Minatori in Bosnia Erzegovina, tragedie e solidarietà
A Kakanj, Bosnia centrale, recentemente quattro minatori hanno perso la vita portando a quattordici le vittime in questo settore solo nell’ultimo anno. Un’intervista
"Fare il minatore è un lavoro pericoloso", ha recentemente commentato il primo ministro della Federacija, una delle due Entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina, di fronte all’ennesima tragedia che è costata la vita a cinque uomini, a Kakanj. In Bosnia Erzegovina, a quanto pare, fare questo mestiere è però più pericoloso che altrove. Gli incidenti sono purtroppo all’ordine del giorno, tra strutture fatiscenti e lavori di ammodernamento che tardano. Per fare il punto della situazione, Osservatorio Balcani e Caucaso ha incontrato il presidente del Sindacato indipendente dei minatori dell’entità, Sinan Husić.
Le notizie giunte da Kakanj, dove cinque minatori hanno perso la vita in un incidente minerario, riportano l’attenzione sulla situazione difficile cui devono fare fronte i lavoratori di questo settore. Quali sono le attuali condizioni di lavoro, in termini economici e di sicurezza, dei minatori in Bosnia Erzegovina ?
La situazione attuale è parecchio complicata e difficile, per tutti i lavoratori di questo settore. Per risollevare le attuali condizioni di lavoro attuali servirebbe un nuovo ciclo di investimenti nelle miniere della Federacija che sono di proprietà dell’Elektroprivreda Bosne i Hercegovine. Anche lo stato dovrà fare la sua parte, nell’assicurare i fondi che servano soprattutto a migliorare la situazione dell’equipaggiamento e le condizioni di sicurezza all’interno degli impianti.
Il processo è già iniziato, anche se va a rilento: per ora, posso stimare che è stato fatto il 40% di quanto sarebbe necessario. Il lavoro rimanente dovrà essere completato in fretta, affinché non si ripetano drammi come quello di Kakanj ma anche per aumentare la stabilità finanziaria e l’efficienza degli impianti sotto un punto di vista puramente economico.
Per quanto riguarda il trattamento economico dei minatori nella Federacija esso è conforme, per così dire, alla situazione generale nel paese. Un minatore in media guadagna circa 500 euro al mese, a cui si dovrebbe aggiungere qualcosa in termini di "buoni pasto". Naturalmente, non è un granché, soprattutto considerando il lavoro che essi svolgono.
Di che cifre stiamo parlando, quando diciamo che servirebbero nuovi investimenti nel settore?
Negli ultimi tre anni, Elektroprivreda nelle sette miniere di sua proprietà nel territorio della Federacija ha investito più o meno 80 milioni di euro. Si tratta di una cifra enorme, sia ben chiaro. Tuttavia, considerato il fatto che per anni e anni non si è fatto alcun intervento di ammodernamento negli impianti, è chiaro che questi soldi non sono stati sufficienti a ottenere un livello di sicurezza accettabile. Se si vogliono avere dei risultati concreti, nonostante si tratti di una cifra ambiziosa, è realistico aspettarsi che un ammontare identico dovrà essere investito nel corso dei prossimi tre anni.
Nel frattempo, tuttavia, i minatori continueranno a lavorare negli impianti che si ritrovano. Con i rischi che ne conseguono. Prima dell’incidente nella miniera di carbone di Zenica nel settembre 2014, in cui morirono altri cinque minatori, lo stesso impianto aveva visto succedersi sei incidenti nell’arco di quattro anni. Come conciliare le differenti esigenze?
Sicuramente dobbiamo porre fine a questo stato di cose. Un numero enorme di persone ha perso la vita in diversi incidenti minerari in Bosnia Erzegovina: quattordici solo nell’ultimo anno, per quanto quattro di loro siano morte mentre estraevano illegalmente del carbone vicino a Tuzla.
Essere minatore è un mestiere difficile e pericoloso, e ci sono sempre nel mondo delle notizie di morti o di incidenti, persone che restano intrappolate e perdono la vita. Se si guardasse esclusivamente alle condizioni di sicurezza all’interno di certe miniere, non ci sono dubbi che andrebbero chiuse immediatamente e restaurate. Ma in quel caso, è anche vero che centinaia di persone rimarrebbero senza lavoro.
Mai nessuno è stato condannato per questi incidenti. Di fatto, per le autorità, si tratta sempre di "tragiche fatalità". Nessuno è mai stato chiamato a rispondere, per esempio, per delle misure di sicurezza inadeguate …
Sì, è esattamente così. Nel caso di tragedie come quella di Kakanj, ci sono differenti commissioni incaricate di ricostruire le dinamiche dell’incidente, dalle autorità federali, dalla procura e dall’amministrazione della miniera. Tutto ciò, però, si conclude sempre con un nulla di fatto, senza nemmeno che ci siano indiziati.
Per tutti gli incidenti capitati nelle nostre miniere dopo il 1990, le autorità – ma anche l’opinione pubblica – hanno sempre chiuso qualsiasi dossier decretando che "era destino" che queste persone perdessero la vita. Da un certo punto di vista, purtroppo, è una rassegnazione che è tipica della nostra cultura. Dall’altra, però, occorre dire chiaramente che al momento non esiste una chiara catena di responsabilità all’interno delle strutture minerarie, dell’Elektroprivreda fino al governo. Si tratta di una "confusione" inaccettabile e alla quale occorre al più presto trovare un rimedio. Se qualcosa va storto all’interno di una miniera, ci deve essere una persona, con nome e cognome, alla quale presentare il conto. E questo, al momento, non è possibile.
Come si è organizzato il sindacato per aiutare le famiglie dei vostri compagni che hanno perso la vita?
Il sindacato, ma sarebbe più corretto dire i minatori, hanno tradizionalmente sempre dimostrato una enorme solidarietà nei confronti dei propri compagni vittime di incidenti e delle loro famiglie. Solitamente è nostra cura sostenere con delle borse di studio anche i loro figli rimasti orfani, finché questi vogliono andare a scuola. Si tratta di un obbligo morale, per così dire, che si trasmette di generazione in generazione. I minatori costituiscono probabilmente uno dei segmenti più compatti e con più "spirito di corpo" all’interno della società bosniaca. Nel caso delle morti di Zenica, lo scorso anno, fummo capaci di raccogliere su base volontaria 41.000 euro.
Vi occupate sostanzialmente del territorio di una sola entità del paese. Quanto è diversa la situazione in Republika Srpska?
Non è molto diversa, anzi, potrei dire che la situazione è grossomodo la stessa per tutti i minatori della regione e dell’ex Jugoslavia. Forse l’attuale condizione dei nostri colleghi in Republika Srpska è giusto un po’ migliore perché negli ultimi anni hanno ottenuto numerosi investimenti dall’estero, come i fondi arrivati dalla Cina nella miniera di Stanari, che attualmente è una delle più moderne della regione.
Anche prima dei morti di Kakanj, i minatori in Bosnia Erzegovina erano sul piede di guerra. Solo tra settembre e ottobre c’erano stati due scioperi generali, a Travnik e a Zenica, soprattutto per problemi di stipendi non pagati. Cosa ci attende nel prossimo futuro?
Nel futuro, come già detto, ci aspettiamo che le autorità della Federazione e l’amministrazione di Elektroprivreda prendano le misure necessarie a evitare che simili episodi debbano ripetersi. Siamo confidenti, finora la collaborazione tra lavoratori, sindacato e impresa è andata bene. Il problema, lo dicevo già a inizio intervista, è che nelle miniere bosniache si sono accumulati decenni d’incuria. Recentemente abbiamo firmato un accordo per migliorare le condizioni di lavoro e della nostra sicurezza. Ci aspettiamo che tutti lo rispettino e mantengano quanto pattuito. Se si cercherà di temporeggiare, di rallentare gli investimenti, siamo pronti alla protesta. Anche se preferiamo considerarci parte della soluzione, e non del problema.