Croazia, media indipendenti nel mirino del governo
L’abolizione del sostegno pubblico ai media no profit è il primo provvedimento del neo ministro della Cultura croato Zlatko Hasanbegović. Ne parliamo con Toni Gabrić, caporedattore di H-Alter, fra i media beneficiari del sostegno pubblico negli ultimi tre anni
Il primo provvedimento del controverso neo ministro della Cultura croato Zlatko Hasanbegović ha sancito l’abolizione del programma di sostegno pubblico ai media no profit e del Comitato di Esperti incaricato dell’assegnazione di tali fondi. Una mossa che rompe la prassi secondo la quale spetterebbe al governo l’adozione di provvedimenti in quest’ambito. Fra le ragioni addotte dal ministro per motivare il provvedimento, si fa riferimento ad un presunto conflitto di interessi all’interno del Comitato. OBC ha intervistato Toni Gabrić, caporedattore di H-Alter, uno dei portali d’informazione beneficiari del sostegno pubblico negli ultimi tre anni.
La decisione è stata adottata in maniera estremamente rapida. Perché tanta fretta, dato che il programma rappresenta una minima parte del budget a disposizione del ministero?
Per comprendere le ragioni di questa scelta, si deve prendere in considerazione l’attuale quadro politico in Croazia.
Già prima della campagna elettorale per le elezioni parlamentari tenutesi a novembre 2015, è apparso chiaramente che la destra radicale si stava impegnando verso i propri elettori ad implementare una “rivoluzione culturale”. È in quel preciso clima che alcuni gruppi neo-fascisti hanno attaccato e distrutto la segnaletica pubblica bilingue a Vukovar. Ed è sempre in quel contesto che il presidente dell’HDZ, Tomislav Karamarko, ha detto più volte che i valori collettivi della Croazia contemporanea devono trarre ispirazione dalla “Guerra patriottica”, suggerendo implicitamente che qualsiasi riferimento al periodo precedente sarebbe invece da evitare. Karamarko rigetta quindi apertamente i legami della Croazia con il passato nella Jugoslavia Federale. È un’attitudine di per sé molto diffusa oggi in Croazia, che Karamarko spinge oltre, fino a suggerire un rifiuto esplicito dei valori della democrazia liberale e del secolarismo.
L’ascesa al governo della destra, dopo le recenti elezioni, ha riportato in auge un’attitudine reazionaria, una combinazione fra controllo politico e predominio delle grandi concentrazioni di capitale, come dimostra la nomina a Primo Ministro di Tihomir Orešković.
La decisione di abolire il supporto pubblico ai media no profit è stata assunta dal ministro della Cultura Hasanbegović, in accordo con il vice Primo Ministro Tomislav Karamarko, ritenendo che questa fosse un’ottima mossa politica per ricompensare la fiducia degli elettori. Allo stesso tempo, il provvedimento inaugura una modalità d’azione che potrà essere replicata anche in altri ambiti: dalla Radio Televisione Croata al Consiglio per i Media Elettronici (che ha già affrontato, nelle scorse settimane, una manifestazione sotto la propria sede cui hanno preso parte 5.000 neo-fascisti), passando per l’agenzia di stampa pubblica HINA, fino alle fondazioni pubbliche che sostengono progetti culturali innovativi e offrono supporto alla società civile.
Purtroppo i settori della cultura e della società civile in Croazia ricevono solo una piccolissima percentuale del budget statale, mentre stanziamenti molto più ingenti vengono destinati ad altre tipologie di utilizzatori senza che questo disturbi minimamente la destra nazionalista. Va precisato che i fondi destinati a sostenere i media no profit ammontano a una cifra ridotta, con un impatto minimo sul totale della spesa pubblica: parliamo di 3 milioni di Kune, che corrispondono a 391 mila euro all’anno.
Nell’argomentare la decisione di abolire il sostegno ai media no profit, il ministro fa riferimento a presunti conflitti di interesse nell’assegnazione dei fondi. Cosa ne pensa, e come valuta il funzionamento del programma fino a questo punto?
Le decisioni sui finanziamenti ai media no profit in passato sono state adottate dal Governo e non dal ministero della Cultura. Nel corso degli ultimi tre anni, quando il programma era attivo, il Governo adottava all’inizio dell’anno un decreto sulla distribuzione delle risorse statali derivanti dalle accise sul gioco d’azzardo. Lo 0,87% di queste entrate era destinato al programma del ministero della Cultura per i media no profit.
Per il 2016 l’adozione del decreto è stata posticipata in considerazione della scadenza elettorale e per il protrarsi delle consultazioni sulla formazione del governo. Solo quando il decreto verrà adottato sapremo se la decisione del ministro Hasanbegović gode effettivamente del sostegno da parte del Governo.
Il finanziamento pubblico ai mezzi di informazione è un argomento molto controverso anche quando riguarda i media che si definiscono no profit. C’è infatti il rischio che una simile forma di sostegno diventi per i giornalisti e gli editori che ne beneficiano una forma di dipendenza politica dall’ente pubblico che eroga il finanziamento.
Tuttavia, il programma di sostegno ai media no profit, che in Croazia ha avuto inizio tre anni fa, si è rivelato a mio avviso molto più avanzato e trasparente rispetto alla maggior parte delle sovvenzioni pubbliche a sostegno della società civile attualmente attive nel nostro paese. Sono infatti stati definiti criteri ed indicatori molto chiari per la valutazione dei progetti presentati, ed è stata formata una Commissione di esperti che consiglia il ministero sull’importo più opportuno da assegnare a ciascun candidato.
D’altra parte vanno rilevati anche degli aspetti problematici: qui mi riferisco soprattutto al fatto che il ministero della Cultura in alcuni casi non si sia attenuto alle normative vigenti, quali la Legge sui media elettronici e le norme che regolano la competizione per i fondi. In un caso, il Tribunale ha rilevato l’abuso di autorità da parte della precedente ministra della Cultura, perché ad un portale d’informazione sono stati assegnati 10 mila euro attraverso una decisione discrezionale, nonostante questo non avesse ottenuto un punteggio sufficiente da parte della Commissione di esperti. Alcuni portali inoltre hanno beneficiato dei fondi nonostante non fossero iscritti nell’apposito registro del Consiglio per le comunicazioni elettroniche, un requisito richiesto per legge.
Le valutazioni elaborate dal comitato di esperti sono state a volte strane, inconcludenti o poco sostanziate. Queste mie valutazioni, va specificato, le faccio in qualità di redattore di un portale che nell’ambito di questa competizione ha regolarmente ricevuto i fondi erogati da questo programma, quindi le mie critiche non sono motivate da interessi personali o risentimenti. H-Alter ha sottolineato sin dall’inizio queste irregolarità, con l’intenzione di contribuire in questo modo al miglioramento del programma di sostegno ai media non-profit. Il nostro obiettivo non era certo di fornire al ministro un pretesto per sopprimere il programma.
Cosa implica per H-Alter l’abolizione di questi stanziamenti? Quali ripercussioni ci saranno, nell’immediato, sul vostro lavoro?
Nell’ottobre 2015 abbiamo sottoscritto un contratto annuale con il ministero della Cultura, in base al quale ci spetta un importo pari a circa 32.600 euro. Una cifra che dovrebbe esserci corrisposta in rate. Naturalmente, da parte nostra faremo in modo di rispettare tutti gli obblighi derivanti dal contratto in modo da non fornire al ministero alcun motivo per porvi fine. Se tuttavia l’accordo venisse dissolto senza ragioni, abbiamo a disposizione il ricorso legale. È plausibile che anche altri media beneficiari dei fondi imbocchino questa strada, se venissero revocati i contratti che li riguardano. In tal caso verrebbe sollevata una class action contro il ministero, un’iniziativa che verosimilmente troverebbe supporto legale volontario e che potrebbe contare su un ampio sostegno per fronteggiare le spese necessarie per lo svolgimento del processo.
Un altro aspetto non chiarito in seguito all’abolizione del Comitato di esperti riguarda il monitoraggio del nostro lavoro. In passato il ministero aveva disposto che un membro del Comitato monitorasse le nostre attività, in particolare la rendicontazione delle spesa sostenute con i fondi stanziati. In seguito allo scioglimento del Comitato di esperti, il 28 gennaio, non sappiamo chi si occuperà d’ora in poi di verificare le modalità di spesa dei beneficiari del programma. Sembra dunque che tali dettagli non interessino al ministro Hasanbegović e ai suoi sostenitori nel governo, nonostante da parte loro venga continuamente sventolato l’argomento dello "spreco di soldi".
Quali effetti può avere, sul lungo periodo, il venir meno del sostegno ai media indipendenti?
Purtroppo in Croazia l’importanza simbolica riconosciuta ai media non profit è ben al di sotto del loro ruolo effettivo nel panorama informativo. In seguito alla decisione assunta dal nuovo ministro però, i media sono diventati un simbolo del tentativo in corso da parte della destra radicale di controllare le istituzioni pubbliche.
La nostra critica alla politica dei media adottata dal precedente governo riguarda il fatto che i fondi esistenti – ho già precisato che si tratta di una cifra ridotta, 391 mila euro l’anno – venissero divisi fra molti portali, e che alcuni di questi avessero iniziato a spuntare come funghi dopo la pioggia. L’istituzione del programma a sostegno dei media no profit è stato un tentativo del precedente governo di dimostrare che si poteva creare un "panorama mediatico ricco e diversificato” anche con cifre limitate. La realtà ha dimostrato i limiti di questo progetto: con cifre così basse, le testate beneficiarie non possono garantire contratti stabili ai propri giornalisti, né alcuna continuità ai freelance con cui collaborano. C’è, insomma, un deficit di sostenibilità. L’influenza di questa politica ha avuto un impatto molto limitato.
La nostra contro-proposta, fin dall’inizio, è stata che i fondi venissero destinati solo a 3 o 4 portali. Concentrando in questo modo le risorse, i pochi media selezionati sarebbero stati effettivamente rafforzati dal programma, destinando più energie e più fondi nella produzione giornalistica. Questa nostra proposta non è stata apprezzata dall’allora Governo e la cosa non sorprende: siamo consapevoli che l’esistenza di media forti, in grado di esercitare efficacemente il ruolo di "cane da guardia" del potere, minaccia gli interessi del Governo.
In Croazia, negli ultimi anni, c’è stato un dibattito molto ampio sulla necessità di elaborare una politica dei mezzi di informazione in grado di tutelare le funzioni dei media nell’interesse della democrazia. La responsabilità di adottare una politica dei media spetta al ministero della Cultura, che negli anni passati non ha fatto niente. Mi sembra, quindi, che tutta questa storia sul sostegno ai media indipendenti stia funzionando come una copertura per questo "niente", per dissimulare l’inazione protrattasi fino ad oggi, e che quindi sia stata una sorta di manipolazione.
Alcune iniziative hanno sollevato la gravità del caso, anche fuori dalla Croazia. L’Associazione dei giornalisti croati (HND) ha inviato una lettera agli europarlamentari e anche la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) ha lanciato un appello. Quale impatto hanno mostrato queste iniziative?
È una strategia che può avere risvolti utili. In Croazia abbiamo una certa esperienza nell’internazionalizzazione delle violazioni dei diritti umani e delle libertà dei media, maturata all’epoca del governo nazionalista di Franjo Tuđman. Di fronte allo scenario sconsolante che ci troviamo davanti, la pressione internazionale è necessaria. Sappiamo infatti molto bene quanto l’attuale coalizione di governo sia traballante. Si intravedono già alcune crepe nel rapporto fra il Governo e la Presidente della Repubblica. La pressione dall’esterno, in questo caso, potrebbe portare alcuni ministri o parlamentari a decidere di negare il proprio sostegno a queste persone e alle loro azioni.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto