitare la libera circolazione di informazione. Non solo la stampa dunque, ma anche l’editoria, i social network e la rete.

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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