ESI: ecco “Il piano Merkel”
ESI, centro studi con sede a Berlino, ha pubblicato di recente una proposta per la soluzione della crisi dei rifugiati. L’ha chiamata "Piano Merkel" ed ha invitato la Germania ad agire in prima persona
(Pubblicato originariamente il 4 ottobre 2015 su esiweb.org, tradotto da OBC)
I numeri sono rilevanti, ed in forte crescita. In sette mesi, da gennaio a luglio 2015, sono arrivati in Grecia 125.000 richiedenti asilo. Nel solo mese di agosto sono arrivate 108.000 persone. In settembre 153.000.1
Dal momento che Grecia, Macedonia, Serbia e Croazia consentono il passaggio ai profughi – e che, nonostante la sua retorica, lo stesso fa l’Ungheria di Viktor Orban – le 150.000 persone che sono entrate in Grecia nel mese di settembre hanno tutte raggiunto l’Austria. Il 25 settembre, un funzionario austriaco ha riferito al New York Times che “in Austria entrano quotidianamente fino a 10.000 migranti, che perlopiù provengono dall’Ungheria”.2
La barriera di Orban ha solo reso un po’ più arduo il viaggio, ma non ha cambiato le carte in tavola. La maggior parte dei rifugiati che arrivano in Austria poi si dirigono verso la Germania. Nemmeno il recente ripristino di alcuni controlli di frontiera in Germania ha modificato la situazione. Il 29 settembre, il governo bavarese ha rilevato che, nello stesso mese, erano arrivati 169.400 richiedenti asilo.3 Di questo passo, il prossimo anno si calcola che più di 1,8 milioni di rifugiati arriveranno in Germania – senza tener conto, poi, dell’impatto di un intervento militare russo in Siria. Come riportato da un coordinatore regionale dell’Unhcr, il flusso migratorio non sembra arrestarsi, e probabilmente si tratta solo della punta di un iceberg.4
Nel frattempo nonostante l’orrore globale e i bambini annegati, i migranti continuano a morire nell’Egeo. Nel mese di settembre, 160 persone sono morte tentando la traversata. Queste cifre superano addirittura quelle dell’intero 2014.5 Ma il 99,9% di coloro che hanno tentato la traversata ce l’hanno fatta ad arrivare in Grecia: e questa percentuale spingerà altri a compiere il difficile viaggio. Il muro che circonda la “fortezza Europa” è crollato.
Politici e commentatori stanno proponendo di rinforzare questo muro con più recinzioni, torrette e guardie di frontiera. Ma nessuna delle loro proposte è plausibile. Nel mese di settembre, la Commissione europea ha proposto un primo pacchetto di misure da adottare: ricollocare alcuni richiedenti asilo già nell’UE, creare degli hotspot per accelerare la registrazione dei nuovi arrivati, sviluppare la proposta di un servizio di frontiera e guardia costiera europea. Ciononostante nessuna di queste misure, anche se pienamente attuata nell’immediato, ripristinerebbe il controllo sulla frontiera esterna del Mar Egeo. Nel frattempo i politici tedeschi continuano a ripetere che ci deve essere una “soluzione europea”, come se un’altra conferenza dell’UE potesse produrre una soluzione come il genio della lampada. Ciò non avverrà.
