Giornalismo in Macedonia: caduta libera

La recente duplice aggressione fisica ad un giornalista evidenzia il degrado della libertà si stampa nel Paese. Un commento

17/08/2015, Ilcho Cvetanoski - Skopje

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(Flickr)

A metà luglio, in Macedonia, in meno di 24 ore, Sashe Ivanovski, citizen journalist e proprietario di un portale web, conosciuto per la sua aperta opposizione al governo e per il suo approccio giornalistico provocante e non-ortodosso, che confina con la cronaca sensazionalistica, è stato aggredito fisicamente due volte. Entrambe le aggressioni sono state filmate dallo stesso Ivanovski o altri giornalisti presenti.

La prima aggressione è stata ad opera di Aleksandar Spasovski, giornalista di TV Sitel, e la seconda da parte di Vladimir Peshevski, vice-primo ministro del governo in carica, che lo ha aggredito all’esterno di un ristorante mentre Ivanovski gli poneva alcune domande.

Autoritarismo

In una recente ricerca, i professori universitari Sergei Guriev e Daniel Treisman, argomentano che il carattere distintivo dei nuovi leader autoritari è il loro approccio all’informazione. Sottolineano infatti che i leader autoritari mantengono il potere “non grazie al loro uso della forza o dell’ideologia ma perché – a torto a a ragione – convincono il pubblico di essere competenti”.

Secondo organizzazioni internazionali come Reporter senza Frontiere o Freedom House negli ultimi otto anni la libertà di stampa in Macedonia si è costantemente deteriorata: il paese viene categorizzato come parzialmente libero o a regime ibrido.

A causa di questo continuo deterioramento la Macedonia, in tema di libertà dei media, occupa l’ultimo posto tra i paesi dell’area balcanica.

Meccanismi di controllo governativo

Sino ad ora, gli strumenti principali con cui il governo ha cercato di condizionare il mercato dei media e di controllarli sono stati la pubblicità, gli organismi regolatori e la proprietà dei media stessi.

La pubblicità commissionata da enti pubblici è divenuta una questione rilevante quando, nel 2006, è salita al potere l’attuale maggioranza governativa. La ragione delle preoccupazioni è che negli ultimi cinque anni lo stato si è piazzato tra i primi 5 committenti di pubblicità nel paese.

Il problema è stato riconosciuto pubblicamente per la prima volta nel Progress Report del 2009 sul percorso di integrazione europea redatto dalla Commissione europea: “La spesa pubblica in pubblicità è una costante fonte di reddito per alcuni editori ma non è sufficientemente trasparente e per questo rischia di minare l’indipendenza editoriale”.

Le ultime due analisi a disposizione del sistema radio-televisivo nel paese realizzate dall’Agenzia per i servizi audio e tv evidenziano che nel 2012 il governo era il primo inserzionista, investendo più risorse, ad esempio, di un’azienda come la Coca Cola. Nel 2013 il governo si è piazzato al secondo posto.

Jelena Petrović, ricercatrice sui media, spiega come funziona “il cerchio del clientelismo”: “Radio e televisioni fanno rilevanti sconti ai partiti politici e trasmettono la loro propaganda politica praticamente gratuitamente. Inoltre appaiono nelle liste dei partiti anche come donatori prima delle elezioni. Poi, dopo queste ultime, queste stesse radio o tv ricevono rilevanti somme per trasmettere le pubblicità-progresso delle istituzioni, ed il cerchio si chiude”.

“Per esempio, nel 2012, quando il governo era il committente principale sul mercato del paese” continua la ricercatrice “TV Sitel e Kanal 5 hanno ricevuto la fetta più grossa delle inserzioni pubbliche. Due anni dopo, durante la campagna elettorale per le politiche, i principali donatori del partito di governo sono stati TV Sitel, Kanal 5 e TV Alfa”.

Proprietà

La proprietà dei media è uno dei punti deboli dell’intero sistema. I canali televisivi, i quotidiani o le riviste spesso sono di proprietà di facoltosi imprenditori o di leader politici – o dei loro famigliari – in strette relazioni con il governo.

