Elezioni in Macedonia, buona la terza
Dopo due tentativi andati a vuoto, domenica 11 dicembre la Macedonia va ad elezioni anticipate. Nonostante gli accordi di Pržino, il clima della campagna è stato pesante, e gli esiti del voto difficili da prevedere
Mancano due giorni alle elezioni anticipate in Macedonia. Dopo mesi di proteste, negoziati politici e due tornate elettorali annullate nel corso del 2016, l’11 dicembre un nuovo parlamento dovrebbe essere eletto. La speranza è che la nuova assemblea sarà in grado di mette fine alla crisi politica e istituzionale in cui il paese si trascina da inizio 2015. Un risultato però difficile da ottenere solo attraverso il processo elettorale.
A risanare il clima politico e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dovrebbe pensare la giustizia, e in modo particolare l’Ufficio della procura speciale, creato per fare chiarezza sullo scandalo delle intercettazioni che ha dato vita all’attuale prolungata crisi. Ma perché il lavoro della procura possa essere portato a termine, è certamente di grande importanza chi costituirà il nuovo governo a urne chiuse.
Le origini della crisi
In Macedonia assistiamo a quello che potremmo definire un vero e proprio “sequestro dello stato”, caratterizzato da un governo che mostra tratti autoritari, guidato da élite insicure che schiacciano le opposizioni, e interessi privati che influenzano il processo decisionale delle istituzioni, attraverso meccanismi che spesso superano i confini della legalità.
Dopo dieci anni al governo – alla vittoria nelle elezioni “regolari” del 2006 si sono sommati i successi in tre elezioni anticipate consecutive, nel 2008, 2011 e 2014 – l’élite guidata dalla VMRO-DPMNE si è assicurata il controllo su ogni segmento delle istituzioni dello stato.
Nel frattempo l’opposizione – appesantita dagli scandali che l’hanno coinvolta quando era al potere e dall’insuccesso nel superare le dispute coi vicini (soprattutto Grecia) che hanno bloccato l’integrazione euro-atlantica della Macedonia – ha creato il terreno fertile perché Nikola Gruevski e i suoi alleati piantassero i semi del clientelismo che caratterizza la scena politica attuale.
Le contraddizioni dell’attuale governo sono esplose a inizio 2015 quando Zoran Zaev, leader dell’opposizione socialdemocratica, ha reso pubbliche una serie di intercettazioni registrate: secondo Zaev i materiali (ottenuti attraverso canali mai rivelati) dimostrano una serie di gravissimi crimini commessi dal governo, tra cui l’intercettazione illegale di almeno 20mila cittadini per almeno quattro anni.
Mesi di proteste e negoziati sono sfociati nei cosiddetti accordi di Pržino, che prevedevano nuove elezioni anticipate dopo la creazione delle condizioni minime per una competizione elettorale democratica e corretta, che ponesse fine alla crisi.
Nonostante gli sforzi fatti, però, l’attuale campagna elettorale non mostra significative differenze rispetto a quelle che l’hanno preceduta: oggi, come allora, al centro della sfida restano i tentativi di demonizzare l’avversario. L’arena politica macedone somiglia a quella dove, ai tempi di Roma, i gladiatori utilizzavano ogni mezzo pur di prevalere sull’avversario, ucciderlo e sopravvivere.
La campagna elettorale
L’analisi degli spot elettorali è sufficiente ad avere una panoramica della narrativa dominante in questa campagna. L’opposizione insiste sui crimini emersi dalle intercettazioni, il governo concentra il fuoco contro Zaev: il tutto condito con l’aggiunta di tensioni etno-nazionali create a stretto uso elettorale.
Come già accaduto in passato, i partiti di governo rafforzano la sfiducia e polarizzano la società macedone su linee etniche, nel tentativo di salvaguardare lo status quo e il proprio potere: una strategia che fino ad oggi ha dato regolarmente i suoi frutti.
Così, ancora una volta, i temi principali della campagna tornano ad essere nazionali ed identitari, a prescindere dalle condizioni disastrose per economia e vita reale. La VMRO-DPMNE sostiene che i socialdemocratici puntano a minare l’unità dello stato: l’accusa è quella di progettare una riforma federale della Macedonia, facendo dell’albanese la lingua ufficiale sull’intero territorio dello stato. Ad ogni comizio Gruevski chiede quindi agli elettori una nuova maggioranza in parlamento, per poter sventare il pericolo e salvare la Macedonia “dai nemici dello stato”.
Da parte sua il Partito socialdemocratico (SDSM) batte duro sui presunti crimini emersi dalle intercettazioni portate alla luce dal proprio leader. Lo SDSM ha puntato a superare le divisioni, nominando candidati di diversa appartenenza etnica nelle proprie liste, in particolare albanesi di Macedonia. In questa cornice, durante un incontro con la diaspora albanese-macedone a Berna, in Svizzera, Zaev ha sostenuto la necessità di superare gli accordi di Ohrid. Un’affermazione poi ripresa dai partiti governativi per attaccarlo frontalmente.
La retorica nazionalista è tornata in auge anche tra i partiti della comunità albanese, che dibattono di ridefinizione dello stato, creazione di unità federali, annullamento degli accordi di Ohrid, spesso con toni di auto-vittimizzazione.
Scenari
Secondo la Commissione elettorale centrale, durante la campagna non si sono registrate irregolarità significative. Le liste elettorali, secondo quanto previsto dagli accordi di Pržino, sarebbero ora depurate di tutti i nominativi inesistenti o decaduti.
I sondaggi più recenti danno per favorita la coalizione guidata dalla VMRO-DPMNE, il cui vantaggio sui socialdemocratici è andato però scemando. Fare previsioni sui risultati finali è quindi estremamente difficile, così come è difficile fare qualsiasi ipotesi rispetto al prossimo esecutivo.
Se la VMRO-DPMNE dovesse vincere, ma con un margine ristretto, un governo di minoranza dello SDSM non è escluso. In questo caso, il lavoro della Procura speciale sulle intercettazioni procederebbe con tutta probabilità in modo più spedito.
Un secondo scenario prevede la creazione di una larga coalizione che escluda però Gruevski e gli altri protagonisti della vita politica toccati dallo scandalo intercettazioni. Meno probabili sembrano il mantenimento dello status quo – con la VMRO-DPMNE a formare un nuovo governo insieme agli albanesi dell’Unione democratica per l’Integrazione (DUI), così come un ampio trionfo delle opposizioni.
Nella storia democratica della Macedonia, l’affluenza media alle urne in tutte le tornate elettorali (politiche, presidenziali, referendum) è di poco superiore al 58%, ma con forti fluttuazioni, che vanno dal picco del 70,74% del 1998 al minimo storico del 55,98% del 2006. Nelle due ultime elezioni si è andati intorno al 65%. A decidere le sorti del voto e il futuro del paese sarà quindi la volontà degli elettori di recarsi alle urne insieme alla scelta finale degli indecisi che, secondo vari sondaggi, rappresentano al momento almeno il 20% del corpo elettorale.