Serbia: media statali fuori mercato
Avviata in Serbia la prima fase di privatizzazione dei media di proprietà statale. Pochi gli interessati. Si distinguono però alcuni casi di emittenti locali il cui prezzo di partenza è lievitato a dismisura
Radio Šid è stata venduta per 531.000 euro, mentre la radio-televisione belgradese Studio B è andata a privati per soli 1000 euro in meno. Šid è un comune alla frontiera con la Croazia di circa 40.000 abitanti, mentre la RTV Studio B copre una regione di alcuni milioni di cittadini di Belgrado e dintorni, e la si vede e si ascolta anche in altre città della Serbia. Come Radio Šid, un’altra emittente locale, RTV Bačka Palanka, anch’essa di una cittadina al confine con la Croazia, è stata venduta per un prezzo rilevante – 249.000 euro – tenendo conto che quello di partenza era di 8.818 euro.
Per la determinazione dei prezzi di partenza l’Agenzia per la privatizzazione della Serbia aveva tenuto conto delle dimensioni e delle zone potenziali coperte da questi media, tanto che per Šid era stato fatto un prezzo di partenza di 6.928 euro, mentre per Studio B più o meno la cifra a cui poi è stata venduta.
Da cosa dipenda questa differenza nel prezzo dei media di questi due comuni rispetto alla potenziale capacità di guadagno del mercato di Belgrado è la domande chiave legata a questa prima fase di privatizzazione dei media serbi che sono ancora di proprietà statale. Una risposta razionale ed economicamente convincente non c’è, perché è difficile credere che un businessman qualsiasi non sia in grado di notare la differenza tra un mercato con un potenziale di milioni di ascoltatori nella parte più ricca della Serbia e due comuni piccoli e mediamente sviluppati. E’ vero ad esempio che Radio Šid è anche un provider di rete via cavo con 3000 abbonati, e questo potrebbe essere stato un ulteriore incentivo all’acquisto perché garantisce l’entrata mensile di liquidità. Ma RTV Bačka Palanka non ha questo vantaggio, e tuttavia è stata venduta per una cifra notevolmente superiore alla stima iniziale.
I motivi di quanto avvenuto, secondo le associazioni di giornalisti e alcuni esperti di media, vanno oltre il mercato e sono legati a questioni politiche, indicando la stretta relazione tra businessman che comprano i media locali con i circoli di governo e del partito di maggioranza SNS (Partito progressista serbo). A questo tipo di relazioni si era fatto riferimento anche durante la privatizzazione dei media dopo la caduta del regime di Slobodan Milošević, ma allora non ci furono conseguenze concrete alle denunce.
Le associazioni di categoria chiedono quindi ora che gli organi competenti (servizi di ispezione, il ministero e l’agenzia per le privatizzazioni) tengano attentamente sott’occhio l’intero processo. Ma se non si troveranno violazioni formali nelle acquisizioni, queste saranno del tutto legali e sarà difficile dimostrare le dinamiche che le hanno caratterizzate.
Vendita
In questo giro di privatizzazioni devono essere venduti 72 media, perlopiù di proprietà dei comuni. L’Agenzia per la privatizzazione ha emesso sino ad ora un annuncio pubblico per la vendita di 36 media, di questi ne sono stati comprati 13. Per i restanti, compresa l’agenzia stampa statale Tanjug, non ci sono stati interessati e quindi andranno al secondo turno di privatizzazione, col prezzo base ridotto per la metà. Ai dipendenti di quei media che nemmeno allora saranno stati venduti saranno offerte azioni gratuite, ma questa strada sembra arduo possa garantire un futuro.
È più che evidente comunque che non vi sono acquirenti interessati per i media, e il motivo di fondo è la crisi economica che drammaticamente ha intaccato in questi anni l’industria mediatica nel paese. In un mercato gremito e povero operano già centinaia di media privati, tanto che i 72 media coinvolti nella privatizzazione rappresentano solo una piccola parte dell’intera scena mediatica serba. Questi sono sopravvissuti ad oggi perlopiù grazie alle dotazioni provenienti dal bilancio statale, situazione che obiettivamente li rende dal punto di vista commerciale poco concorrenziali.