Per tutti loro i media non sono il core business delle proprie attività economiche, ma esclusivamente uno strumento di baratto e pressione per influenzare decisioni in altri campi. Per questo non hanno alcun interesse nella professionalizzazione del settore.

Difficile far rispettare, in questo campo, le leggi esistenti sul conflitto di interessi dato che si ricorre a sotterfugi come la creazione di aziende paravento o l’intestazione della proprietà a prestanome. Il governo in Macedonia è consapevole di tutto questo ma lascia fare, avendo così uno strumento in più di controllo sui media stessi.

Risultato di tutto questo è che la libertà dei media è in caduta libera e l’oggettività, la neutralità e la capacità di critica sono sempre più limitate.

Quale il ruolo dei media?

Le principali caratteristiche del giornalismo in Macedonia sono un alto grado di tabloidizzazione, scarsa etica professionale, alta polarizzazione politico/ideologica. I media in Macedonia sono in primo luogo divisi tra quelli pro-governativi e quelli all’opposizione, lasciando in questo poco spazio alla professionalità.

Per molti di quelli che operano in questo campo il concetto di giornalismo è più vicino alle pubbliche relazioni che non a quello di media come quarto stato e cane da guardia del pubblico interesse.

Le televisioni, principale organo di comunicazione, sono sotto lo stretto controllo delle élite al potere. Le soap opera turche e i reality show sono onnipresenti. Lo spazio e l’interesse per il giornalismo di qualità è, su tutti i canali televisivi, minimo. Allo stesso tempo i salari molto bassi certo non motivano i giornalisti a realizzare un lavoro di qualità.

Anche l’etica professionale è ad un livello molto basso. In questo campo la fanno da padroni i media pro-governativi, ma lo scarso rispetto per i codici deontologici accomuna anche i media vicino all’attuale opposizione, in particolare i portali web, il cui approccio è sempre più quello del “il fine giustifica i mezzi”.

Un esempio: le televisioni vicine al governo hanno completamente silenziato le massicce proteste studentesche avvenute quest’anno. Quindi, a seconda della televisione che si guardava, ci si trovava davanti a due opposte realtà: una nella quale non vi erano manifestanti, l’altra in cui vi erano.

D’altro canto, lo stesso periodo, in particolare i portali web vicini all’opposizione, pubblicavano informazioni non verificate che rischiavano di portare a rilevanti proteste e anche a scontri violenti. Senza alcuna verifica ad esempio un portale web macedone ha pubblicato la fotografia di un camion ricolmo di cassette di legno, tratta da un profilo privato di Facebook. Si informava a commento dell’immagine che l’esercito stava spedendo munizioni alla polizia, in modo che le potessero utilizzare, quella notte, per controllare le proteste. Come appurato successivamente, in quelle cassette di legno, non vi erano munizioni.

Libertà di parola, non libertà di stampa

I giornalisti pro-governativi lavorano da PR mentre quelli dell’opposizione richiedono diritti ma non riconoscono i propri doveri e responsabilità. Richiedono libertà d’espressione ma non libertà di stampa, tema spesso intenzionalmente marginalizzato.

Per come la mette Aidan White dell’Ethical Journalism Network “la libera espressione non è giornalismo. La libertà di stampa è infatti la libertà del giornalista di esprimersi all’interno di una specifica cornice di valori. E questa cornice è costituita dalla deontologia professionale”.

Epilogo

Le aggressioni al giornalista di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo sono state descritte dai media governativi nel solito modo: Sashe Ivanovski è stato preso in giro per essere stato picchiato due volte in due giorni, e di fatto si è affermato che se lo meritava e che è ciò che accade a chi provoca.

Nel primo caso è stato multato, assieme all’aggressore, per disturbo alla quiete pubblica. Nel caso invece del vice-primo ministro, Ivanovski è stato accusato, dai media governativi, di essere il colpevole dell’aggressione. Il ministro Peshevski, sul suo profilo Facebook, si è però scusato con i suoi sostenitori per la sua “reazione emotiva” alle minacce che avrebbe ricevuto da Ivanovski.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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