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Serbia: sull’autobus, l’ultimo passo verso l’Ue
Dalla stazione degli autobus di Belgrado a quella di Subotica, vicino al confine ungherese. In viaggio con i migranti verso l’Unione europea
(Pubblicato originariamente da Radio Free Europe il 7 luglio 2015)
Questi giorni il parco nei pressi della stazione degli autobus di Belgrado è pieno di migranti. Vengono dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Somalia e sono all’ultima tappa di un difficile viaggio della speranza verso l’Unione europea.
All’interno della stazione decine di migranti dall’aspetto spossato, molti di loro con bambini, stanno aspettando l’autobus per Subotica. E’ da questa città del nord della Serbia, a pochi chilometri dal confine con l’Ungheria, che proveranno a fare il grande passo verso l’Ue.
Quando l’autobus arriva, una quindicina di uomini, la maggior parte dei quali molto giovani, si raggruppa al di fuori della porta, tenendo in mano i propri biglietti. L’autista aspetta prima di farli entrare e poi “Biglietti!”, abbaia. Senza una parola, li indirizza nella parte posteriore dell’autobus e non verifica il loro posto sul biglietto.
Sull’autobus
Quando salgo, il suo sguardo s’accende: “Salve!”, mi dice con cortesia e mi invita a prender posto nella parte anteriore. Ma il mio posto è il 25, proprio in fondo all’autobus.
Gli chiedo perché mi fa sedere nei primi posti, lui mi risponde di farlo e basta. Mentre anche gli ultimi prendono posto la questione è ormai chiara: i passeggeri serbi siedono tutti nella parte anteriore, i migranti in quella posteriore.
Ma i migranti non si lamentano, anzi, sembrano grati di aver potuto prenderlo quell’autobus. Siedono in silenzio, con lo sguardo fisso sulla strada.
Mi alzo e mi siedo a fianco di un giovane migrante. Si chiama Mohammad, ha 16 anni. “Sono afghano e vado in Germania per lavorare” mi dice in un inglese stentato. “Prima andrò in Ungheria, ho un amico là”.
Dietro di noi gli altri iniziano a sorriderci ed a fissarci. Mohammad sta viaggiando assieme ad una ragazzina di 13 anni e un altro ragazzino adolescente. Ma non parlano inglese. “La situazione in Afghanistan è drammatica a causa della guerra e dei talebani e peggiora ogni giorno”, continua Mohammad. “Mia madre, mio padre e mia sorella sono rimasti là. Sono molto poveri”.
Gli chiedo se ha abbastanza vestiti e cibo. Lui diventa serio. Mi mostra il suo sacchetto, insistendo sul fatto che ha tutto quello di cui ha bisogno. Quando offro a lui e ai suoi amici un pacchetto di patatine rifiutano con gentilezza.
Più tardi, al telefono, sento vari esperti per verificare le loro reazioni.
“Vedremo sempre più di questi fenomeni”, afferma Dragan Popovic con un sospiro, del Center for Practical Policy. "Derubiamo queste persone, ne ricaviamo dei soldi, o li spediamo lungo la loro strada, basta che non ci disturbino”.
Zeljko Stanetic, analista del Civic Center della Vojvodina, mi racconta che recentemente ha visto dei graffiti a Novi Sad, seconda città della Serbia che chiedevano ai serbi di “gettare i migranti nell’immondizia”.
Il numero di migranti e rifugiati provenienti da Siria, Afghanistan, Egitto, Eritrea, Iraq, Nigeria, Somalia, Sudan e Tunisia, e che viaggiano attraverso i Balcani verso l’Ue è aumentato drasticamente negli ultimi anni. Il numero di persone fermate dopo aver attraversato il confine tra Serbia e Ungheria è salito di più del 2.500% dal 2010 ad oggi, salendo da 2370 a 60602, secondo dati di Amnesty International.
Arrivo
Arriviamo a Subotica.
Alla stazione degli autobus tre afghani stanno tentando di comperare una bottiglia d’acqua da un chiosco. Il venditore sbatte a porta, chiude tutto, e se ne va. Attorno al chiosco i tassisti stanno aspettando i migranti.
Si dice che molti tassisti di Subotica abbiano imbrogliato i migranti chiedendo loro 50 dollari per poi lasciarli in un bosco lì vicino, dicendo loro che erano ormai arrivati al confine.
Un gruppo di afghani che ho incontrato alla stazione ha deciso di fare a piedi quei 10 chilometri che li separava dall’Ungheria. Se saranno fortunati, riusciranno a passare senza farsi vedere dalla polizia ungherese e saranno un passo più vicini a compiere il loro sogno: una vita sicura all’interno dell’Unione europea.
“Non è niente”, mi dice uno di loro. “Abbiamo impiegato 35 ore ad arrivare in Iran, abbiamo camminato attraverso il deserto senza acqua e cibo. Poi abbiamo viaggiato per sei giorni tra Turchia e Bulgaria. Dopo la Bulgaria eccoci in Serbia. Sono partito due mesi fa”.