L’Europa, l’est, i muri

Per gli storici Dubravka Stojanović e Tvrtko Jakovina l’unica possibile risposta all’attuale crisi dei rifugiati resta quella di rilanciare il progetto europeo. Un’intervista

04/03/2016, Omer Karabeg -

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Installazione a Berlino di Ai Weiwei

(Articolo originariamente pubblicato su Radio Free Europe, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC)

Perché la crisi dei rifugiati ha spinto l’Europa a mostrare atteggiamenti che si pensavano ormai scomparsi?

Dubravka Stojanović (D.S.): Ritengo che la crisi dei rifugiati non sia che un detonatore di una crisi che coinvolge l’Europa da tempo. Certamente dal 2008, da quella crisi economica rispetto alla quale siamo ancora impotenti, incapaci di trovare soluzioni concrete e che è curata solo da misure superficiali, senza mai andare a fondo nelle cose. Si tratta di un’Europa che non ha il coraggio di fare un passo in avanti verso una maggiore federalizzazione e che rimane indecisa, un progetto inconcluso.

Tvrtko Jakovina (T.J.): Sono d’accordo sul fatto che la crisi rifugiati sia un detonatore, ma è allo stesso tempo un catalizzatore. Segna la fine dell’Unione europea o sarà solo una tappa difficile da attraversare? Vedremo. Già da tempo l’Ue si chiede se continuerà ad allargarsi ed a trovare una soluzione alla crisi o se rischia la disintegrazione.

A vostro avviso, perché il colpo pesante inferto ai valori europei – tolleranza e rispetto delle differenze culturali – viene da paesi dell’Europa centrale e orientale quali Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia?

(D.S.): E’ un dato innegabile. Questi paesi non hanno attraversato il medesimo processo affrontato dai paesi occidentali dopo il 1945. Non sono passati dalla de-nazificazione, né attraverso la maturazione della democrazia e di una cultura politica democratica, né dal rafforzamento della società civile e della cittadinanza. In quanto storica, trovo interessante ricordare l’accoglienza calorosa che era stata data all’Europa centrale dopo la caduta del Muro di Berlino. Si parlava allora di paesi con società civili solide, di grandi culture, di una vecchia tradizione democratica ecc. Ma oggi si vede che il passato del blocco dell’est ha lasciato tracce indelebili. Occorre allora chiedersi quanto “quest’eredità” sia tutt’ora pesante.

Per poter entrare nell’Ue i paesi dei Balcani devono accettare questi valori europei. Come incoraggiarli in tal senso se alcuni leader dei paesi dell’Ue sono i primi a non rispettarli? Viktor Orban, Miloš Zeman, Robert Fico o Jarosław Kaczyński, presidente del partito Diritto e Giustizia in Polonia, possono essere modelli da seguire?

(T.J.): Se si prende ad esempio quanto sta accadendo ora in Croazia è evidente che i politici che avete appena citato sono i veri modelli a cui si ispira l’attuale governo. Sono ritenute persone con le quali occorre creare collaborazioni. E’ chiaro che il cammino intrapreso sottende meno democrazia e meno Europa e rappresenta una catastrofe per le nazioni che queste persone rappresentano.

(D.S.): Sono costernata da quanto sta accadendo in Polonia e Ungheria anche perché in Serbia, come in Bosnia Erzegovina, Macedonia e Kosovo – paesi candidati all’ingresso nell’Ue – il sentimento eurofobo è più forte che mai. Il discorso è: “Che ce ne facciamo dell’Unione europea? Perché adeguarsi alle direttive di Bruxelles se gli stessi paesi Ue non le rispettano?”. E’ una situazione che incoraggia tutti i partiti eurofobi. Non è un bene per la regione. In merito ai paesi dell’Europa centrale e orientale ritengo che il problema più grande sia che si sentono ancora come vittime delle grandi potenze, nello specifico l’Unione sovietica, senza mai aver avviato loro stessi, in prima persona, un esame critico delle proprie responsabilità nelle scelte del passato.

I paesi dei Balcani litigano ancora tra loro per contenziosi di confine e i dirigenti dell’Ue hanno continuato a dire loro: “Presto entrerete nell’Unione europea e non dovrete più porvi queste questioni, perché i confini non esisteranno più”… ma oggi i paesi dell’Ue stanno sigillando i loro confini…

(T.J.): Sì, si costruisce una rete di filo spinato anche tra Croazia e Slovenia, ad esempio. E’ una questione delicata che non ha più niente a che vedere con Schengen. Le frontiere stanno divenendo delle fortezze. E questo va totalmente contro la stessa idea fondante dell’Unione europea. Va anche contro l’idea di libera circolazione di capitali e idee in un mondo dove, grazie ai progressi tecnologici, si può parlare con gente che sta dall’altra parte del mondo. In questo contesto una rete di filo spinato non può realmente bloccare migliaia di persone che fuggono dalla guerra. Non funziona proprio così, ma è difficile dirlo a chi cerca di guadagnarsi voti facili costruendo muri e distribuendo paure del tipo “le grandi civiltà europee minacciate”.

Come convincere i paesi dei Balcani che le frontiere non sono così importati?

(D.S.): Nessuno lo sa, purtroppo, ci sono troppe domande come questa rimaste senza risposta negli ultimi dieci anni, a cominciare dai fallimenti del Tribunale penale internazionale. Sia quel che sia i valori europei rappresentano l’unico buon sentiero da seguire. Questo sentiero è in crisi, è interrotto dal filo spinato… E’ inquietante ma io continuo a credere che l’unica via da seguire sia quella dell’Unione europea.

Si può dire che al posto di assistere ad un’europeizzazione dei Balcani stiamo assistendo ad una balcanizzazione dell’Europa?

(T.J.): Quando è scoppiata la guerra in Jugoslavia i libanesi, che uscivano da un decennio terribile, erano felici di vedere il termine “libanizzazione” lasciar spazio a “balcanizzazione” e non volevano mai si facessero paragoni con ciò che avveniva nella penisola balcanica. Penso che stiamo attraversando congiunture svantaggiose. In Francia, ad esempio, la destra xenofoba è sempre più strutturata ed aggressiva e coopera molto bene con partiti politici della stessa tendenza nell’Europa centrale e orientale e anche con partiti di stati al di fuori dell’Unione europea. Vi sono politici che ritengono che l’idea europea sia una brutta idea. Indipendentemente da questo però voglio continuare a credere che siano in molti quelli che ancora credono in un’Europa comune e nelle idee d’apertura e libertà. Credo che il termine “balcanizzazione” dovrebbe essere utilizzato come un termine che descrive un periodo storico preciso e che non dovrebbe essere utilizzato nel contesto attuale.

(D.S.): Concordo con Tvrtko Jakovina, l’atomizzazione e la disintegrazione dell’Europa sarebbero catastrofiche per i popoli europei e mi rifiuto di credere che ci si stia dirigendo in questa direzione.

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