Erik Valenčič: il servizio pubblico allo sfascio
E’ stato presentato da poco un suo documentario girato in Turchia, Siria ed Iraq e prodotto dalla Radiotelevisione slovena. Dalla quale però è stato allontanato. Erik Valenčič ci racconta il servizio pubblico e lo stato dei media in Slovenia. Intervista
(Intervista originariamente pubblicata dal portale H-Alter il 14 settembre 2015, titolo originale: Smrt fašizmu, sloboda ljudima )
Erik Valenčič, giornalista e documentarista d’inchiesta, si è trovato di recente tra le ”vittime” della presunta ristrutturazione della RTV Slovenia. E’ noto soprattutto per essere l’autore del documentario “La coalizione dell’odio” – nel quale si è occupato del nesso di complicità che lega il Partito democratico dell’ex premier Janez Janša a correnti neonaziste e guadagnandosi il premio speciale del Circom, European Association of Regional Television, per il giornalismo d’inchiesta – ma anche per il suo impegno come reporter di guerra: il documentario “I fronti del Kurdistan” è frutto del suo ultimo viaggio in Medio Oriente intrapreso con l’intento di fornire un quadro di ciò che accade sulle prime linee.
Recentemente lei è stato licenziato dalla RTV Slovenia o meglio, la direzione ha semplicemente deciso di non rinnovarle il contratto, giustificandosi col momento difficile che richiede risparmi. Negli stessi giorni la sua collega Jelena Aščić è stata sospesa dalla conduzione del telegiornale a quanto pare, almeno da quello che hanno riportato i media croati, a causa della sua nazionalità. Cosa sta realmente dietro a queste decisioni che hanno tutta l’aria di essere una purga?
Nel mio caso non si è trattato di un vero e proprio licenziamento in quanto non ero assunto a tempo indeterminato, bensì del mancato rinnovo del contratto. Quanto alle mie colleghe che sono state sollevate dagli incarichi che ricoprivano: Helena Milinković, ormai ex conduttrice del programma Globus, ha cercato di ottenere dalla direzione una spiegazione sul perché sia stata sostituita ma non ci è riuscita; i motivi per rimuovere Jelena Aščić dal ruolo di conduttrice del telegiornale non sembrano essere invece quelli riportati dai media croati. Stando a quanto letto sulla stampa slovena, sembra che la sua appartenenza nazionale sia stata però oggetto di dibattito all’interno del Consiglio redazionale, dove si è discusso se sia opportuno che una croata conduca il telegiornale nei giorni di feste nazionali.
Non ho motivo di dubitare che ciò sia realmente accaduto, ed è una cosa di cui dovrebbe vergognarsi non solo la RTV ma anche lo stesso stato. Tuttavia, non vi è alcuna prova che dietro alla decisione di sostituire Jelena Aščić stia la questione della nazionalità, mentre tutto indica che il vero casus belli, comune del resto a tutti i casi in questione, risiede nel suo impegno di critica sociale.
Non parlo solo di noi tre perché ad essere licenziati o sostituiti ultimamente ve ne sono molti altri, e anche se i vertici sostengono che si tratta di misure di razionalizzazione e contenimento della spesa, nessuno crede loro. La scusa del risparmio non regge perché, se vogliamo limitarci al mio caso, tutto il lavoro che ho fatto in questi ultimi mesi è costato alla RTV Slovenia solo qualche centinaia di euro, e nemmeno licenziando le mie colleghe si è risparmiato molto.
D’altra parte va ricordato che la direttrice della RTV, Ljerka Bizilj, ha speso quasi mezzo milione di euro per ben undici episodi di un programma di intrattenimento che si è dimostrato un vero fiasco, dopodiché è stato sospeso.
Quindi è ovvio che qui si tratta di una purga dei giornalisti scomodi, e lo conferma anche il caso di Špela Kožar, fino a poco tempo fa membro dello staff del Programma informativo e molto attiva nel rispettivo organo associativo. Quest’ultimo fatto non era gradito ai vertici che hanno deciso di trasferirla al programma culturale, impedendole così di partecipare alle attività associative.
Chiunque creda che nella RTV Slovenia sia in atto una ristrutturazione oggettiva e necessaria è molto ingenuo. Se è vero che si è stati costretti a licenziarmi per poter risparmiare qualche centinaia di euro, come si sarebbe dovuto reagire al fatto che la Bizilj aveva praticamente buttato dalla finestra quasi mezzo milione di euro? Per prevenire ulteriori danni di questo tipo, occorrerebbe emettere a suo carico un’ordinanza di divieto di avvicinamento alla sede della RTV.