Nei talk-show di tutta Europa, gli esperti non fanno che ripetere le solite proposte generiche: affrontare le “cause profonde” della crisi, “risolvere la situazione in Siria, Libia e Medio Oriente”, ospitare l’ennesima conferenza internazionale. Vi sono dozzine di interventi in cui i vari leader concordano sul fatto che l’UE deve salvaguardare la sua frontiere esterna; che il confine deve essere sigillato; che devono essere attuati controlli severi alle frontiere; che le infrastrutture devono essere rafforzate. Ma nessuno offre delle idee concrete per implementare queste azioni. Una recente intervista sul Washington Post con l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, Federica Mogherini, mette in evidenza questa impotenza. “La Responsabile Ue per la politica estera: ecco cosa fare per i rifugiati”, il titolo è promettente ma il lettore cerca invano proposte concrete. L’impotenza delle élite è pienamente espressa nell’affermazione lamentosa della Mogherini: “E’ doloroso veder costruire recinzioni e muri in Europa”. Ciononostante la Mogherini afferma poi che “noi europei siamo in grado di gestire il problema” e si augura che “i partner internazionali possano accogliere altri rifugiati per il reinsediamento.” Conclude che solo “una soluzione politica al conflitto in Siria” sarebbe d’aiuto.6
Mentre i principali leader europei dichiarano la loro impotenza, alcuni politici vedono la crisi dei rifugiati come un’opportunità di cambiare la natura stessa della politica europea, alimentando i timori dell’opinione pubblica nei confronti di una "invasione musulmana". In un discorso del 5 settembre, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha sostenuto che questa crisi ha rappresentato un’opportunità straordinaria per sconfiggere le politiche liberali in Europa. Le sue proposte mirano ad allontanare l’Ue dai diritti umani universali, all’abolizione del diritto di asilo per i rifugiati musulmani e alla creazione di un’Unione europea illiberale e islamofobica.7 La crisi umanitaria sta rapidamente diventando di carattere politico, con il potenziale di scuotere l’Unione europea fin dalle sue fondamenta. Se la situazione dei rifugiati rimane fuori controllo, si fa reale la prospettiva di una risorgente estrema destra, più energica e più unita che mai, che riesce ad ottenere una posizione di controllo sulla politica europea.
Basta parole vuote e pie illusioni: vi è un urgente bisogno di soluzioni che compendino il ripristino del controllo della situazione con la compassione, che possano funzionare nel qui e ora, e che non si fondino sull’eventuale risoluzione della situazione siriana. Questo articolo presenta una proposta in questo senso. Ma prima dobbiamo capire perché ciò che viene attualmente proposto non può funzionare.
Perché le proposte attuali non possono funzionare
Nelle ultime settimane si sono avuti molti incontri e discorsi da parte dei leader europei che chiedono di passare all’azione e molte proposte politiche per arginare il flusso di arrivi. Vediamole in ordine.
Fornire maggiori finanziamenti per aiutare i rifugiati in Turchia, Libano e Giordania . Questa è una buona idea dal punto di vista umanitario. I campi profughi gestiti dalle Nazioni Unite e lo sforzo di soccorso internazionale in Libano e Giordania non hanno ricevuto finanziamenti adeguati. Quattro milioni di rifugiati siriani rappresentano un onere enorme per la regione.
Di certo però non sono le condizioni dei campi profughi il fattore principale nei calcoli che portano i migranti ad intraprendere il viaggio, e resta il fatto che la Turchia, secondo l’Unhcr, ha realizzato alcuni dei campi profughi più attrezzati al mondo. Nel febbraio 2014, il New York Times ha pubblicato un articolo sulla Turchia, intitolato "Come costruire un perfetto campo profughi":
"E ‘il campo profughi più bello del mondo!", ha canticchiato un diplomatico polacco che alloggiava presso il mio hotel quando gli ho menzionato il nome del campo dov’ero stato il giorno prima. Assieme a lui c’era un funzionario italiano; ha annuito con convinzione. Nessuno – non l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, né gli accademici e nemmeno i rifugiati – nega che il tenore di vita qui è eccezionalmente alto. Quando ho poi elencato i servizi garantiti nel campo ad un’esperta di rifugiati, lei ha risposto: “Non ho mai sentito parlare di una cosa del genere”.8
L’autore ha osservato che “la gratitudine per il paese ospitante pervade il campo”. Ci sono l’elettricità, delle scuole e un basso tasso di criminalità. Si è lontani dalle condizioni molto più dure dei rifugiati siriani in Libano o in Giordania, o le condizioni nei campi profughi in Ungheria o in Grecia. E tuttavia, l’articolo conclude che, anche nei campi della Turchia, ciò che manca è la speranza:
"Al di là dei comfort e della pulizia, e le imponenti strutture del campo di Kilis, c’è una cosa importante da notare: a nessuno piace vivere lì. ‘E’ difficile per noi’, ha detto Basheer Alito, il responsabile di uno dei settori del campo che era stato così convinto nelle sue lodi per i vantaggi che vi erano in quel campo e nei confronti dei turchi. ‘Intimamente siamo infelici. Nel mio cuore questa è una situazione temporanea, non permanente’. ‘E se fosse permanente?’ gli ho chiesto. Rapidamente, mi ha risposto: ‘Sarebbe impossibile da accettare’"
È perfettamente chiaro oggi che passeranno molti anni prima che i rifugiati possano tornare in Siria, nelle loro comunità, ormai distrutte e irriconoscibili. Hanno bisogno di posti di lavoro – e nessuno dei Paesi ospitanti dà loro un permesso di lavoro, anche se questo perlomeno lo si inizia a considerare in Turchia. Soprattutto, hanno bisogno di garantire un futuro per i loro figli: la metà dei rifugiati in Turchia ha meno di 18 anni. Infine il 90% dei rifugiati non vive nemmeno nei campi. Attualmente, l’unica valida opzione per molti dei rifugiati è quella di andare in Germania. La prospettiva di vivere in condizioni un poco migliori all’interno o all’esterno dei campi profughi non cambierà questo calcolo.
