Imago Mundi: i nodi dell’arte albanese

163 artisti albanesi hanno collaborato a Imago Mundi, progetto ideato dalla Fondazione Benetton. Progetto artistico dal respiro mondiale o semplice collezione privata? Un commento

11/05/2016, Erion Gjatolli -

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Uno screenshot del portale di Imago Mundi

Imago Mundi Albania, un progetto ideato dalla Fondazione Benetton Studi e Ricerche, si è concluso a Tirana il 21 aprile scorso, con la presentazione di un catalogo che raccoglie le opere di 163 artisti albanesi ed il conferimento della laurea honoris causa al suo ideatore, Luciano Benetton, il noto imprenditore dell’omonimo brand di abbigliamento.

L’ambizione di Imago Mundi è quella di costruire una sterminata collezione di opere d’arte, assemblate su base volontaria e senza scopo di lucro, grazie alle donazioni spontanee dei paesi coinvolti. Unico vincolo: il formato dell’opera, 10×12 cm. Lo scopo dell’operazione è quello di realizzare una mappatura dell’arte contemporanea agli albori del terzo millennio; di dare visibilità all’arte e incoraggiarne il dialogo con il mondo.

Il format, ha spiegato Luciano Benetton, è nato per caso, quando chiedendo un biglietto da visita ad un artista ricevette in cambio un quadro, di dimensioni 10×12, appunto. Da qui l’idea di estendere l’invito agli artisti di tutto il mondo e di ufficializzare questo piccolo formato, anche per facilitare la mobilità delle opere. Otto anni dopo, la collezione ha toccato circa 100 paesi, raccogliendo oltre 16mila opere d’arte.

La presentazione del catalogo

Nell’aprile 2016 Imago Mundi è sbarcata anche a Tirana. In occasione della presentazione del catalogo, alla presenza di Luciano Benetton, l’Università delle Arti della capitale gli ha conferito la laurea ad honorem in Arti visive. Di fronte ad una Sala Concerti gremita, il rettore dell’Accademia Petrit Malaj ha chiamato due relatori, Sadik Spahija e Fatmir Miziri, a spiegare le motivazioni del conferimento della laurea.

Il catalogo che raccoglie le opere albanesi realizzate per Imago Mundi

Il catalogo che raccoglie le opere albanesi realizzate per Imago Mundi

Due discorsi monocordi i loro, se non altro brevi, sulla splendida carriera dell’imprenditore e sul suo impegno in ambito culturale. Riprendendo la parola, quasi scusandosi, il rettore Malaj ha ricordato ai presenti che i due relatori e artisti sono uomini di grandi doti manuali, non oratorie, ed ha quindi dato la parola all’ospite d’onore, che in un discorso ancora più breve dei suoi introduttori ha proceduto ai ringraziamenti di rito ai curatori Elton Koritari, Albes Fusha e Alban Hajdinaj – per il lavoro "certosino" – e soprattutto agli artisti albanesi per l’insolita "generosità" ed il grande interesse mostrato. Lo stesso discorso poteva essere fatto ovunque, per dargli una coloritura locale Benetton omaggia in extremis i lavori di Kandinskij e Klee che, che molti anni fa, ad una mostra, lo avevano “folgorato”, segnandone il marchio di abbigliamento. E chi avrebbe immaginato che dovevamo anche questo ai due maestri!

“È molto semplice ma allo stesso tempo straordinario”, sembra di nuovo costretto a giustificarsi il rettore Malaj, mentre la cerimonia procede liscia e piatta con la presentazione del catalogo, «Knots Albania», che raccoglie i lavori dei 163 artisti albanesi che hanno aderito al progetto. Il problema, spiegano i curatori, è stato quello di "sciogliere i nodi dell’arte albanese per riallacciarla al resto dell’arte mondiale".

L’eroe

A fare gli onori di casa ora c’è un eroe: Lekë Tasi, classe 1929, studi da musicista, carriera interrotta a causa di una condanna politica del 1967. Poté fare ritorno a Tirana solo alla caduta del regime, per dedicarsi alla pittura. La sua bella Women in blue dress si è aggiudicata la copertina del catalogo. "Una rivincita", ha sottolineato Tasi durante la presentazione, "degli esclusi, che solo ora hanno lo spazio che meritano". Il fatto che, tecnicamente, l’inserzione della sua opera nel catalogo sia dovuta all’assenza di qualsiasi operazione di selezione non importa. La sua biografia di perseguitato è garanzia sufficiente a farne un vero artista: come sottolinea uno dei curatori, "abbiamo tutti molto da imparare da lui".

La serata prosegue con una carrellata delle opere sul megaschermo. Ad ogni cambio immagine la sala – riempita dagli artisti e delle loro rispettive cerchie – scalpita, gli smartphone si alzano alterni per catturare i capolavori: l’opera migliore, la propria.

Al termine del rito autocelebrativo, Benetton si presta all’immancabile sequela di foto e selfie. L’evento – splendida parola, sinonimo del nulla – può dirsi concluso, gli artisti in sala devono invece affrettarsi ad iscriversi, carta d’identità alla mano, allo stand fuori dalla sala, per avere una copia del catalogo. Da oggi le opere albanesi custodite presso la Fondazione saranno consultabili in rete (imagomundiart.com ) e presumibilmente verranno fatte girare per il mondo nella struttura espositiva ideata dall’architetto Tobia Scarpa.

Fare arte in Albania

Un «progetto democratico», come si definisce «Imago Mundi», senza filtri su stili e contenuti, che punta «all’incontro e alla convivenza delle diversità espressive» suona molto bene sulla carta, specialmente in un paese che non ha mai conosciuto la democrazia e la libera espressione. Purtroppo, da amatore d’arte che con interesse vi ha assistito, posso affermare senza remore di coscienza che il suo ultimo risultato non è che l’ennesima collezione privata, in cui l’«arte» con diecimila virgolette si trasforma in biglietto da visita da scambiare durante un aperitivo: una miriade di indistinguibili francobolli, una pioggia di inafferrabili coriandoli nella sfilata della vanagloria del suo ideatore.

Artisti giovani e di lunga carriera, emeriti sconosciuti o di fama internazionale, hanno accettato di lavorare gratuitamente e di cedere le proprie creazioni. In questo l’iniziativa è effettivamente straordinaria – quanti sarebbero in grado di farsi donare, ricordiamolo, oltre 16mila opere? – ma sfugge del tutto ai principi del mecenatismo (che in Italia fecero il Rinascimento). Calata poi nel contesto albanese – ed è questo che, da albanesi, dovrebbe farci arrabbiare – l’operazione diventa ancora più controversa.

Come hanno sottolineato i curatori stessi, l’arte albanese è completamente abbandonata a se stessa, mancante di mercato quanto di efficienti strutture di sostegno: fare l’artista è oggi un lusso che solo in pochi si possono permettere. È chiaro, iniziative così enormi, di dimensioni globali, non possono certo tenere conto di piccole realtà come quella albanese. Vista dal nostro piccolo, periferico paese, Imago Mundi è soltanto un’iniziativa mastodontica, che tritura i lavori dei nostri artisti in cerca di fama in un lager a tasselli votato alla perdita dell’individualità. È il gioco della produzione in serie che si mangia le piccole, insignificanti, realtà locali. È Benetton. È il capitalismo: quel mostro che i paesi ex socialisti adorano, senza porsi il problema di governarlo. Senza porsi il problema di fare arte. Per davvero.

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