Romania: 10 anni di Save the dogs
Save the dogs è un’associazione italiana che da dieci anni opera in Romania per la tutela di cani, gatti, cavalli e asini. Abbiamo intervistato la presidente Sara Turetta che ci racconta il lavoro svolto e quanto resta da fare
Dieci anni fa nasceva in Italia l’associazione Save the dogs, fondata dall’allora giovane volontaria, per un periodo trasferitasi in Romania, Sara Turetta. Da quel momento l’associazione ha realizzato, tramite la sua filiale rumena, vari progetti in Romania, fra cui un rifugio per cani e gatti modello (Footprints of Joy), campagne di sterilizzazioni e cure per cani, gatti, asini, cavalli. L’operato in Romania si svolge con l’appoggio della sede italiana che raccoglie fondi, cerca adozioni, costruisce partnership. Abbiamo chiesto a Sara Turetta, presidente e anima dell’ong, di raccontare il suo punto di vista.
Dieci anni dalla fondazione: cosa è cambiato in Romania per cani e gatti randagi e per cavalli e asini?
Purtroppo ci sono segnali fortemente negativi e altri che fanno ben sperare. La legge del 2013, che indica di sopprimere i randagi nei canili dopo 14 giorni, ha portato alla morte di un numero enorme di cani, solo 30.000 a Bucarest secondo le dichiarazioni del direttore di ASPA (il servizio che si occupa delle catture ed eutanasie). Il tasso di abbandono resta altissimo, le autorità non investono in campagne di educazione o sensibilizzazione. Gettare un cane in strada – per quanto illegale – continua a essere la prassi per molti proprietari. I segnali positivi vengono dalla crescente sensibilità della popolazione, soprattutto tra i giovani di educazione medio alta residenti in contesti urbani. Qui si assiste a un loro crescente coinvolgimento, anche se siamo lontani dai numeri del volontariato dell’Europa occidentale. L’altro dato positivo è l’istituzione di un’anagrafe canina nazionale: siamo all’inizio ma sembra che le registrazioni abbiano superato le aspettative. Per gli equini l’unico dato è quello del calo di presenza degli asini nelle aree rurali: le campagne si svuotano, il lavoro si automatizza, gli asini sono sempre meno. Restano tanti – purtroppo in pessime condizioni – i cavalli, detenuti in particolare dalle comunità rom. Qui le difficoltà di intervento e relazione sono grandi; nonostante i nostri sforzi riusciamo a cambiare ben poco.
Il tasso di abbandono
resta altissimo,
le autorità non investono
in campagne di educazione
o sensibilizzazione
Sara Turetta
Com’è oggi la situazione nei canili pubblici e/o convenzionati?
Da brivido, tranne poche e virtuose eccezioni, tra cui le città Brasov, Sibiu, Iasi. Malattie infettive fuori controllo, condizioni igieniche pessime, sovraffollamento, cannibalismo. I metodi di cattura restano brutali: lo testimoniano i tanti video diffusi da cittadini che cercano di opporsi al prelievo di animali perlopiù inoffensivi, in particolare nella capitale. Gli operatori non sono formati né istruiti. Lo staff di Save the Dogs è addestrato da istruttori inglesi a maneggiare i cani senza causare inutile stress: i dipendenti pubblici sono mandati in strada con un cappio e viene detto loro di riportare il maggior numero possibile di cani. Nella migliore delle ipotesi gli animali arrivano traumatizzati, quando non feriti o moribondi, al canile pubblico.
Come valutano le ong presenti in Romania l’operato delle amministrazioni centrale e locali?
Sono fortemente critiche e di solito hanno ragione: incompetenza, disorganizzazione, corruzione fanno da padrone. D’altro canto, dove ci sono aperture e segni di disponibilità, spesso le associazioni sbagliano approccio e scelgono il conflitto. Lo dico con amarezza: in tante località le cose non funzionano anche perché chi difende i diritti dei randagi non sa relazionarsi con gli amministratori e assumere atteggiamenti equilibrati. Al contrario, le città dove si vedono grandi passi avanti sono quelle dove le partnership ONG-autorità locali funzionano, per merito di entrambe le parti.
Ci fa una breve sintesi del vostro lavoro in dieci anni?
Siamo partiti da zero, con pochi fondi, poche risorse umane. Oggi siamo diventati l’associazione di punta per la protezione degli animali in Romania, con oltre 50 operatori assunti in loco, tre centri per cani, gatti, equini abbandonati e maltrattati. Da un approccio orientato agli animali, ci stiamo progressivamente spostando ad uno di "community involvement", l’unico che sul lungo periodo farà la differenza. Il nostro gioiello è Footprints of Joy , rifugio di standard europeo che non ha nulla da invidiare ai migliori d’Europa. Anche se siamo in uno dei paesi più poveri del continente, non possiamo rinunciare a un lavoro di qualità, che sia da esempio per amministratori e associazioni.
Diamo qualche numero sul 2015?
2.800 sterilizzazioni gratuite di cani e gatti (32.800 dal 2005 a oggi), 500 animali adottati (5.800 negli ultimi 10 anni), 2.015 iscrizioni in anagrafe canina di animali di proprietà, di cui 900 in aree rurali non raggiunte da alcun servizio veterinario.
Che ruolo svolge la rete di partnership da voi costruita?
Le tante collaborazioni in Europa, con associazioni britanniche, scandinave, svizzere, italiane, sono fondamentali per rendere più efficiente il nostro intervento e farlo crescere. Lo spirito europeo dovrebbe essere questo: creare rapporti virtuosi tra paesi con diversi gradi di sviluppo, accelerando il cambiamento delle realtà che arrancano. I fondi che usiamo ogni anno – circa 800.000 euro – vengano da donatori privati dell’Europa occidentale che credono nei nostri progetti e vogliono vedere gli animali della Romania trattati come gli animali del proprio paese.
Last but not least, E come Europa: che succede sul fronte europeo per il benessere di cani e gatti e animali d’affezione, e sul fronte randagismo?
Al momento è ancora tutto fermo. Il 12 novembre la Direzione Generale sanità e consumatori della Commissione europea ha presentato i risultati dello studio condotto nel 2015 sulle pratiche commerciali e sull’allevamento di cani e gatti. Si sperava che dopo lo studio la Commissione decidesse di legiferare su una materia da sempre considerata estranea alle sue competenze, ma i segnali che arrivano non fanno ben sperare. Nonostante i cittadini europei da anni manifestino di avere a cuore il benessere animale (nelle loro case ci sono 66 milioni di gatti e 61 milioni di cani), la Commissione sembra non percepire l’importanza di un quadro legislativo che regolamenti la materia.