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Elezioni in Azerbaijan: è solo una farsa
A pochi giorni dalle elezioni parlamentari del primo novembre sono quasi nulle le speranze di un cambiamento in Azerbaijan. L’opposizione boicotta in massa la tornata, mentre l’OSCE, a causa delle restrizioni imposte da Baku, rinuncia alla missione di monitoraggio
In un paese in cui dal 1993 ogni tornata elettorale è stata macchiata da frodi e scarsa trasparenza, ci si avvia verso un nuovo appuntamento alle urne. Il primo novembre i cittadini dell’Azerbaijan sono chiamati a esprimere un nuovo parlamento. Ma quanto conteranno, le loro preferenze? C’è il rischio che l’Azerbaijan stia diventando un paese in cui le elezioni sono poco più che una recita. Le risposte non sono difficili da trovare, a questa e alle altre domande che sorgono rispetto alla capacità dell’Azerbaijan di garantire elezioni libere ed eque. Quanto emerso nelle precedenti tornate elettorali, sia parlamentari che presidenziali, sembra suggerire che i risultati elettorali siano determinati in anticipo e 126 seggi attribuiti a priori, con poche eccezioni.
Uno sguardo alle tornate elettorali precedenti
La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha riscontrato in Azerbaijan numerose violazioni del diritto a libere elezioni in occasione delle votazioni per il rinnovo del parlamento del 2005 e del 2010. Fra le irregolarità rilevate dalla corte compaiono l’annullamento arbitrario dei risultati, brogli, voti multipli da parte di una singola persona, e così via. Si tratta di pratiche purtroppo ben note in questo piccolo paese caucasico.
Pochi sono i progressi riscontrati da parte dell’OSCE, che monitora il processo elettorale nel paese dalle elezioni parlamentari tenutesi nel 1995. I rapporti redatti in seguito alle missioni di osservazione non riscontano miglioramenti nonostante le ripetute raccomandazioni e gli appelli a rispettare gli standard prescritti.
Nel rapporto della missione di osservazione elettorale dell’OSCE del 1995 si legge: “Testate di diverso orientamento politico, stampa indipendente e altri media sono stati sottoposti a censura politica che le autorità del paese – nel corso di conversazioni private – hanno persino ammesso di aver esercitato […] I partiti e i candidati dell’opposizione sostengono che le elezioni si sono tenute in un clima di paura e intimidazione”.
In occasione delle successive elezioni parlamentari tenutesi nel 2001, l’OSCE riscontrava brogli, manipolazione dei dati sull’affluenza, il ricorso a schede precompilate, nonché intimidazioni, attacchi e persino l’arresto di alcuni rappresentanti di partito.
Le richieste di riforme elettorali e di maggiore trasparenza formulate nel 2005 infine hanno avuto un impatto molto limitato anche sulla successiva tornata tenutasi nel 2010. “Il processo di registrazione elettorale riscontra deficit significativi, il contesto politico è restrittivo, la copertura mediatica sbilanciata e parziale; vi è un oggettiva diseguaglianza per quanto riguarda la possibilità di fare campagna elettorale, e si riscontra un abuso di risorse amministrative così come numerose interferenze da parte delle autorità locali in favore di candidati espressi dal partito al potere: tutto questo ha creato un terreno di confronto iniquo per i candidati.”
Poche speranze di cambiamento
Le violazioni ricorrenti, sommate all’atmosfera intimidatoria e all’iniqua distribuzione degli spazi elettorali in vista del voto previsto per il primo novembre, lasciano poca speranza rispetto agli esiti e a possibili miglioramenti che potrebbe uscire dalle urne.
I funzionari governativi tuttavia, oggi come in passato, rifiutano le critiche rivolte alla situazione in cui i cittadini azeri sono chiamati al voto. “Le elezioni che si sono tenute finora in Azerbaijan sono sempre state democratiche ed eque”, ha affermato lo scorso 2 ottobre Ali Hasanov, consigliere del presidente. Nonostante le affermazioni di Hasanov, le impressioni espresse dai candidati vanno in un’altra direzione.
Nelle scorse settimane, ben 500 candidati si sono ritirati dalla corsa elettorale su un totale di 1.200 inizialmente registrati dalla Commissione Elettorale Centrale. Fra coloro i quali hanno rinunciato ci sono alcuni candidati indipendenti, i membri del partito di opposizione Musavat e alcuni esponenti del movimento civico N!DA.
