Saranda, maestri in viaggio
La gioia dello scoprire, a Saranda, sud dell’Albania, una mostra che esplora un secolo di pittura albanese
Dopo tanti anni lontana da casa, quest’estate ho deciso di tornare a fare visita alla mia terra natale, l’Albania e non potevo non andare a salutare il mare.
Saranda, l’ultima città del sud prima della Grecia, mi è apparsa così diversa dai miei ricordi d’infanzia. Frenetica, in continua espansione, caotica. La dilatazione che ha subito il porto e quelle poche case che vi erano attorno mi ha ricordato un’edera che disordinatamente ricopre quello che una volta era il corpo sacro della città antica.
Nelle vene di Saranda scorrono più di 2000 anni di storia. Le sue acque hanno cullato e trasportato viaggiatori e commercianti da tutto il Mediterraneo. In cima alle coline che circondano il paese si ergono chiese bizantine e il monastero ortodosso dei Quaranta santi da cui Saranda prende il nome.
I santi sono ancora lì coraggiosi a difendere non solo la loro fede – per la quale si sono immolati – ma anche i dipinti bizantini celati nella struttura del monastero. E così Saranda e i suoi pochi abitanti vivono tra il passato, con la sua sacralità, e la voglia di raggiungere l’Occidente con il suo stile frenetico di vivere.
Tutti i pomeriggi, prima che tramonti il sole, una folla di vacanzieri inizia la propria marcia verso il lungomare. Vengono da luoghi lontani dove il sole manca tutto l’anno. Il lungomare, sotto le sue palme, ospita centinaia di commercianti che aspettano i loro clienti. Alcuni si mimetizzano con il fogliame per poi spuntare fuori offrendo pannocchie abbrustolite o dolciumi sciroppati. Altri se ne stanno al fresco nei loro bar e ristoranti e hanno messo all’entrata ragazzini che invitano i clienti ad entrare.
Occorre avere tutta l’abilità per la caccia che possedevano i nostri antenati per orientarsi in questa giungla. Non è facile non essere sopraffatti dall’arcobaleno di luci al neon e dal vociare dei turisti che affollano il lungomare.
Mentre sono alla ricerca della città dei miei ricordi l’occhio si accorge di una luce calda che proviene da un edificio basso. È la Galleria d’arte di Saranda.
Dalle piccole finestre del seminterrato si intravedono i quadri. Entro in punta di piedi per non rompere il silenzio che vi regna e comincia un viaggio a ritroso nel tempo. Riconosco il volto dei partigiani che ho visto nei film in bianco nero durante il regime, il paesaggio autunnale di casa mia, il ritratto di un uomo anziano il cui volto racconta più di tante parole la fatica e la dignità di un popolo uscito dalla guerra.
Trovo 100 anni di storia raccontata per mano dei più grandi maestri albanesi dell’inizio Novecento. E’ infatti allestita la mostra "I pittori albanesi del XX secolo".
Kol Idromeno, Sofia Papadhimitri, Vangjush Mio, Guri Madhi, Vangjel Zengo, Andrea Kushi, Zef Shoshi, Ali Oseku, Maks Velo, S. Shijaku, Abdullah Cangonji, Hasan Capari, Bashkim Ahmeti, Ndoc Martini, Simon Rota e l’elenco è ancora lungo. Sono qui riportate alcune opere di 35 pittori che hanno raccontato il ‘900 albanese, senza trascurare il secondo dopoguerra e la lunga dittatura di Enver Hoxha. Me lo racconta Lefter Ceko, responsabile della galleria e del museo Art Saranda. Per farlo hanno scelto l’olio, le incisioni, l’acrilico ma non mancano anche le tecniche miste. Si va dai paesaggi rurali agli autoritratti.
Sono artisti che hanno anche rischiato la vita e tanti sono stati carcerati e censurati per anni perché il partito comunista non ammetteva l’influenza della pittura moderna. Nei loro lavori si respira l’atmosfera che regnava in quegli anni e anche il visitatore più lontano, che non conosce la storia di questa terra, può avvicinarsi all’animo del popolo albanese.
"E da più di un anno che sognavo questo momento – mi dice Ceko – nelle nostre sale hanno trovato spazio 200 artisti e più di 800 opere d’arte ma questa è la mostra dei maestri".
La maggior parte di loro ha studiato in Europa nelle migliori accademie di arte, per poi tornare e dipingere la propria terra. Tra di loro spiccano i nomi di Sofia Zengo Papadhimitri, una delle prime pittrici donne albanesi e Kol Idromeno artista poliedrico: pittore, architetto, fotografo, regista, scenografo, musicista e compositore che ha segnato la storia dell’arte con i suoi meravigliosi lavori.
Ritrovo anche Vangjush Mio un’altra personalità nell’arte figurativa albanese, si è formato a Roma e a Bucarest. E’ il primo impressionista albanese, noto per i suoi paesaggi caratterizzati da uno sfavillio di colori.
Il direttore del museo sottolinea come tutto è stato possibile solo grazie all’aiuto del comune di Saranda, del sindaco Florjana Koka e della Galleria Nazionale Albanese. E’ la prima volta nella storia che queste opere vengono portate fuori da Tirana. E questo è un successo per una piccola-grande città come Saranda, racconta il direttore con orgoglio.
Appoggiare lo sguardo su questi dipinti è stato come ricevere un dono, un dono inaspettato. Grazie alla passione e al lavoro di persone come Lefter Ceko che credono nell’arte e nella bellezza e che nutrono la cultura e l’anima di questa città, Saranda offre ai viaggiatori non soltanto un mare meraviglioso, siti archeologici unici al mondo, una natura incontaminata ma ora anche un raggio di luce su quella che è la storia dell’arte albanese.