Grecia al voto: scandali e astensionismo
In un clima di crescente sfiducia, domenica 20 settembre la Grecia va di nuovo alle urne, per la quarta volta in tre anni. Principali contendenti Syriza e Nuova democrazia, entrambi scossi da scandali
Uno scandalo per ognuno dei due maggiori partiti politici, tanto per non far mancare nulla alla voce “par-condicio”. E’ la chiave di lettura consegnata agli elettori greci a poche ore dall’apertura dei seggi che – domenica 20 settembre – porteranno quasi otto milioni di cittadini al voto per la quarta volta in tre anni, la seconda negli ultimi otto mesi.
Con la differenza che, rispetto al 2012, le condizioni economiche del paese sono sensibilmente peggiorate e, anche se il Grexit sembra più lontano rispetto ai giorni del referendum di luglio, in molti sussurrano che non sia affatto stato scartato definitivamente dal tavolo dei creditori internazionali. Ai nastri di partenza i due maggiori partiti, Syriza e Nuova Democrazia, si preparano al duello con stati d’animo contrastanti, ben consapevoli che le alleanze giocheranno un ruolo decisivo e con l’ombra crescente dell’astensionismo – figlio di un malessere generale che si sta tramutando in distacco dalla politica.
Syriza
Otto mesi fa lo slogan di Alexis Tsipras era “la speranza arriva”. Oggi la pattuglia di governo, abbandonata dai venticinque dissidenti di Unità Popolare, fazione scissionista e pro-dracma guidata dall’ex ministro alla Produzione, Ambiente ed Energia Panagiotis Lafazanis, punta su un programma di stabilità e di ripresa.
“L’accordo con i creditori internazionali è stato firmato con i termini di un colpo di stato, dopo un ricatto senza precedenti nei negoziati", è la posizione del partito su quanto avvenuto dopo il referendum, che poi promette una generica lotta alla povertà e alla corruzione, aprendo alla vendita delle frequenze televisive, sino ad oggi regalate agli oligarchi. Un passaggio significativo sul quale Tsipras aveva costruito, già nel dicembre 2014, il proprio successo elettorale, ma che fino al giorno prima delle sue dimissioni non aveva però registrato azioni concrete.
La lotta alla corruzione è certamente una delle frecce più pungenti nell’arco di Tsipras: una delle mosse più significative fatte in occasione della formazione del suo governo fu affidare ad un magistrato – per la prima volta nella storia della Grecia – la guida di un dicastero ad hoc anti-corruzione.
Il “Catone” in salsa ellenica, il procuratore Panaghiotis Nikouloudis, in sei mesi di governo ha conseguito due risultati. Da una parte ha stilato un elenco di grandi evasori, tra liberi professionisti ed aziende, semplicemente confrontando le entrate e le uscite e scoprendo così anomale disparità. Ha poi indagato sui conti della Banca Nazionale dell’Agricoltura (ATE) dove ha riscontrato un ammanco di cinque miliardi di euro – frutto di tremila prestiti ingiustificati – erogati in dieci anni a beneficiari che non li hanno mai restituiti, tra cui i due partiti che hanno governato la Grecia dal ritorno della democrazia: i socialisti del Pasok e i conservatori di Nuova Democrazia.
Nonostante i risultati nella lotta anti-corruzione, gli oppositori di Tsipras, attaccano l’ex premier sul senso generale del suo mandato. Tsipras, sostengono i suoi avversari, era stato eletto per combattere la troika e rigettare il memorandum. Dopo il referendum, però, Tsipras ha accettato un piano di salvataggio peggiore dell’ultima offerta fattagli dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Quale credibilità può offrire Tsipras, dentro e fuori dai confini nazionali, chiedono oggi i suoi avversari? Il leader di Syriza replica però che la sua è stata una scelta obbligata, unica possibile per impedire “il tragico ritorno alla dracma”, e ora chiede nuovamente la fiducia dell’elettorato per portare avanti le riforme chieste dall’Europa e un piano di riequilibrio sociale interno.
Nuova Democrazia
La componente conservatrice, di contro, punta dritta ad un governo di unità nazionale, contando su una squadra trasversale di eccellenze in diversi settori. Una sorta di esecutivo dei migliori con conservatori, socialisti e centristi per attuare le misure chieste dall’Europa e favorire nuovi investimenti nel Paese, senza dei quali la ripresa rimane un miraggio.
Il nuovo leader di Nuova Democrazia, Vaghelis Meimarakis, già ministro della Difesa e presidente della Camera sino allo scorso dicembre, lo ha più volte ribadito nel confronto televisivo con Tsipras andato in onda sulla tv pubblica Ert. “Noi cerchiamo una collaborazione con chi è disponibile per dare alla Grecia un governo solido e duraturo”, salvo incassare il “no” di Tsipras e di Syriza.
Maimarakis può cavalcare l’onda di delusione che serpeggia fra l’elettorato medio per il cambio di passo di Tsipras, prima fermo oppositore della troika e in seguito fautore del suo ritorno in Grecia, a condizioni ben peggiori. Dal primo ottobre, infatti. aumenterà l’Iva su pane e latte, mentre sono ben 272 le scuole che non hanno riaperto i battenti per l’inizio dell’anno scolastico a causa della mancanza di personale o per problemi alle strutture.
Punto debole dei conservatori è nella cedevolezza con cui hanno accettato, a partire dal 2012, le misure di “lacrime e sangue” imposte dai creditori, misure che non hanno sanato le finanze del paese, ma ne hanno peggiorato la condizione.
Dietro alle due forze che si giocheranno la vittoria finale, staccatissimi, tutti gli altri partiti, che dovranno muoversi con l’obiettivo di posizionarsi all’interno di futuribili alleanze. Terzi. secondo le previsioni dei sondaggi, i nazionalisti di Alba dorata (7%) seguiti dai centristi di To Potami e via via tutti gli altri. Rischiano di restare sotto la soglia di sbarramento, e fuori dal prossimo parlamento, la coalizione di sinistra democratica in coppia col Pasok e gli indipendenti di Anel, al governo con Tsipras sino a ieri.
Scandali
Si tratta di un capitolo che tocca i due maggiori schieramenti, e che sta dominando la scena e le prime pagine dei giornali greci in questi giorni. Da un lato, la vicenda dell’ex ministro di Syriza Alekos Flambouraris, che lo scorso maggio ha vinto un appalto da 3,9 milioni di euro con la sua azienda per un lavoro pubblico nella regione del Peloponneso. La vicenda sta facendo scalpore anche perché in quei giorni della scorsa primavera, l’intera Grecia era sostanzialmente ferma a causa dell’impasse con Bruxelles e le casse delle amministrazioni locali venivano precettate dal governo centrale per pagare i prestiti ai creditori internazionali. Tutte, secondo l’accusa mossa a Flambouraris, tranne la regione del Peloponneso che siglava quel contratto. L’esponente di Syriza si è difeso sostenendo di essersi disfatto delle azioni di quella società un attimo dopo aver assunto l’incarico ministeriale.
Sul fronte dei conservatori è il leader Meimarakis ad essere più esposto, sulla questione delle forniture di armi. Già ministro della Difesa, nell’agosto del 2014 Meimarakis è entrato nella lista di nomi eccellenti visionata dalla commissione d’inchiesta che analizzava i documenti e le testimonianze sull’anomalo acquisto di armi da parte della Grecia. Atene è il quarto importatore di armi al mondo e in Europa detiene il record della più alta percentuale del suo PIL spesa per l’acquisto di missili e carri armati.