Questi ultimi affermano in un comunicato: “Quando ci siamo candidati, il nostro obiettivo non era quello di ottenere un seggio in parlamento, ma di usare i 21 giorni di campagna elettorale per entrare in contatto con i cittadini, rafforzare le nostre relazioni con loro, e far conoscere N!DA. Abbiamo cercato di ascoltare i problemi delle persone e le abbiamo incoraggiate a recarsi alle urne per ottenere un cambio di rotta”.
Defezione in massa dell’opposizione
Dopo aver realizzato che le elezioni non si sarebbero svolte in modo equo, il movimento N!DA ha deciso di ritirare dalla corsa due dei propri candidati, mentre i volontari del movimento stesso si impegneranno a monitorare in maniera indipendente lo svolgimento delle consultazioni.
Anche il partito di opposizione Musavat ha annunciato il 28 ottobre, a soli tre giorni dal voto, la propria decisione di ritirarsi dalla competizione elettorale. Richiamando l’attenzione sulla lunga lista di prigionieri politici nel paese, sulla mancata implementazione delle riforme elettorali auspicate, sulle continue intimidazioni subite dai propri candidati e sugli squilibri in termini di opportunità, il partito ha invitato le autorità a posticipare il confronto elettorale.
Il Consiglio Nazionale delle forze democratiche – che riunisce i gruppi di opposizione, si è unito al coro di voci critiche rispetto al clima preelettorale. In un comunicato diffuso il 29 ottobre, il Consiglio Nazionale sostiene la propria intenzione di boicottare le elezioni. “Il clima elettorale è pessimo, non c’è spazio per fare campagna in vista del voto, e la competizione è sbilanciata […] queste elezioni non possono in alcun modo rappresentare la volontà del popolo”, si legge nel comunicato.
Secondo Mirali Huseynov, esperto in materia elettorale, la defezione di massa dalla corsa elettorale non sorprende in alcun modo, se si considera la mancanza di fiducia nell’attuale sistema politico e lo scetticismo verso la possibilità che le elezioni si svolgano in maniera regolare. “Molti candidati sono consapevoli del fatto che l’attuale quadro politico e normativo limiti le opportunità di promuovere il proprio programma elettorale e di entrare in contatto con l’elettorato. C’è anche una mancanza di fiducia nella possibilità che le consultazioni siano effettivamente libere e regolari. Da queste valutazioni deriva la constatazione da parte dei candidati che per loro non vi è alcuna possibilità concreta di essere eletti, da cui la decisione di non investire altre energie in queste elezioni”.
L’OSCE rinuncia alla missione di monitoraggio
In Azerbaijan non vi è più traccia di esperti locali che siano disposti a rilasciare commenti sulla situazione pre-elettorale. Una delle organizzazioni più note attiva nell’ambito del monitoraggio era il Center for Election Monitoring (CEM), diretto da Anar Mammadli. Mammadli è stato arrestato nel 2013 poco dopo le elezioni presidenziali, in seguito alla pubblicazione da parte del CEM di un rapporto sulle violazioni osservate durante la campagna elettorale e nel giorno del voto. È stato condannato, nel maggio 2014, a cinque anni e mezzo di carcere.
L’OSCE/ODIHR, che ha inviato osservatori a breve e a lungo termine in occasione di tutte le precedenti tornate elettorali, questa volta ha dovuto rinunciare a causa delle restrizioni imposte dalle autorità.
Altre organizzazioni locali attive nel monitoraggio hanno deciso di rimanere in disparte. La Public Association for Democracy Learning sostiene che non ci siano le condizioni per svolgere un monitoraggio obiettivo delle elezioni. “Non ci sono fondi, non c’è il personale e non c’è interesse”, afferma il direttore dell’associazione Mirali Huseynov in una recente intervista rilasciata a Radio Free Europe. Nel corso del suo desolato resoconto, Huseynov sostiene che l’interesse verso la sfida elettorale è molto basso anche da parte dell’opinione pubblica.
Considerato lo scarso interesse e la mancanza di reale competizione, a cui si sommano la sfiducia e una lunga tradizione di manipolazione dei risultati elettorali, non sembra probabile che le elezioni del primo novembre in Azerbaijan possano portare alcun cambiamento. Al massimo, potranno confermare le proiezioni dei risultati: un partito unico che governa sia a livello presidenziale che parlamentare.