La solidarietà dei giornalisti in Kosovo: il caso RTK

Una campagna pubblica lanciata dai giornalisti di RTK contro i tentativi di censura ha portato risultati tangibili. OBC ha intervistato Shkumbin Ahmetxhekaj, redattore di RTK che ha preso parte alle manifestazioni 

13/01/2016, Marzia Bona -

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Nell’aprile 2015, circa sessanta tra giornalisti e redattori dell’emittente pubblica Radio Televisione Kosovo (Radio Televizioni i Kosovës, RTK) hanno denunciato pubblicamente i tentativi di censura e la pessima amministrazione del direttore generale dell’emittente, Mentor Shala. Le accuse sono state sollevate in seguito al provvedimento con cui Shala licenziava due rappresentanti del Sindacato indipendente di RTK (Fadil Hoxha e Arsim Halili). La campagna lanciata da 12 redattori ha raccolto il supporto di molti giornalisti, avanzando la richiesta che l’emittente pubblica nazionale tornasse ad essere effettivamente pubblica e smettesse di seguire un’agenda politica. Halili e Hoxha, dichiarava la direttrice di Reporter Senza Frontiere Luice Morillon, “hanno richiamato l’attenzione sulla censura e su altre pratiche che meritano approfondimenti più accurati”.

In occasione della conferenza ECPMF tenutasi a Lipsia, OBC ha intervistato Shkumbin Ahmetxhekaj, redattore di RTK che ha preso parte alle manifestazioni per denunciare la cattiva condotta nella redazione delle trasmissioni pubbliche del Kosovo.

Nell’aprile del 2015 ha partecipato alle proteste pubbliche per ottenere la sostituzione dei due caporedattori di RTK. Quali erano le ragioni della protesta?

I redattori e i giornalisti di RTK hanno cercato a lungo di migliorare la situazione, lamentando il mancato rispetto degli standard professionali all’interno della redazione. Le frequenti interferenze da parte di politici e gruppi d’interesse ci impedivano di svolgere il nostro lavoro in maniera professionale. L’elemento che ci ha portati a decidere di denunciare pubblicamente quanto stava accadendo è stata la pessima condotta di due caporedattori di RTK, che interferendo continuamente con il nostro lavoro redazionale si spingevano ben oltre i limiti delle politiche editoriali censurando addirittura alcuni contenuti. Siamo arrivati al punto di chiedere alla direzione di licenziarli perché ci impedivano di esercitare la nostra professione. La situazione si è ulteriormente deteriorata, spingendoci a riunirci per prendere in considerazione altre possibili soluzioni.

In che modo veniva ostacolato il vostro lavoro?

Come dicevo, alcuni articoli venivano censurati mentre ne venivano promossi atri che potrebbero essere etichettati come propaganda. Un esempio di questo tipo di condotta è la richiesta che ci è stata presentata di mandare in onda un sondaggio alla vigilia delle elezioni del 2014. Una pratica assolutamente proibita secondo il codice di condotta professionale di RTK. Poi alla fine di marzo 2015 il direttore ha deciso di licenziare due membri del sindacato giornalisti di RTK, Arsim Halili e Fadil Hoxha, per aver danneggiato la reputazione del network. Accuse contro i due rappresentanti del sindacato giornalisti sono state diffuse senza presentare il loro punto di vista. Le nostre richieste di tenere conto delle loro considerazioni sono state ignorate dai due caporedattori, che hanno così hanno divulgato un servizio di quattro minuti sulle accuse di cattiva condotta ai delegati del sindacato senza il punto di vista di questi ultimi. La mia impressione è che questa sia una tipica forma di censura. Ai soggetti della vicenda non è stato permesso di dare spiegazioni riguardo all’accaduto: così il giornalismo scade nella propaganda.

Noi giornalisti di RTK abbiamo deciso di evitare di diventare complici della propaganda. Per prima cosa abbiamo contattato l’amministrazione di RTK. Sapevamo che i due caporedattori erano stati incaricati dall’amministrazione e che questa li avrebbe sostenuti. Non avevamo quindi molte aspettative sui risultati di questa prima mossa, e infatti la risposta alle nostre lamentele ha confermato le previsioni: l’amministrazione ha ignorato le nostre osservazioni, dichiarando che ciò che noi avevamo chiamato “censura” altro non erano che legittime scelte editoriali, rifiutando quindi di sostituire i capo redattori.

A quel punto abbiamo deciso di divulgare la vicenda organizzando una protesta civile. Grazie alla visibilità avuta in seguito, l’amministrazione ha accettato di riconsiderare la sua posizione e alla fine ha riconosciuto la necessità di sostituire i due caporedattori.

Avete deciso di esporvi tutti assieme per fare fronte a questo problema. C’è stata, quindi, solidarietà fra i giornalisti in questo caso?

La volontà di unire le forze tra i giornalisti di RTK è sorta dalla cattiva condotta dei due caporedattori. Si sono comportati in maniera ingiustificabile per così tanto tempo che ci siamo sentiti in qualche modo obbligati a raggiungere un consenso tra di noi. Inizialmente sedici giornalisti hanno firmato la lettera che spiegava le ragioni della nostra protesta pubblica. Poi altri colleghi si sono uniti fino ad avere sessanta dipendenti di RTK che protestavano fuori dalla sede dell’emittente. È stato un supporto degno di nota considerando che RTK ha circa ottocento dipendenti: uno su dieci si è unito alla causa. La nostra istanza è stata sostenuta perché i problemi sollevati erano concreti e provati. La richiesta che abbiamo portato avanti era legittima: chiedevamo dei caporedattori in grado di garantire standard professionali.

Quale è stato il ruolo delle organizzazioni internazionali e delle ONG in questo episodio? Come hanno reagito alla vostra iniziativa?

Hanno svolto un ruolo attivo che ci ha incoraggiato a proseguire con la nostra campagna. Reporter Senza Frontiere, l’OSCE e la Delegazione UE in Kosovo hanno dimostrato comprensione e sostegno verso le nostre richieste, e la loro reazione ha avuto un forte impatto. Mi riferisco in particolare all’intervento diretto dell’UE tramite una lettera inviata dal commissario Hahn, e al costante supporto ricevuto da Reporter Senza Frontiere.

Cosa la preoccupa di più, al momento, riguardo il funzionamento di RTK?

In questo momento, il meccanismo di finanziamento di RTK è motivo di preoccupazione per molti. Nel 2010 la Corte Costituzionale del Kosovo ha sancito che il finanziamento delle reti nazionali proveniente dalle tasse imposte ai cittadini viola la Costituzione. Da allora, RTK è finanziata dal governo che stanzia per quest’emittente lo 0,7% del budget statale. Questa percentuale ammonta a circa 10 milioni di euro, una cifra che non è sufficiente a garantire il corretto funzionamento di RTK. Inoltre un recente provvedimento di legge ha stabilito che RTK avrebbe dovuto trovare un’altra fonte di finanziamento, ma la data di scadenza è passata e non sono state individuate soluzioni fattibili. Al momento, non è sicuro che il governo garantisca i fondi necessari a RTK per il 2016. Il motivo di maggior preoccupazione è che il governo finanzia direttamente la rete pubblica e questo mette inevitabilmente l’indipendenza di RTK al palo.

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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