La maggior parte dei media serbi si finanzia col mercato delle inserzioni che da tempo è finito sotto la netta influenza della politica. Questo di per sé restringe lo spazio per la libera impresa e scoraggia gli uomini di affari che non sono nel giro ad investire nei media. Detto in parole povere, a guadagnarci coi media riesce chi ha “buoni contatti” e segue ubbidiente la volontà della politica e degli altri centri di potere.
È del tutto possibile che nelle privatizzazioni là dove sono state raggiunte cifre molto al di sopra di quelle iniziali abbia giocato un ruolo decisivo la fiducia degli acquirenti che al momento di vendere gli spazi per le inserzioni avrebbero trovato il necessario aiuto politico. Questo di per sé significa che nel lavoro di questi media al primo posto non ci sarà di certo l’interesse pubblico, ma bensì l’interesse di chi ha dato (dal punto di vista commerciale) un’irreale cifra di denaro per poterne diventare proprietario. È possibile che ci sia stato anche del lavaggio di denaro sporco, corruzione e altri affari illeciti, ma finché gli organi competenti non faranno chiarezza su questo, la cosa è formalmente pulita.
Esitazione
Va detto che questa volta il processo di privatizzazione è stato preparato molto meglio rispetto agli anni passati. Inoltre non si impedisce agli enti pubblici – città, comuni, province, istituzioni statali – di destinare una parte del proprio bilancio all’informazione, ma la legge prevede ora che le risorse pubbliche vengano spese per l’interesse pubblico, in modo trasparente, attraverso bandi a progetto a cui possano concorrere tutti i media.
Ad un primo sguardo si direbbe che nulla di importante sia cambiato e che il governo anche dopo il passaggio ai finanziamenti a progetto troverà il modo di influire sulla spartizione del bilancio destinato ai media. Ma è anche vero che la legge prevede che sull’assegnazione del denaro decidano delle commissioni indipendenti di cui fanno parte anche i rappresentanti delle associazioni di giornalisti.
Come si svilupperanno le cose nella pratica dipenderà in buona misura anche da queste commissioni, e l’esperienza degli ultimi mesi dimostra che il nuovo modello comunque riesce a fornire più spazi per favorire l’interesse pubblico.
Ai poteri locali evidentemente questo cambiamento non è andato a genio ed hanno speso parecchie energie per cercare di restare i diretti proprietari dei media non preparandosi adeguatamente al passaggio al finanziamento su progettazione. Ora fanno i conti con l’urgenza di adeguarsi e i media di loro proprietà, dalla dirigenza agli stessi giornalisti, non sono in grado di venire a capo delle nuove condizioni. Motivo per cui la maggior parte dei giornalisti delle stazioni radiotelevisive locali ha deciso di farsi liquidare il TFR, il che significa che non programmano di accettare azioni delle loro aziende (e con ciò nemmeno la responsabilità di gestione) nel caso in cui queste non venissero vendute nemmeno al secondo turno di privatizzazione.
Quei media di proprietà statale che non saranno venduti e i cui dipendenti non assumeranno le responsabilità di gestione, dovranno essere cancellati dal registro dei media. Alcuni sperano che accada un qualche miracolo e che lo stato, come accaduto finora in circostanze simili, proroghi il termine così da impedire il loro spegnimento. Giuridicamente questa possibilità però non c’è, il che significa che il rinvio è possibile solo con ulteriori emendamenti alla legge in vigore. Cosa che non piacerebbe alla Commissione europea sotto il cui patronato sono state progettate la riforma dei media e la nuova legge sui media. La decisione finale in merito spetterà comunque al governo serbo.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto