Cenzolovka, in memoria di Slavko Ćuruvija
Creata nel 2013 a Belgrado, la Fondazione Slavko Ćuruvija ha l’obiettivo di preservare la memoria del giornalista ucciso nel 1999 e di promuovere la libertà dei media in Serbia. OBC ha intervistato Ilir Gaši, direttore della fondazione
Di quali temi si occupa la Fondazione Slavko Ćuruvija?
Lavoriamo principalmente su tre temi: il sostegno ai media locali, il rafforzamento del giornalismo investigativo e l’offerta educativa rivolta soprattutto a giovani giornalisti. Un anno fa abbiamo inoltre creato il portale di informazione Cenzolovka, con l’intento di riempire il vuoto informativo esistente in Serbia sui temi della libertà di stampa e di informazione. L’iniziativa editoriale ha come pubblico di riferimento non solo i professionisti dell’informazione ma anche e soprattutto il pubblico generalista, perché possa essere informato sul ruolo dei mezzi di informazione nel consolidamento democratico in Serbia.
L’opinione pubblica in Serbia ha perso interesse verso la libertà dei media e non sembra avere alcuna intenzione di tornare ad occuparsene nel breve termine. La Fondazione Ćuruvija interviene su questo problema promuovendo la partecipazione dell’opinione pubblica e dei cittadini nel processo di definizione e implementazione delle politiche che riguardano i media, allo scopo di creare le condizioni per una cittadinanza attiva che svolga a pieno titolo e con competenza il proprio ruolo di controllo del bene pubblico.
Quali le reazioni alla messa online di Cenzolovka?
Per quanto riguarda il pubblico, non ci aspettavamo una prima reazione così entusiasta e una crescita tanto rapida dei lettori. Il successo che abbiamo riscontrato finora in termini di visite al sito è un riscontro positivo, esprime apprezzamento per il lavoro svolto finora e per il modo in cui lo abbiamo realizzato. Ma ci dice anche un’altra cosa: conferma l’assunto che in questo paese, al momento, non ci siano altri luoghi dove poter trovare il tipo di informazione disponibile su Cenzolovka.
Per quanto riguarda i giornalisti che contribuiscono alla produzione dei contenuti per Cenzolovka, in un lasso di tempo molto breve siamo riusciti a raccogliere adesioni e contributi da parte di un numero significativo di giornalisti che, per ragioni diverse, hanno lasciato il loro posto di lavoro presso altre testate o che addirittura avevano deciso di abbandonare il mondo del giornalismo, scoraggiati soprattutto dalla difficoltà di trovare oggi, in questo paese, una testata che consenta di scrivere e pubblicare su argomenti rilevanti.
Parlavi di un generale disinteresse da parte del pubblico rispetto al tema della libertà dei media. Come siete riusciti a suscitare interesse verso il tema?
Per quanto riguarda la scelta degli argomenti da trattare e lo stile con cui approcciarli, partiamo dall’assunto che i nostri lettori possano non avere conoscenza pregressa di questi temi, e che non siano necessariamente interessati o coinvolti. È quindi parte integrante del nostro lavoro, rendere l’argomento di interesse e far capire al pubblico che i temi che trattiamo hanno un impatto diretto su di loro. Proviamo a spiegare la posta in gioco in maniera tale che possa essere compresa da persone che non hanno familiarità con questioni riguardanti la libertà dei media. Potrebbe suonare paternalistico, ma il pubblico ha perso interesse, questo è un fatto e dobbiamo partire da lì. La tutela del bene pubblico dipende in primo luogo dall’esistenza di un pubblico informato e consapevole, e noi lavoriamo in quella direzione.
Un problema diffuso, oltre allo scarso interesse verso la libertà dei media, è la mancanza di fiducia da parte del pubblico nei confronti della categoria dei giornalisti. Qual’è la situazione in Serbia?