Un’agenzia UE di sostegno per l’asilo per valutare le richieste e concedere protezione: E’ una buona idea, in quanto l’attuale sistema che prevede diversi sistemi d’asilo nazionali si è rivelato completamente disfunzionale. Tuttavia, anche se evidenti ostacoli politici potrebbero essere superati, servirebbero degli anni per progettare una simile agenzia, crearla e metterla in funzione. Inoltre, il suo compito sarebbe quello di avere a che fare con i rifugiati già nell’UE; non avrebbe maggiore capacità nel limitare il numero di arrivi rispetto alle attuali agenzie nazionali.
Un elenco comune di paesi d’origine sicuri: Secondo il diritto internazionale e comunitario, “un paese di origine sicuro” è un paese che è stato valutato come libero da conflitti armati o da persecuzioni. Le persone provenienti da questi paesi hanno ancora il diritto di fare richiesta d’asilo, ma se non riescono a dimostrare con forte evidenza una persecuzione individuale, le loro richieste possono essere rapidamente respinte. La Commissione europea vuole proporre un elenco comune per tutti i paesi Ue di sette paesi d’origine considerati sicuri: Albania, Bosnia, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia. Allo stato attuale, il 17% delle richieste di asilo nell’Unione europea provengono da questi paesi.9 Questa proposta sarebbe utile per facilitare l’elaborazione delle richieste, liberando risorse amministrative. Non servirebbe a nulla, tuttavia, per ridurre il numero di arrivi attraverso il Mar Egeo. Non cambierebbe nulla per i rifugiati siriani.
Migliorare la ripartizione degli oneri all’interno dell’UE: Particolare attenzione è stata rivolta alla ripartizione degli oneri – garantire che tutti i paesi dell’UE facciano la loro parte per ospitare i rifugiati. A medio termine, questo dovrà essere parte di qualsiasi soluzione, anche se le barriere politiche per impedire che ciò avvenga sono notevoli. Un piano vincolante di trasferimento di 160.000 rifugiati dall’Italia e dalla Grecia, adottato il 22 settembre, ha già reso tese le relazioni intra-UE. Un accordo su numeri più grandi sembra remoto. E rendere tale sistema operativo è un’enorme sfida logistica. Soprattutto, però, un sistema di distribuzione dei rifugiati in tutto il continente non farà la differenza per l’afflusso della corrente migratoria. Lo stesso si può dire di una migliore gestione e di una migliore attrezzatura nei centri di accoglienza in Grecia.
Per quanto riguarda l’invito al resto del mondo per fare di più per accogliere i rifugiati siriani, è, nel migliore delle ipotesi, una prospettiva lontana. Gli Stati Uniti hanno accettato di far entrare poche migliaia di rifugiati il prossimo anno; il Regno Unito ha accettato di farne entrare 20.000 nei prossimi cinque anni. Messe assieme, queste cifre sono inferiori al numero di profughi che arrivano in Grecia ogni settimana.
Combattere i trafficanti di uomini: vi sono numerose proposte per un rafforzamento dell’imposizione dello stato di diritto. Non c’è dubbio che il movimento dei profughi è stato facilitato dall’esistenza di reti criminali e senza cuore. Lasciar soffocare profughi disperati nel cassone di un camion frigorifero abbandonato è tra i più scioccanti crimini immaginabili. Tuttavia, la crisi dei rifugiati non può essere risolta arrestando i trafficanti di uomini. La richiesta di una via verso l’Europa è così grande che, inevitabilmente ci saranno personaggi senza scrupoli a colmarla. E i rifugiati siriani non hanno bisogno di sofisticate operazioni di contrabbando per raggiungere la Grecia sulle loro precarie imbarcazioni. Sono già in Turchia, e le barche necessarie per portarli in Grecia sono relativamente a buon mercato.
Confidare in una "soluzione europea": Le istituzioni europee hanno lavorato a pieno regime, ma niente di quello che viene attualmente discusso a Bruxelles farà la differenza nel breve termine. Il presidente della Commissione ha posto la questione dei profughi al centro del suo discorso sullo Stato dell’Unione il 9 settembre. Lo stesso giorno, la Commissione ha pubblicato una proposta come “parte di un approccio globale e sistemico”.10 I ministri dell’UE riunitisi il 22 settembre hanno concordato un meccanismo di trasferimento “temporaneo ed eccezionale” – cioè non permanente – limitato a 160.000 rifugiati (l’attuale afflusso in un mese).11 Il giorno dopo, i leader dell’UE hanno adottato una serie di misure: aumento finanziario alle organizzazioni internazionali e ai paesi in prima linea; risorse aggiuntive per le rilevanti agenzie dell’UE, compreso personale e attrezzature per gli stati membri per un comune pattugliamento della frontiera; la costituzione di hotspot negli stati UE in prima linea, al più tardi entro il novembre 2015.12
Vi è un problema serio, però, condiviso da tutte le proposte discusse dall’UE nelle ultime settimane. Anche se pienamente attuate nell’immediato, tali misure non ripristinerebbero il controllo del confine esterno lungo il Mar Egeo. Non ridurrebbero il flusso di nuovi arrivi.
Costruire barriere più alte: Ci sono molte varianti di questa idea – si va dal rafforzare Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere, al ripristinare dei controlli alle frontiere all’interno dell’area Schengen dell’UE – ma tutte mancano della possibilità di essere implementate. Lasciamo stare, per un momento, il sentimento umanitario, la morale o gli impegni giuridici intrapresi ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite e della legislazione UE. L’obiezione più semplice a questa idea è che non può funzionare. Non è che le recinzioni siano sempre inutili: la cortina di ferro dell’era sovietica – con le sue torri di guardia, pattuglie di frontiera militari e le politiche shoot-to-kill – è stata un’efficace strategia di controllo della circolazione delle persone; si potrebbe dire che, in tal senso, “ha funzionato”.
Ma le recinzioni non possono essere costruite sull’acqua. La suggestione che la Grecia, se solo ci avesse provato con più impegno, avrebbe potuto in qualche modo fermare i migranti dal raggiungere l’UE, non passa al vaglio della realtà. Un tale obiettivo non potrebbe essere raggiunto nemmeno se subentrasse una nuova guardia di frontiera e delle coste europee. Attualmente, ogni migrante che arriva con una barca al largo delle coste di Lesbo e Kos ha praticamente la certezza di raggiungere la Grecia. Il governo greco non può affondare le navi o allontanarle dalle proprie coste; sarebbe illegale e pericoloso. La Grecia può scegliere tra due sole opzioni: aspettare che i migranti attracchino nel paese o intercettarli in mare e accompagnarli in Grecia. In entrambi i casi raggiungono l’UE. I contrabbandieri lo sanno bene. Le notizie viaggiano veloci, e alla stessa velocità cresce il numero di potenziali migranti da paesi lontani come l’Asia centrale.
Una dispiegamento più ampio dell’UE nel Mar Egeo potrebbe aiutare il salvataggio delle barche più precarie, che rischiano di venir facilmente rovesciate dai flutti. L’Unione europea potrebbe introdurre dei miglioramenti nella comunicazione, nelle attrezzature, nella sorveglianza e nella cooperazione tra le varie agenzie. Ma tutto ciò non servirebbe a far calare il numero di persone che continuano a raggiunger Samo, Kos o Lesbo. Infatti, le guardie di frontiera dell’UE sarebbero comunque tenute a scortare nel territorio europeo ogni barca di migranti che intercettino. E tutte le barche non intercettate continuerebbero il loro viaggio verso le isole greche. L’inondazione di richiedenti asilo non si fermerebbe.
La Turchia dovrebbe fermare i rifugiati: Alcuni leader europei hanno suggerito di lavorare con la Turchia per affrontare la crisi dei profughi attraverso un dialogo rafforzato. Questa proposta si basa su una giusta intuizione: che un efficace controllo delle frontiere dipende soprattutto dai vicini dell’Unione e dalla loro volontà e capacità di fermare i migranti irregolari nel raggiungere i confini dell’UE. Questo è evidenziato dal blocco del flusso di persone che avevano attraversato l’Adriatico dall’Albania in Italia negli anni ’90; spiega perché siano poche le barche che lasciano il Marocco per raggiungere la Spagna; e perché il crollo degli stati del nord Africa, soprattutto la Libia, ha creato una situazione insostenibile per la guardia costiera italiana nel Mediterraneo.
È vero: è la Turchia a possedere la chiave per fermare l’arrivo incontrollato di centinaia di migliaia di persone nel Mediterraneo orientale. Tuttavia, l’invito alla Turchia a “fare di più” non precisa in che modo la Turchia dovrebbe fermare i rifugiati che attraversano l’Egeo né perché dovrebbe provare a fare di più di quanto stia già facendo. Dopotutto, anche stati membri UE si stanno affrettando a caricare i rifugiati sui treni o sugli autobus in direzione Germania. Perché la Turchia dovrebbe agire diversamente, dal momento che sta ospitando il maggior numero di rifugiati siriani? Nel corso del 2015 la guardia costiera turca ha arrestato 59 trafficanti e salvato più di 45.000 rifugiati nel Mar Egeo, riportandoli in Turchia. Il fatto che siano pochi i rifugiati ad attraversare il confine terrestre con Grecia e Bulgaria è la prova che la Turchia gestisce il suo confine in modo tutt’altro che inefficace.
Ma ci sono dei limiti chiari a questi sforzi, che ci riportano a Sisifo che trasporta il masso in cima al monte. Chi ha visitato la zona lo nota in fretta:
“I rifugiati si nascondono negli oliveti intorno a coste rocciose e si stabiliscono lì, mentre aspettano il loro turno per salire sulla barca. Non li si può vedere dal mare, ed è difficile raggiungere quei luoghi isolati. Gli abitanti del posto hanno paura ad avventurarsi nella zona, per timore delle guardie dei trafficanti di uomini. Nell’area ci sono solo sparuti villaggi, e una piccola presenza della polizia. I funzionari locali si occupano di problemi quotidiani: incidenti stradali, furti minori”.14
Il problema per la guardia costiera turca non è tanto quello di rintracciare le barche, ma quello di fermarle in maniera sicura:
“Una volta che i migranti sono in mare, fermarli è difficile e rischioso. Le barche di profughi navigano in colonne, quindi arrivano contemporaneamente da molti punti. Si possono vedere 30-40 barche in una sola volta. Si muovono in fretta, corrono alti rischi e non si fermano quando le si avverte. Inizialmente c’erano tre barche della guardia costiera
nella zona, che erano incaricate di fermare il contrabbando, tenere a bada l’inquinamento causato dalle navi di passaggio o altri lavori di routine. Dopo l’arrivo dei migranti, la Turchia ha inviato più imbarcazioni, arrivando a 10 … Una volta che una barca della guardia costiera ferma un gommone di migranti, ci vuole almeno un’ora per far salire i profughi a bordo e riaccompagnarli al porto. Dopo che i rifugiati vengono registrati, vengono consegnati alle autorità locali e spediti in un campo profughi. Mentre tutto questo accade, le altre barche raggiungono la Grecia.”
Accade inoltre che i contrabbandieri sparino alle autorità turche. Vi è anche la paura che accadano incidenti:
"Gli ufficiali turchi sono e devono essere cauti nel fermare le imbarcazioni sovraccariche: se la barca si capovolge e se a bordo vi sono bambini, o semplicemente persone che non sanno nuotare, si rischia di causare fatalità. Il salvataggio in questo tipo di situazioni dura mezz’ora, tempo sufficiente per molti per affogare”.
