La Crimea al buio
I piloni dell’alta tensione che portano la corrente dall’Ucraina alla Crimea sono stati fatti saltare. Gli attivisti che da mesi bloccano le merci in transito verso la penisola dicono che non è opera loro e il governo resta a guardare. Intanto la Russia procede con l’integrazione delle reti
Lo chiamano embargo elettrico, ma è più simile a un sabotaggio. I tralicci dell’alta tensione che alimentano la rete della Crimea con la corrente ucraina sono stati abbattuti a più riprese a colpi di bazooka tra il 20 e il 22 novembre. La penisola sul Mar Nero, occupata e annessa dalla Russia, è rimasta al buio e in parte lo è ancora. Dove non è stata ripristinata la linea e non sono arrivati i generatori dalla Russia, la corrente manca per molte ore al giorno.
Nessuno ha rivendicato l’azione. Gli attivisti e i nazionalisti che dal 20 settembre picchettano le vie d’accesso alla Crimea fermando ogni tipo di merce dicono che loro non c’entrano niente. E le autorità affermano di non aver ancora trovato i responsabili. Intanto, però, gli stessi nazionalisti hanno impedito alle squadre di tecnici di raggiungere la zona per ripristinare la linea, mentre sul mozzicone di uno dei tralicci fatti saltare è comparsa una bandiera tatara, la comunità turcofona fortemente critica nei confronti dell’annessione russa.
L’episodio riporta all’attenzione mondiale la questione crimeana. Uno strappo al diritto internazionale, messo da parte da un mondo distratto dalle minacce t[]istiche e dai venti di guerra in Siria, ma tutt’altro che risolto. E mostra con prepotenza la precaria posizione della Crimea, ormai russa a tutti gli effetti, ma ancora dipendente in tutto dall’Ucraina.
Dipendenza stretta
Da un punto di vista infrastrutturale la Crimea è sempre stata ucraina, sin dai tempi dell’Urss. Il suoi organi vitali dipendono in tutto e per tutto dal sistema centrale che è ancora a Kiev. Vasi sanguigni e capillari che portano elettricità, gas, acqua e trasporti fino in ogni casa, in ogni appartamento. Del resto è una penisola ed è attaccata all’Ucraina, non alla Russia.
La produzione elettrica ucraina soddisfa il 90% del fabbisogno energetico della Crimea, con un flusso proveniente in gran parte dalle centrali di Zaporižžia e Kakhovka. Tirato al massimo, il sistema produttivo della penisola potrebbe al massimo arrivare al 20%.
La Ukrenergo, la compagnia pubblica dell’energia elettrica, così come il governo, ha sempre resistito alla tentazione e alle pressioni degli ultranazionalisti di tagliare le forniture di elettricità alla Crimea. Un gesto che potrebbe in un certo senso equivalere ad abbandonare la penisola al suo destino e, in ultima analisi, un riconoscimento dell’annessione russa. Ma l’atteggiamento ambiguo delle autorità nei confronti del blocco alle merci e lo scarso impegno mostrato in queste ore per riparare i danni alla rete elettrica sembrano andare in questo senso. E lasciano pensare che, tutto sommato, quanto sta accadendo faccia comodo al governo.
Nelle scorse settimane le forze di polizia hanno forzato il blocco scontrandosi con dimostranti in mimetica e a volto coperto, prima che il governo dichiarasse l’embargo totale sulle merci il 23 novembre, avallando la situazione di fatto. E la sera del sabotaggio in centinaia si sono radunati sotto alla sede del ministero dell’Interno a Kiev sventolando bandiere tatare e di Pravy Sektorper chiedere un embargo elettrico totale.
“Ogni governo deve avere il monopolio sull’esercizio della forza”, ha detto Pavel Kazarin, giornalista per l’emittente locale Ictv. “Janukovič non ha perso al primo lancio di molotov, ma quando era chiaro che non avrebbe più potuto impedire che la gente lanciasse molotov. Ora al confine con la Crimea c’è un conflitto aperto per decidere chi ha il potere, se gli attivisti o il governo”.
Il ponte sullo stretto
Se l’embargo e l’interruzione dell’elettricità non favoriranno in ritorno della Crimea all’Ucraina – e, anzi, finora sembrano rafforzare i sentimenti antiucraini in gran parte della popolazione – di certo hanno l’effetto di rendere più costosa per Mosca l’annessione. Ma anche di accelerarne l’integrazione.
Le autorità russe hanno dichiarato lo stato d’emergenza in Crimea. Il ministero dell’Energia di Mosca ha inviato mille generatori diesel e alcune turbine a gas, grazie ai quali la capacità produttiva dovrebbe raggiungere i 600 megawatt, contro un fabbisogno superiore ai mille. Ma si tratta di palliativi. L’indipendenza elettrica della Crimea passa per il progetto di un cavo sottomarino da 800 megawatt che la Russia intende posare entro il prossimo anno. Costo, 800 milioni di dollari. Per di più secondo alcune fonti ucraine non sarà così semplice la connessione con la rete esistente e difficilmente il cavo potrà da subito soddisfare il fabbisogno energetico della regione.
Non è però solo la rete elettrica a preoccupare. Anche la fornitura d’acqua dipende in gran misura dal Canale della Crimea del nord, una condotta che ne alimenta il sistema idrico. La Russia ha accusato l’Ucraina lo scorso anno di aver ridotto drasticamente il volume di acqua ed ha per questo avviato un vasto progetto che metta in rete i pozzi artesiani della penisola.
Ma l’ostacolo più grande resta la geografia. La Crimea è separata dalla (nuova) madrepatria Russia dallo stretto di Kerč. Un braccio di mare di 4 chilometri nel suo punto meno ampio. Ogni giorno decine di traghetti fanno la spola tra la cittadina che dà il nome allo stretto, sulla penisola, e il molo di Port Kavkaz sul lato russo. Trasportano auto, camion e treni. È una via lenta e costosa rispetto a quella terrestre che attraversa i territori separatisti della cosiddetta repubblica di Donetsk e il resto dell’Ucraina.
Un ponte sullo stretto era in progetto da tanto, ma l’elevato costo di realizzazione lo aveva fatto rimanere sulla carta. Le cose però sono cambiate. Lo scorso gennaio la SGM Group del miliardario Arkady Rotenberg, amico intimo di Putin, si è aggiudicata il contratto da 3 miliardi di dollari per la sua costruzione. Il progetto è stato approvato a giugno e i lavori sono cominciati già la scorsa estate con la realizzazione di un ponte di servizio. Il ponte vero e proprio sarà un sistema di 19 chilometri che partirà dalla penisola di Taman, poggerà su una diga già esistente e un isolotto sabbioso di cinque chilometri, e approderà alla periferia sud di Kerč. Avrà una campata di 35 metri per consentire il passaggio alle navi e ospiterà un’autostrada a quattro corsie e due linee ferroviarie. Dovrebbe essere aperto entro il 2019.
Quando sarà terminato, la Crimea taglierà ogni residuo legame con l’Ucraina. Forse, per sempre.