Prijedor: la pulizia etnica della memoria
A Prijedor, Bosnia settentrionale, a vent’anni dalla firma degli Accordi di Pace di Dayton gli effetti della pulizia etnica continuano a ferire. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Frequento spesso Prijedor, come semplice cittadino, che però ha a cuore la ricostruzione di una Bosnia Erzegovina nel rispetto dei diritti umani. E leggo quanto viene pubblicato on-line su questa cittadina bosniaca.
Recentemente mi è capitato tra le mani un articolo nel quale si parlava dell’ospedale cittadino. Si riferiva al fatto che fosse stata posta una lapide per ricordare i medici di quell’ospedale morti durante il conflitto degli anni ’90.
Di per sé il fatto non mi ha colpito, posare lapidi è cosa normale. Ma da persona che conosce le “lingue locali” e notano nomi e cognomi ciò che mi è rimasto impresso è che si capiva che venivano commemorati solo medici appartenenti ad una sola etnia, ad un solo “popolo”.
Se uno non conoscesse ciò che avvenuto a Prijedor potrebbe legittimamente chiedersi se, magari, in quell’ospedale avessero lavorato solo medici appartenenti ad un’unica tra le comunità che abitano la Bosnia Erzegovina. No, non era così. Semplicemente dalla lapide mancavano i nomi di altri medici che avevano lavorato in quell’ospedale e che poi erano stati uccisi durante la guerra: mancavano Esad Sadiković; Osman Mahmuljin; Rufad Suljanović, Jusuf Pašić; Razim Musić; Eniz Begić, Kemal Cerić ed infine il nome più controverso di tutti: Željko Sikora.
Sette dei medici nominati non sono stati inseriti nella lista perché appartenenti alla comunità bosgnacca. E chi segue le vicende della Bosnia Erzegovina potrebbe immaginare che l’ottavo è invece croato-bosniaco. Perché purtroppo lo schema è questo. In Bosnia hanno vissuto e continuano a vivere in maggioranza tre comunità: serbo-bosniaci, croato-bosniaci e bosgnacchi. Ed all’interno di questo schema ci ha imprigionati la pulizia etnica: tre popoli, tre eserciti e odio per tutti.
Željko Sikora però non era né bosgnacco e neppure croato. Ma perché allora è finito rinchiuso e poi ucciso nei campi di concentramento creati dai serbo-bosniaci attorno a Prijedor? Perché il suo nome non è stato inserito su quella lapide?
Željko Sikora era un bosniaco nipote di un minatore originario della Boemia, con più precisione dell’area di Gornja Puharska. Apparteneva quindi alla minoranza ceca di Bosnia. Alla lettura dell’articolo sulla lapide all’ospedale mi sono subito chiesto: ma perché un ceco è finito nei campi di concentramento costruiti a Prijedor per i nemici dei serbi, ossia croati e musulmani ?
Le cose sono andate in questo modo: Željko Sikora è nato nel 1957 a Prijedor, ha studiato a Tuzla ed ha lavorato come ginecologo presso l’ospedale di Prijedor. E’ stato arrestato il 23 maggio del 1992 con accuse che stupiscono: sarebbe stato direttamente responsabile della castrazione di neonati di sesso maschile nati da genitori serbi e di aver indotto ad abortire donne serbe. A seguito delle accuse venne allontanato dal posto di lavoro con la forza, rinchiuso con alcuni dei medici sopra nominati prima nel commando della polizia locale per poi finire nel vicino campo di concentramento Keraterm, posto nelle miniere di Lubija, dove i suoi antenati erano venuti a lavorare.
Dopo meno di un mese di torture disumane la vita di questo medico trentenne si è spenta per sempre. Il suo corpo senza vita fu trovato abbandonato vicino ad un container del campo di Keraterm il 07 giugno del 1992. Fu una dottoressa che ancora lavora presso l’ospedale cittadino a firmare il certificato di morte del collega: per cause naturali, scrisse.
Željko Sikora era un giovane medico amato da chi lo conosceva e rispettato anche da quelli che ne avevano solo sentito parlare. Ed è questa la sua colpa, aver fatto parte di quell’intellighenzia cittadina che si opponeva alla barbarie del conflitto.
La sua vicenda è esempio dell’intensa campagna di diffamazione e propaganda portata avanti dai media per creare un’atmosfera di odio e violenza nei confronti dell’”altro”. Un articolo su questo “Dottore-mostro” pubblicato sul quotidiano locale Kozarski Vjesnik e altre notizie dello stesso tenore mandate in onda su Radio Prijedor sono state sicuramente il pretesto per il suo arresto e per la sua uccisione.
A Prijedor quando si parla della morte di Sikora in molti fanno riferimento ad un ex collega di lavoro di Sikora, nell’ospedale di Prijedor: Milomir Stakić, cittadino di Prijedor condannato dal Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia a 40 anni di detenzione per crimini di guerra e per la pulizia etnica perpetrata dai serbo-bosniaci nell’area di Prijedor. Stakić potrebbe ritornare in libertà dopo aver scontato i due terzi della pena.
Željko Sikora non è invece più tra di noi. Non è nemmeno sepolto a Prijedor, la propria città ma a Slavonska Požega, in Croazia.
Ovviamente, ad oggi, non c’è mai stato nessuno che ha denunciato di aver subito da Sikora qualsiasi dei mostruosi interventi di cui era stato accusato nel 1992 sulle pagine del Kozarski vjesnik o nelle trasmissioni della radio locale dove veniva definito il “Mengele” di Prijedor.
La domanda che ora pongo è semplice: quanti anni devono ancora passare per vedere uno dei politici di Prijedor, uno di quelli che a parole sono sostenitori del ritorno delle minoranze, della convivenza, della costruzione di una comunità che sia accogliente per tutti i cittadini, una persona che potrebbe ad esempio essere l’attuale direttore dell’ospedale di Prijedor oppure l’attuale sindaco Marko Pavić, togliere quest’etichetta di “medico-mosto” dal nome completamente innocente di Željko Sikora, dalla sua famiglia, da quel poco che è ancora rimasto della comunità ceca a Prijedor? Quando? Perché non è ancora stato fatto?