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Grecia, bambini in viaggio
Molti dei migranti che rischiano, e talvolta perdono la vita per approdare sulle spiagge greche sono bambini non accompagnati, rimasti soli o mandati avanti dalle famiglie nella speranza di donare loro un futuro migliore
Gli ultimi ad affogare, lo scorso 15 gennaio, sono stati tre bambini al largo di Agathonisi, isoletta fra Grecia e Turchia. Due maschi e una femmina, ripescati in mare morti e portati a terra insieme ad altri 24 sopravvissuti dalla nave di salvataggio “Topaz Responder”, messa a disposizione della Ong Migrant Offshore Aid Station da parte del giovane milionario americano Christopher Catracombe.
All’alba dello stesso giorno, su una spiaggia di Pharmakonisi, isoletta vicina, giaceva esanime un neonato, trovato dall’Associazione Medici Senza Frontiere nel luogo dove erano sbarcati 40 migranti.
Per tanti che muoiono, molti minori si salvano in questo esodo senza precedenti verso l’Europa. Secondo i dati più recenti a nostra disposizione, quelli dell’Organizzazione internazionale sulle Migrazioni, nei primi undici mesi del 2015 solo in Grecia sono arrivati 800mila migranti, fra cui 1800 minorenni. Su cento, 95 hanno più di dodici anni, e provengono dalla Siria, dall’Egitto e dall’Afghanistan. Eppure 1800 è un numero stranamente basso, considerando che nel 2008 ben 8298 bambini erano stati accolti e identificati dalla polizia ellenica.
Il fatto che negli ultimi anni ha ridotto progressivamente il totale dei minorenni giunti in Grecia è stato la dichiarazione, da parte dei bambini e ragazzini, di avere più anni di quelli che hanno e di essere giunti in Europa accompagnati da un adulto che in realtà non conoscono, ma che si trovava sul barcone insieme a loro. Quindi vengono iscritti nella categoria “accompagnati” o “maggiorenni”.
E’ il caso dei più grandicelli: le Ong spiegano che i ragazzi giunti quest’anno in Grecia hanno perlopiù perso le loro famiglie sotto le bombe e sono partiti da soli, oppure sono stati i loro stessi genitori a fare loro affrontare il lungo viaggio della speranza “cacciandoli” di casa per salvarli. Spesso arrivando tutti insieme fino alla Turchia, ma poi, per mancanza di soldi rimasti, sono i giovanissimi ad essere mandati avanti, verso l’Europa, unici portabandiera degli auguri e preghiere familiari. Ci sono sono anche le storie di molti bambini che hanno intrapreso l’esodo con mamma e papà, ma li hanno visti scomparire fra i flutti sotto i propri occhi.
Mamma!
Samir, 8 anni, è sopravvissuto lo scorso settembre al naufragio di un gommone quando già l’isolotto di Pharmakonisi era in vista: 34 affogati, fra cui i suoi genitori. Da allora Samir è stato trasportato temporaneamente nella più grande isola di Kos, nel Centro di accoglienza della Ong Praksis, e poi in quello governativo Petralona, vicino ad Atene. Da allora – e sono passati quattro mesi, Samir continua a rincorrere tutte le cuoche del Centro con un unico, straziante, urlo: “Mamma!”
Sono bambini traumatizzati, sia dalle vicende vissute in patria durante la guerra sia da quelle vissute nel corso del viaggio. Lo scorso autunno, al suono della parata militare della festa nazionale del 28 ottobre, alcuni bambini non accompagnati provenienti dalla Siria, ospitati da un Centro di Accoglienza della Ong Arsis a Oreocastro, vicino a Salonicco nel nord della Grecia, sono corsi a nascondersi sotto un tavolo nel momento in cui in cielo sfrecciavano aerei militari. “E’ stato scioccante anche per noi”, racconta Iris Pandiri, volontaria dell’Ong. “Per questi bambini i caccia militari della parata equivalevano automaticamente a un imminente bombardamento”.
Fra centinaia e centinaia di piccoli richiedenti asilo, ognuno porta negli occhi la propria storia. “Ci sono bambini”, continua Iris Pandiri, “che d’estate non entrano in acqua a fare il bagno, e neppure si avvicinano alla spiaggia, perché hanno visto i loro genitori e i loro fratelli scomparire fra le onde. Alcuni arrivano da noi senza sapere neppure se i loro cari sono ancora vivi, se sono prigionieri di guerra e se mai li rivedranno”.
Ma torniamo al Centro Praksis di Kos, nell’Egeo di fronte alla Turchia. Solo dall’inizio dell’anno, quasi 50mila migranti sono arrivati nell’isola, dopo avere affrontati i quattro pericolosissimi chilometri del braccio di mare fra Asia ed Europa. I più deboli, ma soprattutto i bambini non accompagnati, non continuano il viaggio verso Atene ma vengono accompagnati al centro Praksis.
La storia di Nimar
Come molti piccoli prima di lui, Nimar ha viaggiato dall’Afghanistan fino alla Grecia senza nessun altro membro della propria famiglia, insieme a una carovana di connazionali che gli ha dato una sorta di protezione. Dopo un lungo e faticoso viaggio di tre mesi attraverso l’Iran e la Turchia, e dopo il pericoloso attraversamento del braccio di mare su un gommone di fortuna, è riuscito ad arrivare vivo a Kos. E’ stato anche qui relativamente fortunato, pur nel suo personale dramma, perché fino a poco tempo fa chi arrivava a Kos, compresi i bambini fra gli 11 e i 17 anni, era stivato in celle e androni della polizia in condizioni igieniche precarie.
Ora l’Ong ha aperto una propria sezione riservata ai minori anche a Kos, oltre a quella già funzionante ad Atene. “Il solo membro della mia famiglia rimasto vivo è mio fratello, che ha 17 anni e vive legalmente in uno Stato europeo”, ha raccontato loro Nimar. “Per questo sto tentando di raggiungerlo, dopo la morte dei miei genitori”. In questo suo sogno, i volontari di Praksis potrebbero aiutarlo a “schedare” e ufficializzare la propria presenza in Grecia e poi a riunirsi legalmente con suo fratello.
“Prima che aprissimo noi qui a Kos, i ragazzini che avevano paura di essere bloccati in Grecia nascondevano la loro età o cercavano di registrarsi insieme a maggiorenni a loro prima sconosciuti, fingendo di essere parenti. In questo modo, continuando il viaggio insieme a queste persone, rimanevano esposti a eventi ad alto rischio come la tratta di baby prostituti, o di lavoratori non pagati o, peggio ancora, finire nel traffico di organi”.
In una settimana, nel Centro sono già arrivati 25 minorenni dalla Siria, dall’Afghanistan e dal Pakistan. Il Centro può ospitarne in modo adeguato solo 20. Tanti. Ma ora Nimar sta giocando a calcio insieme ad altri ragazzini. “Ho trovato amici qui, e molte brave persone, non ho più paura”.