Il nuovo volto della Bosnia Erzegovina
Dopo quasi tre anni di attesa, e a più di un ventennio dall’ultimo censimento effettuato nel paese, le autorità bosniache hanno pubblicato i dati completi del censimento 2013
La sala della conferenza stampa allestita all’interno dell’Hotel Europa, a Sarajevo, pare quasi colta di sorpresa quando sullo schermo si materializza la diapositiva che tutti, visibilmente, aspettavano. Evo ih, eccoli, mormora qualcuno, riscuotendosi e iniziando febbrilmente a prendere appunti, scrivendo le cifre – le nuove cifre – che finalmente sono lì, nero su bianco, ufficialmente, dopo mesi e mesi d’illazioni.
Non importa il fatto che alle tre domande relative ad appartenenza etnica, lingua e religione, rispondere non fosse obbligatorio. Né tanto meno conta la raccomandazione di Eurostat, che aveva addirittura esortato le autorità bosniache a tralasciare la questione. Perché quello che importa alle decine di reporter presenti, ma anche alla maggior parte dell’opinione pubblica bosniaca, sono soprattutto le nuove percentuali relative alla composizione etnica della popolazione.
Le precedenti, quelle relative al 1991, erano assurte negli anni a un’importanza quasi feticistica, in una Bosnia Erzegovina dominata dagli Accordi di Dayton e dall’equilibrio delle tre "nazioni costitutive": bosgnacchi (musulmani), 43,47%; serbi 31,21%; croati 17,38 %; jugoslavi 5,54%; altre minoranze 2,4%. Questo aveva sancito l’ultimo censimento condotto prima dell’indipendenza del paese, e prima dei tre anni di guerra.
Da giovedì 30 giugno, da quando cioè l’Agenzia statistica di Bosnia Erzegovina ha pubblicato i risultati, queste percentuali possono essere aggiornate. A dichiararsi bosgnacco è infatti ora ben il 50,11% della popolazione; i serbi sono il 30,78%; i croati il 15,43%. Il resto – 2,73% del totale – è rappresentato dagli ostali, gli altri, categoria nella quale in Bosnia Erzegovina si fa ricadere chi appartiene a una minoranza oppure chi rifiuta di dichiararsi come membro delle tre nazioni costitutive.
Venticinque anni di pulizia etnica ed emigrazione
Il primo dato che salta agli occhi, comunque, è la diminuzione della popolazione totale della Bosnia Erzegovina, come effetto congiunto del conflitto e della stagnazione del dopoguerra, che ha spinto decine di migliaia di persone a emigrare.
I dati finali sono ancora più drammatici di quanto avevano fatto presagire quelli parziali, rilasciati a novembre 2013, e che già avevano fatto parlare di "catastrofe demografica". La popolazione bosniaca è oggi di sole 3.531.159 persone, il che significa che dal 1991 il paese ha perduto 845.874 abitanti, praticamente uno su cinque.
Se la diminuzione dei residenti può essere considerata come il primo tra i lasciti della guerra e dei problemi del ventennio successivo, il secondo è però sicuramente la composizione etnica delle differenti nazioni costitutive sul territorio bosniaco. Si tratta di dati che non stupiscono nessuno, visto che la situazione sul terreno era già chiara, ma la cui contabilità è resa ufficiale per la prima volta.
Appare così chiaro che le due entità del paese, la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska, sono tracciate secondo precisi confini etnici: se nella prima i bosgnacchi rappresentano infatti il 70,4% della popolazione e i croati il 22,44%; in RS la maggior parte degli abitanti si sono dichiarati come serbi (81,51%), mentre i bosgnacchi sono il 13,99% e i croati soltanto il 2,41%.
Lo stesso discorso vale anche per le municipalità: a ribadire il fatto che la pulizia etnica ha prevalso in Bosnia Erzegovina contribuisce la statistica che soltanto in sei comuni (tra cui i principali sono Mostar, Jajce e Brčko) su un totale di 143 non c’è un gruppo nazionale che costituisce la maggioranza assoluta della popolazione.
Una tendenza confermata anche nelle principali città: a Sarajevo è crollato il numero di residenti serbi e croati e la maggior parte della popolazione (80,74%) è costituita da bosgnacchi, mentre Banja Luka, il centro amministrativo della RS, è abitata quasi esclusivamente da serbi (89,57%). Mostar, la città principale dell’Erzegovina, ha visto aumentare il numero dei propri residenti bosgnacchi e croati, ma il numero di serbi è crollato, passando da 23.846 a 4.420. Il censimento, infine, conferma anche la dimensione della pulizia etnica avvenuta nei centri urbani della valle della Drina, con la popolazione di etnia bosgnacca drasticamente ridimensionata a Zvornik (da 48.102 a 19.855), Višegrad (da 13.471 a 1.043) o ancora a Srebrenica (da 27.572 a 7.248).
Questi dati, che da giorni campeggiano sui giornali bosniaci, hanno comprensibilmente attirato la maggior parte dell’attenzione dell’opinione pubblica, mettendo in secondo piano altre statistiche che pure sarebbero più importanti per stabilire quali debbano essere le priorità della politica bosniaca nell’immediato futuro. Grazie al censimento, si è infatti visto che l’età media della popolazione bosniaca è sensibilmente aumentata, da 34 anni nel 1991 a 39; o ancora che la Bosnia Erzegovina ha un tasso di analfabetismo del 2,82%, più elevato che nei paesi vicini – dati importanti (e che sono consultabili in internet a questo indirizzo), ma che, come ha sottolineato il Primo Ministro bosniaco Denis Zvizdić, "non è interesse di nessuno commentare."
Pubblicare i dati, ma a che prezzo?
La pubblicazione dei dati finali del censimento, per quanto rappresenti un passo essenziale per la Bosnia Erzegovina, secondo molti commentatori locali non è stata fatta nel migliore dei modi.
Per mesi, infatti, trovare un accordo per permettere la pubblicazione dei risultati è stato impossibile, a causa dell’opposizione dell’Istituto statistico di Republika Srpska, che contestava il metodo utilizzato per calcolare il numero di residenti stabili in una determinata area.
Alla metà del mese di maggio, tuttavia, dopo innumerevoli incontri senza risultato il direttore dell’Agenzia statistica nazionale di Bosnia Erzegovina (l’unica che, secondo la legge, è responsabile di pubblicare i dati finali) Velimir Jukić ha deciso di pubblicare i risultati finali senza trovare un compromesso con le autorità di Banja Luka.
L’effetto di una tale decisione unilaterale è che, come hanno ripetuto tutti gli esponenti dell’establishment serbo-bosniaco, questi risultati non verranno riconosciuti in Republika Srpska. La quale, anzi, starebbe pianificando di pubblicare autonomamente i dati del censimento relativi al proprio territorio.
Ciò che potrebbe rivelarsi più grave, comunque, è il fatto che la decisione di Jukić potrebbe causare una grave paralisi istituzionale, dal momento che Mladen Ivanić, il rappresentante serbo della Presidenza bosniaca, ha annunciato che assumerà delle posizioni più intransigenti su alcune questioni essenziali per la Bosnia Erzegovina al fine di proseguire nel proprio percorso di integrazione europea, in reazione alla decisione dell’Agenzia statistica bosniaca, presa senza tenere conto dell’opinione di Banja Luka.
Così, nelle settimane scorse, Ivanić ha ostacolato l’approvazione da parte della Presidenza collegiale bosniaca di due provvedimenti ritenuti essenziali per ottenere lo status di candidato UE, dopo che la Bosnia Erzegovina ha presentato la propria domanda in febbraio: l’aggiornamento dell’Accordo di Stabilizzazione e di Associazione, e la creazione di un meccanismo di coordinamento che è richiesto al paese per implementare le politiche richieste da Bruxelles.
Pubblicare i risultati del censimento è una conquista importante per uno stato che li attendeva da venticinque anni, e che ora avrà delle statistiche più affidabili per implementare le proprie politiche. Il modo in cui essi sono stati resi pubblici, tuttavia, rischia di creare nuove paralisi istituzionali nel paese – e di incrementare la distanza tra Banja Luka e Sarajevo.