La mancanza di fiducia verso i giornalisti è forte anche nel nostro paese, ma credo ci siano buone motivazioni alla base. La prima ragione è la disillusione creatasi rispetto ai primi anni ’90, quando era forte la convinzione che i media indipendenti potessero giocare un ruolo significativo nella trasformazione del paese. Per una serie di ragioni, in parte di natura economica, quelle testate sono progressivamente scese a compromessi con il potere e la qualità del loro lavoro è calata drasticamente nel corso degli ultimi 15 anni. Nel corso di questo declino, lento ma inesorabile, i lettori hanno avuto tutto il tempo per sviluppare un profondo scetticismo rispetto alla possibilità dell’informazione di funzionare secondo logiche di indipendenza e trasparenza.
L’altra ragione per questa sfiducia è la crescente tabloidizzazione dei mezzi di informazione. Mi riferisco ad un approccio sempre più scandalistico e sensazionalistico alla costruzione della notizia. È un processo che investe tutti i paesi, ma in Serbia si stanno esplorando gli abissi dell’immoralità.
La terza ed ultima ragione che citerei riguarda la mancanza di educazione ai media. C’è bisogno di un processo di apprendimento per sapersi approcciare alle notizie e saperle scegliere, e purtroppo questo non viene insegnato a scuola.
Come è cambiata la situazione dei media in Serbia, rispetto al periodo in cui Ćuruvija è stato assassinato?
Rispetto al 1999 oggi si riscontra un minor ricorso a forme di violenza fisica e quindi i giornalisti sono meno in pericolo. Nel frattempo però sono stati messi a punto meccanismi di pressione di pari efficacia rispetto al ricorso alla violenza fisica.
Devo aggiungere che il ricorso alla violenza fisica non è scomparso del tutto. Il giornalista investigativo Ivan Ninić è stato recentemente assalito e picchiato da due uomini all’esterno della propria abitazione. Contro ogni logica di solidarietà professionale, molte testate nel paese non hanno nemmeno dato spazio a questa aggressione ai danni di un professionista, picchiato per aver fatto il proprio lavoro con zelo. Il silenzio da parte di alcune testate su questa vicenda rivela la mancanza di solidarietà all’interno della categoria dei giornalisti.
Tornando alle forme di pressione sui media che hanno in parte sostituito il ricorso alla violenza fisica, la loro pericolosità risiede nel fatto che sono molto difficili da identificare. Mi riferisco in particolare a forme di pressione economica, che funzionano sulla base di un principio molto semplice: qualsiasi media ha bisogno di risorse economiche per poter funzionare. Nella maggior parte dei casi, chi possiede quelle risorse le utilizzerà per esercitare una forma di controllo sui mezzi di informazione, sia a livello nazionale che locale. Questo avviene in maniera diretta sia attraverso l’acquisto di spazi pubblicitari da parte dell’autorità pubblica che tramite varie forme di sostegno statale. Anche l’acquisto di spazi pubblicitari da parte di privati rientra in questo meccanismo, nella misura in cui esistono relazioni molto strette fra privati, politica e agenzie pubblicitarie. Esiste una rete molto fitta di relazioni, invisibile al grande pubblico, che consente l’esercizio del potere e il controllo dei flussi finanziari verso gli organi di informazione. In un mercato limitato come quello del nostro paese, l’esito è inevitabilmente una diminuzione della libertà dei media.
Il giornalismo di qualità in Serbia nasce per lo più nell’ambito del settore non profit, grazie al sostegno di donatori stranieri e, quindi, con forti limitazioni per quanto riguarda la sostenibilità.
La Fondazione Ćuruvija cerca di intervenire anche su questo versante, promuovendo la ricerca di fondi che rendano sostenibile la produzione giornalistica di qualità. Un primo passo in questa direzione è il rafforzamento delle capacità dei media locali di ottenere un compenso per il proprio lavoro senza rinunciare alla qualità delle proprie inchieste. Potrebbe sembrare paradossale ma credo invece che questa strada sia percorribile. In Serbia ci sono giornalisti di ottimo livello, e ne ho la conferma ogni volta che mi trovo fuori dai grandi centri urbani e incontro giornalisti che continuano a fare il proprio lavoro e a portare avanti inchieste pericolose, pur senza aver ricevuto il proprio stipendio negli ultimi sei mesi.