E per i rifugiati che vengono intercettati, non c’è nulla che impedisca loro di ritentare.
Le offerte di denaro europeo non risolvono queste sfide molto pratiche – e non sono state ben accolte in Turchia. Quando i leader dell’UE incontreranno il presidente turco Erdoğan a Bruxelles, lunedì 5 ottobre, probabilmente ripeteranno la loro offerta di 1 miliardo di euro di fondi europei. Un’offerta che alti funzionari turchi hanno definito ad ESI “da allocchi”. Il denaro in questione era già stato promesso alla Turchia per sostenere il suo processo di adesione all’UE. Non si tratta quindi di nuovi finanziamenti, e riallocarli in questa maniera non è percepito come un sostegno significativo.
Un altro argomento interessante è che l’UE potrebbe promettere di accelerare il cammino verso la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. Il problema di questa idea però è che sono gli stati membri a decidere se revocare l’obbligo del visto. Per essere credibile una simile promessa non deve provenire da Bruxelles, ma da Parigi o Berlino.
E’ vero: l’unica maniera in cui questa crisi possa essere risolta in tempi brevi è la cooperazione con la Turchia. Ma questa dovrebbe essere una cooperazione in termini del tutto differenti da quelli che possono offrire le istituzioni europee di Bruxelles. Infatti, a tal proposito, l’UE può offrire davvero poco. Una proposta credibile deve provenire da altri.
Perché la Germania deve agire subito
Dal momento che le istituzioni europee offrono misure frammentarie, che non contribuiscono ad un piano coerente, è chiaro che è la cancelliera tedesca Angela Merkel ad essere l’unico leader nella posizione di compiere azioni significative. Quando questa crisi è scoppiata alla fine di agosto, la Merkel si è guadagnata il rispetto di molti europei grazie alla sua leadership compassionevole. Ora però, la compassione ha bisogno di essere accompagnata da una riaffermazione del controllo sui confini europei. Angela Merkel ed i suoi alleati politici in Europa devono dimostrare di essere loro, e non l’estrema destra, a poter offrire una soluzione reale alla crisi.
Attualmente, l’estrema destra europea fantastica sull’erigere recinzioni ancora più alte, rispedire in mare le barche dei rifugiati, e costruire dei campi dove incarcerare chi oltrepassa il confine. Se non si dimostra la capacità di controllare il numero di profughi che arrivano nell’UE, alla fine la compassione della gente sarà soppiantata dalla paura. Questo fatto viene spietatamente sfruttato dall’estrema destra, che evoca visioni di milioni di poveri migranti che arrivano da tutto il mondo nell’UE per impaludare i valori europei e distruggerne lo stile di vita.
La sfida della Merkel non è solo quella di porre fine alla crisi dei rifugiati, ma di farlo in modo da riaffermare l’impegno europeo nel sostenere i diritti umani universali. Come continente più ricco del mondo, l’Europa ha un interesse vitale nel mantenimento del rispetto delle norme internazionali. La maggioranza degli europei ha risposto alla crisi riconoscendo una comune umanità rispetto a coloro che fuggono dalla guerra siriana. Qualsiasi soluzione deve riflettere questo impulso umanitario.
Angela Merkel è nella posizione ideale per proporre una politica credibile dell’UE, data la sua popolarità in Germania, la sua visibilità nel mondo e il fatto di aver puntato il suo capitale politico sulla capacità della Germania di gestire questa crisi. Nonostante le recenti battute d’arresto, rimane in una forte posizione politica, senza rivali nel suo partito e con un sostanziale sostegno all’interno del Bundestag.
Ma la finestra delle opportunità si sta chiudendo. In ottobre, il 76% dei tedeschi ritiene che debbano essere stabilite "modalità legali per immigrare in Europa" – nel mese di settembre la percentuale era dell’85%. In ottobre, l’indice di gradimento della Merkel era al 54% – mentre in settembre era del 63%. In un altro sondaggio di ottobre, il 51% dei tedeschi si è detto in accordo con l’affermazione: "Sono preoccupato del fatto che così tante persone stanno arrivando in Germania"; il mese precedente la percentuale era del 38%.15 E il 59% dei tedeschi ora non concorda con la frase “la Germania è in grado di gestire questa crisi”.16
La Germania, invece, può riuscire a gestire la crisi. Ma la Merkel ha urgente bisogno di mostrare come. Vi è la necessità di un’iniziativa tedesca che faccia uscire dall’emergenza la crisi dei rifugiati. L’azione unilaterale tedesca non è da intendersi come un modo di mettere da parte le istituzioni UE ma piuttosto come la possibilità di garantire del respiro all’interno del quale possa emergere una politica UE credibile.
Elementi del "Piano Merkel"
Ci sono più di 1,9 milioni di profughi siriani registrati in Turchia.17 E’ dalla Turchia che la maggior parte dei profughi iniziano il loro viaggio verso l’Europa. L’idea principale di questo piano è che sia nell’interesse dell’UE e della Turchia condividere questo fardello. Gli elementi chiave di questo programma sono i seguenti:
Una quota tedesca per i siriani in Turchia: La Germania dovrebbe fissare una quota di 500.000 profughi siriani tra quelli attualmente registrati in Turchia che è disposta ad accogliere nei prossimi dodici mesi. La Germania dovrebbe anche invitare altri stati membri dell’UE ad aderire al programma, nel qual caso il totale potrebbe essere superiore.
Richieste di asilo: Secondo questo piano, i profughi siriani dovrebbero poter consegnare le loro richieste di asilo in Germania e in altri stati UE direttamente in Turchia. Coloro ai quali viene poi concesso l’asilo potranno così godere di un trasporto sicuro e ordinato verso le loro nuove comunità ospitanti. L’offerta dovrebbe essere limitata ai siriani attualmente registrati presso la Direzione Generale per gestione delle migrazioni turca (DGMM). In questo modo, si eviterebbe di incentivare ulteriori migranti a recarsi in Turchia, fatto che non farebbe che aumentare il peso già sostenuto dalla Turchia. Anche solo questo contribuirebbe a gestire gran parte dei casi dei rifugiati. I siriani rappresentano infatti il 65% (175.000) dei 271.000 migranti che hanno raggiunto la Grecia tra gennaio e agosto 2015.
La logistica delle richieste d’asilo in Turchia: La sfida dell’elaborazione delle richieste d’asilo in Turchia non è così difficile da affrontare come si potrebbe immaginare. E’ dal novembre 2014 che le autorità tedesche non conducono più colloqui individuali con i richiedenti asilo siriani che arrivano in Germania, a meno che non vi siano dubbi sull’identità dei richiedenti o un particolare motivo di dubitare delle loro affermazioni. Le autorità tedesche hanno preso questa decisione per risparmiare risorse, dal momento che il tasso di riconoscimento dei richiedenti asilo siriani nel 2014 è stato superiore al 95%.18
I richiedenti asilo in Germania vengono registrati, vengono scattate loro foto e rilevate le impronte digitali, inoltre devono compilare un questionario dettagliato. Gli assistenti sociali poi prendono una decisione basandosi su questi documenti. Questo approccio può essere applicato in egual modo in Turchia. Il governo turco ha già registrato i rifugiati siriani, quindi le informazioni nel database esistente possono aiutare il processo.
Il fatto che la stragrande maggioranza dei rifugiati siriani siano famiglie rende più facile il trattamento delle domande. Secondo un sondaggio del 2013, il 17% dei rifugiati siriani in Turchia erano padri di famiglia, il 15% erano coniugi, il 55% figli, il 3,3% nipoti, il 9% adulti non sposati o altri famigliari.19 Questo significa che solo il 26% dei richiedenti (capi-famiglia e singoli individui) avrebbe effettivamente bisogno di presentare la domanda di asilo. Se al capo famiglia è concesso l’asilo, questo dovrebbe essere esteso automaticamente al/alla sua coniuge e ai suoi figli.
Registrare 500.000 persone è comunque un’impresa notevole. Tuttavia, la Germania deve affrontare questa sfida già in casa propria. Il nuovo capo dell’agenzia responsabile (il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge – BAMF) ha già chiesto richiesto 3.000 nuovi assunti, per arrivare a un totale di 6.300 dipendenti. Se una parte del lavoro è fatto in Turchia, la BAMF potrebbe assumere dipendenti a livello locale per le posizioni che non richiedono compe