È stata proprio Ljerka Bizilj a dichiarare nel corso di una recente conferenza stampa che la Radiotelevisione slovena non è un’istituzione sociale perché la sua funzione principale è quella di offrire all’opinione pubblica un palinsesto di qualità. Come commenta questa dichiarazione alla luce del recente susseguirsi di licenziamenti e destituzioni che hanno colpito proprio quei giornalisti che si occupano di argomenti seri, e lo fanno in modo critico?
Non voglio offendere nessuno, ma non posso fare a meno di constatare che l’intera conferenza stampa a cui lei si riferisce si è trasformata in una specie di harakiri collettivo. Concordo con la Bizilj sul fatto che la RTV Slovenia non possa fungere da istituzione sociale ma è molto curioso che la si sia percepita tale quando occorreva trovare un posto di lavoro per suo figlio, Bino Bizilj, ingaggiato come produttore del sopracitato programma flop.
Ora che certe cose stanno emergendo alla luce, suscitando ragionevoli dubbi su quanto la televisione pubblica sia da considerarsi immune alle pratiche corruttive, spetta proprio a noi giornalisti smascherare l’intera vicenda perché si tratta del servizio pubblico finanziato dai contribuenti, i quali hanno tutto il diritto di sapere in che modo e per che cosa vengono spesi i loro soldi.
Nella sua lettera aperta, scritta in reazione a quanto sta accadendo all’interno della radiotelevisione pubblica, lei sostiene che la responsabilità dell’attuale situazione, in cui le pressioni sui giornalisti si fanno sempre più intense, ricade sulla direttrice generale Ljerka Bizilj, su quella del Programma informativo, Jadranka Rebernik e su Bojan Traven, il cui compito, stando alle parole della stessa Bizilj, dovrebbe essere quello di monitorare la situazione dell’emittente pubblica, senza influire su decisioni di alcun tipo, tanto meno su quelle riguardanti i licenziamenti…
Quando si parla di una purga dei giornalisti impegnati nella critica sociale non si può prescindere dalle connotazioni politiche, che in questo caso corrispondono ad una precisa strategia della destra slovena. Se si tiene conto che tutti coloro che in questo paese praticano un giornalismo impegnato, persistendo nell’esprimere le proprie opinioni ed indagare su certi temi, prima o poi diventano scomodi ai politici di destra, non c’è da stupirsi se finiscono per essere licenziati o degradati.
Oltre a questa epurazione degli elementi scomodi, l’attuale direzione ha intrapreso anche una campagna di tabloidizzazione e commercializzazione dei programmi radiotelevisivi, portata avanti, almeno per quanto io sappia, proprio da Traven, che è anche il vice della direttrice Bizilj.
La cosa più curiosa di questo personaggio è la sua ostinazione a non rispettare il codice deontologico della professione, per la cui violazione è già stato sanzionato più volte. Viene da chiedersi come mai una persona del genere possa sentirsi legittimata a decidere se un giornalista pluripremiato debba essere sostituito o persino licenziato. Il mio ultimo documentario, “I fronti del Kurdistan “, girato agli inizi di quest’anno in Iraq, Siria e Turchia e prodotto proprio dalla RTV Slovenia, sarà presentato al Festival del film sloveno a sole due settimane di distanza dal mio allontanamento. Dove sta la logica in tutto ciò?
Supponendo che si prosegua con la commercializzazione della televisione pubblica, quanto spazio vi rimarrà per un giornalismo serio? Si rischia in questo modo di compromettere la funzione primaria del servizio pubblico?
Purtroppo, mi sembra che lo spazio per un giornalismo serio si stia restringendo, e ciò si ripercuote inevitabilmente sulla capacità della radiotelevisione pubblica di adempiere alla propria funzione primaria. A conferma di ciò, un costante calo dell’audience che, come ho saputo dai miei colleghi, nell’agosto di quest’anno era pari al 3% di share, quindi dimezzata rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ciononostante, la direzione continua a sospendere, o spostare in fasce orarie marginali, tutti i programmi di qualità, compromettendo la reputazione dell’emittente nazionale e privando l’opinione pubblica della possibilità di essere adeguatamente informata. A questo stato di cose contribuiscono anche quei giornalisti che, temendo esclusivamente per il futuro delle proprie trasmissioni, si lasciano intimidire facilmente. Tutto questo lascia pochi dubbi sul fatto che sia in corso un vero e proprio disfacimento del servizio pubblico.
Sempre con la scusa del contenimento della spesa, si è deciso di chiudere l’ufficio di corrispondenza di Zagabria – una decisione che, giustificata con la necessità di risparmiare 110 mila euro all’anno, risulta in netta contrapposizione con quella di dare il via libera a quel costoso programma di intrattenimento di cui sopra.