Che cosa ti aspetti dal processo di privatizzazione dei media attualmente in corso nel paese?
È ancora presto per giudicare quali saranno i risultati del processo di privatizzazione attualmente in corso, soprattutto perché le informazioni sui nuovi compratori sono ancora scarse. L’unica cosa che sappiamo con certezza per il momento è che alcuni media smetteranno di esistere perché nessun compratore ha manifestato interesse verso la loro acquisizione.
Alcune previsioni si possono fare sulla base di considerazioni relative alla situazione precedente al lancio dell’attuale fase di privatizzazione: molti dei media di proprietà statale venivano utilizzati come strumenti di propaganda, mentre iniziative editoriali di buon livello, ma che si trovavano già in mano di privati, erano schiacciate dalla concorrenza impari. La situazione precedente implicava senza dubbio una forte discriminazione ai danni dei media privati, ma questo non significa che sia da preferire uno scenario in cui i media sono in totale balia delle forze di mercato. Da questo punto di vista le privatizzazioni potrebbero avere un effetto positivo nella misura in cui interrompono i canali istituzionali di controllo dei media da parte dell’ente pubblico. Questo non significa che il potere politico non cercherà altre strategie per esercitare la propria influenza, ma sarà un po’ più difficile riuscirci. Un piccolo miglioramento da non sottovalutare.
Le leggi non sono sufficienti a risolvere un problema come quello dell’indipendenza dell’informazione, ma alcuni passi in avanti possono essere fatti solo quando c’è una legge a garantirne la legittimità. Il provvedimento sulle privatizzazioni è stato importante in questo senso, anche se non privo di lacune. Si sarebbero dovuti tutelare alcuni media di importanza strategica, e qui mi riferisco al servizio pubblico locale, con strumenti adeguati. Questo non è stato fatto e quindi il servizio pubblico in Serbia d’ora in avanti sarà costituito solo dall’emittente nazionale e da quello della provincia autonoma della Voivodina.
La recente ondata migratoria che ha attraversato i Balcani ha messo alla prova il giornalismo locale. Come si sono comportati i media serbi a questo riguardo?
Pochi si sono dimostrati preparati di fronte alla crisi dei rifugiati lungo la rotta balcanica, la stessa Unione europea ha dimostrato profonde lacune. Per quanto riguardo il comportamento dei media serbi, la reazione iniziale potrebbe essere qualificata come un misto di xenofobia e approccio sensazionalistico, una combinazione che ha conseguenze pessime sulla qualità dell’informazione.
I media hanno cavalcato la paura dell’altro, del diverso, dell’Islam, adottando una retorica già molto diffusa nel resto d’Europa. La Serbia ha sofferto molto nel corso degli anni ’90, a causa delle sanzioni e del nazionalismo montante, e questo ha portato la società a sviluppare un atteggiamento di chiusura rispetto all’esterno: un terreno fertile per una retorica ostile nei confronti dei rifugiati.
Un episodio significativo in questa vicenda riguarda l’allineamento dei media alle posizioni del governo. Ad un certo punto durante il dispiegarsi della crisi, il primo ministro Aleksandar Vučić ha adottato un atteggiamento molto aperto nei confronti dei rifugiati in arrivo, a cui tutti i media del paese si sono allineati. L’episodio è significativo perché dimostra il funzionamento dei media in Serbia: non c’è stato alcun bisogno di esercitare pressioni perché gli organi di informazione adottassero l’approccio del governo. All’improvviso la carta stampata si è affollata di storie ad alta empatia con i rifugiati. La qualità della copertura mediatica è migliorata, ma non come conseguenza di standard etici più alti, bensì come risultato di un allineamento con le posizioni governative.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto