Svolta nera in Croazia

Le impressioni di una virata a destra della Croazia vengono rafforzate con l’insediamento del nuovo esecutivo. Il paese rischia di rimanere prigioniero del passato e di una narrazione nazionale manichea. Un commento

04/02/2016, Francesca Rolandi - Zagabria

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Foto: Jannis Andrija Schnitzer

Se di una svolta a destra della Croazia si parla da diverso tempo, la formazione del primo governo nato dalla coalizione post-elettorale tra il partito di centro-destra HDZ e la lista Most ("Ponte") non fa che rafforzare i timori che anche Zagabria stia virando a destra, seguendo il modello di altri paesi dell’Europa orientale. Tuttavia, ad infiammare gli animi della società croata, più che temi di scottante attualità come quello dei migranti, pare essere ancora il rapporto con la memoria storica della Seconda guerra mondiale e dell’ultima guerra degli anni ’90.

Negli anni precedenti all’entrata del paese nell’Unione europea, avvenuta nel luglio 2013, si era assistito a un’atmosfera politica sempre più distante dal nazionalismo aggressivo del decennio precedente – con il Partito socialdemocratico al potere, ma anche con l’HDZ sotto la reggenza di Ivo Sanader e Jadranka Kosor –, a riforme importanti, come quella sulle unioni civili, a migliori relazioni di vicinato con la Serbia e alla fioritura della società civile con numerosi movimenti impegnati su temi come i beni comuni, la difesa del territorio e la lotta contro la speculazione edilizia.

Una volta entrata a pieno titolo nell’Unione europea, secondo molti la scena politica croata ha sentito venire meno la pressione esterna che la aveva convinta ad essere particolarmente generosa in fatto di diritti. Un primo segnale di riflusso può forse essere considerato il referendum indetto nel dicembre 2013 dall’associazione “Nel nome della famiglia” di Željka Markić per l’introduzione nella costituzione della definizione di matrimonio come unione tra uomo e donna. Pur con un’affluenza estremamente bassa, l’iniziativa referendaria dimostrò una propria capacità di mobilitazione  e raccolse una netta maggioranza di favorevoli.

Inoltre Tomislav Karamarko, ex ministro degli Interni e segretario dell’HDZ dal 2012, ha contribuito alla creazione di un’atmosfera politica che secondo molti ricorderebbe sempre più gli anni ’90. Oltre al continuo riferimento a uno scontro ideologico vecchio di settant’anni, con gli spettri di ustaša e comunisti che hanno fatto ritorno in grande stile sulla scena politica, l’elemento che più ha contraddistinto il mandato di Karamarko è stato il supporto più o meno aperto ai veterani che per diversi mesi hanno protestato accampati a Zagabria davanti al ministero delle Politiche Sociali, chiedendo maggiori diritti sociali, ma anche esercitando pressioni per un cambio di governo, al grido di alcuni slogan che additavano il nemico in una supposta congiura jugoslavo-serbo-comunista. Intanto erano da tempo iniziate le mobilitazioni contro l’utilizzo dell’alfabeto cirillico, che si preparavano a cambiare la legge costituzionale sulla garanzia del bilinguismo alle minoranze.

Ritorno al passato

Nei mesi successivi il discorso pubblico ha sempre più apertamente flirtato con il militarismo, il pensiero unico sulla “guerra patriottica” degli anni ’90 e la memoria dello Stato indipendente croato (NDH). Sebbene il governo socialdemocratico di Zoran Milanović avesse tolto il patrocinio alla commemorazione di Bleiburg, sito del massacro di migliaia di collaborazionisti in fuga da parte delle truppe di Tito, giustificandolo come una risposta all’aperta glorificazione dello stato ustaša che vi veniva fatta, una nuova legittimità è arrivata dalla presidente Kolinda Grabar Kitarović, che lo ha implicitamente messo sullo stesso piano del sito di Jasenovac, sede del più grande campo di concentramento durante il governo collaborazionista.

Da alcuni anni Bleiburg si è distinto come luogo di aggregazione di una compagine mista, che riunisce settori clericali, sigle di estrema destra che guardano con nostalgia alla creatura di Pavelić e membri del centro-destra di governo. La presenza di simboli ricollegabili all’NDH in manifestazioni ufficiali, come quella tenutasi a Knin il 5 agosto, nel ventennale della sua riconquista da parte dell’esercito croato, senza che vi fosse alcuna reazione, ha fatto sì che questa parte di memoria sia ormai accettata nel discorso mainstream del centro-destra ma alle volte anche in quello del centro-sinistra, che ha rincorso pericolosamente il partito avversario sui temi dell’identità nazionale.

Emblema di questo approccio è il sindaco socialdemocratico di Spalato Ivo Baldasar che ha difeso a spada tratta la sua decisione di presenziare all’inaugurazione di un monumento a una divisione intitolata al colonnello Rafael Boban, stretto collaboratore di Ante Pavelić. Questo sdoganamento della memoria ustaša è andato di pari passo con la demonizzazione che gli stessi settori operano dell’eredità jugoslava, del socialismo e dell’antifascismo.

Caccia alle streghe

D’altra parte, oltre alla simbologia ustaša, uno degli effetti più evidenti di questa svolta nera in Croazia è il clima da caccia alle streghe scatenata da molti settori dell’estrema destra contro chiunque metta in discussione le supposte colonne portanti dell’odierna società croata, prima fra tutti la memoria della “guerra patriottica”.

La parata militare che il 4 agosto 2015 ha commemorato l’Operazione Tempesta (Oluja), di cui ricorreva il ventennale, si è posta come caposaldo di una narrazione granitica dell’operazione di riconquista dei territori occupati dai separatisti serbi, dalla quale erano cancellate però le vittime civili. L’unico tentativo pubblico di costruire una narrazione diversa, portato avanti da Oliver Frljić al teatro nazionale di Fiume, è andato incontro a un’agguerrita protesta da parte di gruppuscoli di estrema destra. Una deriva a cui facevano da corollario le dichiarazioni di Karamarko, secondo il quale con la venuta del suo governo i cittadini avrebbero potuto esprimere le proprie opinioni ma tra le proprie quattro mura, mentre in pubblico avrebbero dovuto mostrare rispetto per i miti fondativi del paese, e i giornalisti avrebbero dovuto appoggiare l’esecutivo.

Se la campagna elettorale ha aumentato le tensioni, i tardivi risultati della nuova alleanza di governo hanno riportato in primo piano la questione identitaria con due ministri particolarmente controversi. Se Mijo Crnoja, al ministero per i Difensori (veterani), già proponente di un “registro dei traditori”, ha dato le dimissioni a una settimana dalla sua nomina per alcuni torbidi episodi del suo passato, rimane ancora in sella, nonostante le proteste, il ministro della Cultura Zlatko Hasanbegović, uno storico noto per le sue dichiarazioni revisioniste e la sua militanza nell’estrema destra.

Hasanbegović, che fa parte delle comunità bosgnacca, si è distinto per numerose iniziative per l’accertamento dei fatti riguardanti le vittime del t[]e comunista ed è vicepresidente del Plotone d’onore di Bleibrug.  Entrato l’anno scorso nell’HDZ, ha alle spalle un percorso politico particolarmente estremo, iniziato in gioventù come membro dell’HOP (Movimento di liberazione croato), organizzazione fondata dai seguaci del poglavnik Ante Pavelić , dittatore dell’NDH, dopo la Seconda guerra mondiale, per poi passare al Partito croato dei diritti, di estrema destra.

Oltre alla sua attività Hasanbegović è famoso per le sue dichiarazioni indirizzate contro i valori dell’antifascismo che sono pur contenuti nella costituzione croata. La più nota delle quali riguarda la “guerra patriottica” degli anni ’90, definita “l’unica guerra che la Croazia abbia mai vinto”. Il che implicherebbe sia che da una parte i croati che combatterono come partigiani furono traditori perché si battevano per la Jugoslavia e non per una Croazia libera, ma anche che i veri croati sarebbero stati rappresentati dagli ustaša, usciti sconfitti dalla guerra.

Il nuovo ministro della Cultura, in una delle prime interviste rilasciata al sarajevese Dnevni Avaz, ha paventato la creazione di un nuovo modello nazionale per creare l’unità nel paese ed evitare conflitti ideologici, un pensiero unico che dovrebbe essere aconflittuale ma anche acritico. Sebbene vi siano effettivamente state alcune proteste da parte del mondo culturale e della società civile, non si sono viste le mobilitazioni che ci si sarebbe potuti attendere per la nomina di un profilo così controverso.

Sciovinismo

Tuttavia, mentre la Croazia seguiva con apprensione i risultati elettorali, un altro episodio, seguito da una catena di reazioni, ha dato un saggio della temperatura politica del momento. Marko Jurić, giornalista non nuovo a posizione scioviniste, nella sua trasmissione “Markov trg” sulla televisione locale Z1 ha invitato i cittadini, e in particolare le madri, a fare attenzione agli “sgozzatori cetnici” che sarebbero potuti uscire dalla chiesta ortodossa nella Piazza dei fiori di Zagabria. L’affermazione, che ha scioccato il pubblico, è incappata nella pronta reazione del Consiglio per i media elettronici che ha comminato a Z1, rifiutatasi di prendere le distanze da Jurić, una sospensione di tre giorni.

La condanna ha però generato una controreazione che si è poi concretizzata in una marcia in favore della “libertà di opinione”, partecipata da un gruppo composito, che includeva veterani, membri di gruppi di destra ed estrema destra, tra cui personaggi come Velimir Bujanec, dalle aperte simpatie filoustaša, e persino il vicepresidente del parlamento Ivan Tepeš, che protestava contro l’applicazione di una legge dello stato. L’assembramento, dopo essere sfilato per Savska ulica, ha raggiunto la sede del Consiglio per i media elettronici, dove, tra canzoni ustaša e cori “Per la patria pronti”, ha minacciato apertamente la direttrice Mirjana Rakić chiedendone le dimissioni e facendole pervenire un copricapo cetnico.

Di un altro attacco mediatico è stata vittima l’attrice Nina Violić che, in seguito a un post su Facebook in cui condannava il nazionalismo, il fascismo e il pensiero unico, ha ricevuto minacce, tra le altre, di morte e di stupro.

Al di là della paccottiglia filo-ustaša e allo sdoganamento della memoria dell’NDH, che forse rappresentano solo la superficie, il frutto avvelenato di questa atmosfera pare essere stata la crescita di settori – non certo alieni alla violenza – pronti al linciaggio di chiunque rivendichi una diversità, di opinione, genere, orientamento sessuale e politico rispetto alla narrazione nazionalizzante e patriottica dominante. Una aggressività che spesso si combina con offese sessiste.

Intanto, della onnipresenza di partigiani ed ustaša nel dibattito pubblico qualcuno ha sicuramente tratto vantaggio. Si tratta di Ivan Goran Vitez, regista del film “Narodni heroj Ljiljan Vidić” [L’eroe nazionale Ljiljan Vidić], una commedia trash che unisce resistenti e collaborazionisti, Pavelić e Tito, talent show e centri commerciali e che, a meno di un mese dalla sua uscita nei cinema si è imposto come secondo film croato più visto di questo secolo.

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