Stando però a quanto ho potuto sentire, l’attuale direzione non reggerà ancora a lungo.
Un altro aspetto del problema riguarda la persistente ingerenza della politica nell’operato del servizio pubblico, della quale è “responsabile” la stessa legge sulla RTV Slovenia, varata al tempo del governo di Janez Janša. Questa legge deve essere cambiata al più presto e un primo passo in tale direzione è già stato fatto con una petizione indirizzata al governo e al parlamento sloveno, a cui hanno aderito numerosi intellettuali ed accademici, con cui si chiedono modifiche legislative che porrebbero un freno alla dilagante politicizzazione del servizio pubblico.
A seguito dell’ultima puntata della sua trasmissione Zrcalo tjedna (Specchio della settimana), nel corso della quale ha toccato il tema dell’intensificarsi della retorica razzista nel contesto dell’attuale crisi dei rifugiati, concludendola con parole: Smrt fašizmu, sloboda ljudima (Morte al fascismo, libertà alle persone), alcuni blogger, e persino colleghi giornalisti, l’hanno accusata di aver violato il codice deontologico della professione. Qual è il suo commento a riguardo?
La trasmissione Zrcalo tjedna è pensata come un commento, e in quella puntata ho voluto dire la mia sulla gravità dell’attuale situazione in Europa. Dato che ho una certa conoscenza della problematica in questione – essendomi occupato a lungo dei movimenti di estrema destra, sia in Slovenia che in Europa, e avendo sperimentato in prima persona ciò che spinge la popolazione mediorientale a fuggire – ritengo che sia mio dovere avvertire della sua serietà, soprattutto alla luce dell’attuale crisi dei rifugiati.
Quanto al modo con cui ho concluso la trasmissione, le parole esatte erano queste: “Alcuni esponenti dell’estrema destra europea sostengono che i rifugiati rappresentano una minaccia per i valori cristiani, scordandosi però che Gesù parlò molto della solidarietà umana. È nostro dovere aiutare colui che ha bisogno di aiuto, ma anche opporsi fermamente a chiunque tenti di avvelenarci con l’odio”. Per poi concludere dicendo: “Morte al fascismo, libertà alle persone”.
Credo fortemente in ciò che ho detto e non ne cambierei una virgola, per niente e nessuno. Ovvio che una cosa del genere non l’avrei detta durante il telegiornale, ma siccome Zrcalo tjedna si proponeva di dare spazio al commento, ho voluto approfittarne per mandare un chiaro messaggio su quanto sia deleterio il fascismo. Di fronte a ciò che sta avvenendo in Europa, non si può rimanere in silenzio, e spetta innanzitutto a noi giornalisti parlarne apertamente. Non credo affatto alla cosiddetta “oggettività giornalistica“, piuttosto la considero un comodo paravento dietro al quale nascondersi dalle proprie paure.
Io, che sono stato molte volte in Siria, Iraq, Palestina, Kurdistan, non riesco ad essere “oggettivo“. A questo proposito mi vengono in mente le parole del noto giornalista Chris Hedges: “Se aveste visto, come me, le atrocità della guerra da vicino, nemmeno voi sareste riusciti a rimanere neutri.” Sono molto fiero del fatto che le ultime parole che ho pronunciato alla televisione pubblica siano state “Morte al fascismo, libertà alle persone”.
Lo scorso gennaio è stato convocato in procura per un interrogatorio poiché sospettato di aver rivelato nel suo documentario “La coalizione dell’odio“ i contenuti di un documento riservato. L’accusa riguardava la presunta violazione dell’art. 260 del Codice penale sloveno (pubblicazione di informazioni classificate), per la quale è prevista una pena fino a tre anni di carcere. All’epoca dei fatti, la direzione della RTV le ha espresso il suo sostegno, almeno in linea di massima, senza però assicurarle protezione legale, che ha ottenuto invece, se ho capito bene, dall’Associazione dei giornalisti sloveni…
Mi hanno convocato per un colloquio perché nel summenzionato documentario avevo fatto riferimento ad un documento della SOVA – l’Agenzia per la sicurezza slovena – che tratta di gruppi estremisti in Slovenia e che era stato censurato proprio nella parte riguardante l’estrema destra. In quel periodo alla guida della SOVA c’era Damir Črnčec che, essendo molto vicino a Janez Janša aveva forti motivi per partecipare all’occultamento di dati comprovanti l’esistenza di legami tra l’SDS e i neonazisti sloveni. Una complicità che sono riuscito a svelare nel mio documentario, così come la evidenziano chiaramente diverse fotografie pubblicate da alcuni miei colleghi.
Dopo aver ricevuto la convocazione per l’interrogatorio, sono stato contattato dal rappresentante legale della RTV, il quale mi ha fatto sapere che la direzione non dispone di sufficienti risorse finanziarie per procurarmi un’assistenza legale. Questo fatto non mi ha turbato più di tanto perché non avevo alcuna intenzione di rivelare l’identità della mia fonte, cosa che gli inquirenti si aspettavano da me. Poi è successo che l’Associazione dei giornalisti sloveni sia venuta a conoscenza del fatto che non ho potuto beneficiare del servizio di consulenza legale di cui dispone la RTV, reagendo subito in merito, sicché la direzione si è trovata costretta ad assegnarmi un avvocato. Tutto questo ha avuto forti ripercussioni sui miei colleghi e sulle mie colleghe, une delle quali mi ha persino domandato che senso ha impegnarsi nel mettere a nudo i retroscena politici di certi argomenti se alla fine ci si ritrova soli davanti ad un tribunale. È ovvio che con dei giornalisti così impauriti, un media non può operare come dovrebbe.
Nel frattempo sono successe molte cose, e sono sempre di più quelli che, sia all’interno che al di fuori della RTV, parlano insistentemente del disfacimento dell’emittente pubblica. Nonostante abbia già compiuto troppi errori, facendosi implicare in vicende poco trasparenti, l’attuale direzione continua a puntare sulla commercializzazione, minacciando di privare il paese del servizio pubblico.
A che punto è il procedimento a suo carico? La situazione si è poi risolta in qualche modo?
La procura alla fine ha rinunciato a processarmi ed è stato proprio il mio caso, insieme a quello di altri tre colleghi trovatisi in una simile situazione, a portare alla modifica legislativa secondo cui è lecito pubblicare informazioni riservate se ciò è nell’interesse pubblico. Quando si cerca di parlare pubblicamente del fatto che i servizi segreti sono politicizzati a tal punto da nascondere informazioni sull’estrema destra, le quali invece dovrebbero essere oggetto di dibattito parlamentare, è chiaro che si tratta dell’agire nell’interesse pubblico, e non sarebbe difficile dimostrarlo davanti ad un tribunale.
Credo che nel mio caso si sia trattato di una persecuzione politica, di una specie di vendetta intrapresa dall’SDS, alla quale si è poi rinunciato visto che io non mostravo alcuna intenzione di smettere di parlare pubblicamente dei loro legami con i neonazisti, da cui del resto non si sono mai distanziati. Penso che sia molto importante parlare apertamente di questa complicità e loro mi hanno dato un’ottima scusa per farlo, soprattutto Vinko Gorenak, l’allora ministro dell’Interno dalle fila dell’SDS, che è stato il primo ad incitare al mio linciaggio. Per questo l’ho ringraziato più volte pubblicamente e ne approfitto per farlo un’altra volta: Grazie mille, Vinko!
La polemica che ha accompagnato l’uscita del suo documentario si è perlopiù focalizzata sulla rivelazione di informazioni riservate, invece che sull’esistenza di legami tra l’SDS ed i neonazisti e sull’attività stessa dei gruppi di estrema destra. L’impressione è che manchi del tutto la volontà di affrontare seriamente questa problematica, sia in Slovenia che in Croazia, e lei resta uno dei pochi giornalisti che continuano a parlarne…
Molti sono rimasti sconvolti da quanto rivelato nel mio il documentario, anche se personalmente non vedo nulla di sorprendente nel fatto che esista un legame tra i democratici di Janša ed i neonazisti perché è ormai da tempo – e su questo punto non ho alcun dubbio – che l’SDS si ispira ai valori dell’estrema destra, basta prestare attenzione alle dichiarazioni dei suoi vertici per rendersene conto.
Dopo lo shock iniziale, ci si è scordati presto dell’intera vicenda, e oggi se ne parla molto meno di quanto vorrei. Un altro fatto preoccupante è che l’SDS non ha mai preso le distanze dalle correnti neonaziste. Per fortuna vi sono giornalisti che continuano ad occuparsi di questo argomento, ostinati nel non lasciare che vada coperto d’oblio, così come vi sono persone desiderose di sentirne parlare. Si persiste nell’esercitare pressioni su di noi, ma ciò non basta per scoraggiarci perché sappiamo di poter contare sull’appoggio dei colleghi e dell’opinione pubblica. Sappiamo di lottare per le cose giuste, e lotteremo ancora. Morte al fascismo, libertà alle persone.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto