Punture di spillo tra Tirana e Atene

Il caso ciamuriota da una parte, i diritti della minoranza greca in Albania dall’altra. Sono mesi di relazioni tese tra Tirana ed Atene, nonostante i due rispettivi ministri degli Esteri abbiano concordato incontri periodici per dirimere i principali attriti

19/12/2016, Gjergji Kajana -

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Una scritta inneggiante ai diritti dei ciamurioti (Dennis Jarvis/flickr)

Dal suo insediamento nel settembre 2013 il governo albanese guidato da Edi Rama persegue una politica estera di intenso avvicinamento all’UE (Tirana spera di aprire i negoziati di adesione l’anno prossimo dopo aver ottenuto una raccomandazione positiva a ottobre) e di “zero problemi” con i paesi vicini. Uno di essi è la Grecia, con la quale l’Albania condivide dal 2009 l’adesione nella Nato e nel cui appoggio spera per velocizzare le tappe di adesione nell’Unione. Il problema maggiore tra questi due vicini è però un caso storico-politico che riaffiora periodicamente, raffreddando il clima di collaborazione tra le due capitali: il caso ciamuriota.

I ciamurioti sono un’importante comunità di etnia albanese proveniente da un’area che nel primo Novecento faceva parte dell’Impero Ottomano e che venne inclusa entro i confini greci dopo le guerre balcaniche del 1912-1913. L’area è incentrata sul fiume Tsamis, dal quale prende il nome. Si trova al confine attuale tra i due paesi.

Gli abitanti albanesi sono fuggiti in massa da quelle terre verso l’Albania subito dopo le guerre balcaniche e nell’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale, durante la quale per la storiografia e la politica greca sono accusati di essere stati collaboratori dei nazisti. La migrazione verso nord è stata molto accelerata da violenze subite da parte di militari greci. Nel 1953 hanno poi ottenuto in massa la cittadinanza albanese.

Stato di guerra e caso ciamuriota

Ora un eventuale loro ritorno nelle terre di origine è impedito anche – secondo la parte albanese – dall’esistenza tecnicamente di uno stato di guerra tra Grecia e Albania. Esso fu proclamato il 10 novembre 1940 da Atene perché l’invasione del territorio ellenico da parte degli italiani avvenne dal territorio dell’Albania, occupata e formalmente parte dell’Impero fascista. Il governo greco la abolì il 28 agosto 1987, ma la decisione non è stata ratificata dal Parlamento greco, malgrado l’Albania l’abbia chiesto più volte.

Secondo l’Albania lo stato di guerra viene mantenuto per giustificare il sequestro delle proprietà in Grecia dei ciamurioti migrati. Atene dal canto suo nega sia l’esistenza di un caso ciamuriota che dello stato di guerra, come ribadito più volte dal ministro degli Esteri Nikos Kotzias.

Quest’ultimo, durante una sua visita a Tirana nel giugno di quest’anno – grazie alla quale lui e l’omologo albanese Ditmir Bushati si sono accordati sull’istituzione di un meccanismo diplomatico comune per trattare le problematiche bilaterali – è stata destinatario di manifestazioni di protesta da parte della comunità ciamuriota.

Si inserisce l’UE

Il 28 settembre nel dibattito si è inserita anche l’Unione Europea, attraverso il Commissario all’Allargamento Johannes Hahn. Per la prima volta Bruxelles ha riconosciuto l’esistenza del caso ciamuriota, segnando un punto a favore delle posizioni di Tirana sulla materia. In risposta a un’interrogazione dell’europarlamentare greco Maria Spyraki sul fatto se le azioni del Partito della comunità ciamuriota in Albania (PDIU) fossero o meno in linea con le relazioni di buon vicinato, precondizione per fare avanzare la candidatura albanese di aderire nell’UE, il commissario Hahn ha affermato: “La Commissione ha benevolmente accolto il fatto che entrambi i paesi stiano discutendo la creazione di un meccanismo comune, per promuovere incontri periodici per discutere delle problematiche in sospeso. Queste includono la definizione di una piattaforma continentale e le aree marittime tra Albania e Grecia, i diritti delle minoranze e il caso ciamuriota”.

Furioso, il ministero degli Esteri greco ha definito in una nota “non veritiera e inaccettabile” questa risposta di Hahn, ribadendo in seguito con forza: “E’ ben noto che non esiste un ‘caso ciamuriota’ e che esso non è stato accettato come questione nelle discussioni tra i governi di Albania e Grecia”. Maja Kocijančič, portavoce del commissario, si è limitata a riaffermare di fronte ai giornalisti che la Commissione accoglieva benevolmente le intenzioni di Tirana e Atene di procedere a un continuo dialogo bilaterale. Per Bruxelles, quindi, il caso ciamuriota esiste ed è dovere dei due partner balcanici procedere a risolverlo.

Battibecchi

La dichiarazione di Hahn ha creato un clima nel quale sono cominciate punture di spillo tra le due capitali, non interrotte dalla visita ad Atene del Presidente del Parlamento albanese Ilir Meta.

La nuova posizione di Bruxelles è stata interpretata come un assist dal segretario del PDIU Shpëtim Idrizi, alleato del governo Rama e vicepresidente del Parlamento. Per il suo partito ai danni dei ciamurioti è stato perpetrato un genocidio e, oltre a permettere il ritorno dei membri di questa comunità nelle loro terre di origine e la riappropriazione delle loro proprietà, Atene dovrebbe corrispondergli delle indennità. Idrizi preme pubblicamente sul governo albanese perché porti il caso ciamuriota anche in sede NATO – eventualità che innalzerebbe le tensioni oltre un limite di guardia.

Inoltre, in polemica diretta con Vangjel Dule, segretario del partito della minoranza greca in Albania (PBDNJ), il 3 novembre in parlamento il premier albanese Edi Rama ha chiesto ad Atene di abolire lo stato di guerra.

Le punture di spillo non riguardano solo i ciamurioti. La polemica Rama–Dule era stata scatenata dalla decisione delle autorità albanesi di demolire 19 costruzioni appartenenti a membri della minoranza greca in Albania nella città meridionale di Himara, nel quadro di una riconfigurazione urbanistica dell’area. Oltre che da Dule, la decisione albanese è stata contestata da due note successive del ministero degli Esteri di Atene, che accusava Tirana di violare i diritti delle minoranze.

Nel suo discorso del 3 novembre Rama ha indirettamente polemizzato anche con questa posizione ed ha affermato che la demolizione delle costruzioni ad Himara rientra pienamente nella corretta applicazione del diritto albanese. Una telefonata con l’omologo greco Alexis Tsipras ha tentato di allentare le tensioni.

Dialogo quanto mai necessario

Le posizioni di Rama – riaffermate in un’intervista sulla TV greca SKAI il 22 novembre scorso – sul caso ciamuriota (per lui “una questione albanese”) e lo stato di guerra sono le più assertive mai assunte da un capo di governo dell’Albania postcomunista nei confronti della Grecia e rendono necessaria la continuazione del dialogo sulla base del meccanismo Bushati–Kotzias.

Il caso ciamuriota e le demolizioni di Himara non sono l’unica materia di dialogo bilaterale: rimane sospesa da 7 anni la definizione del confine marittimo tra i due paesi, dopo che nel 2010 la Corte Costituzionale di Tirana, chiamata ad esprimersi dai socialisti di Rama, rigettò come incostituzionale un precedente accordo del 2009. Sicuramente le posizioni albanesi sono rafforzate dalla dichiarazione Hahn e dal fatto che Tirana si aspetta a breve l’apertura dei negoziati di adesione con Bruxelles.

Nel caso le tensioni diplomatiche dovessero intensificarsi e Atene si mettesse di traverso al percorso albanese verso l’UE (dove detiene un diritto di veto che già esercita sulla candidatura macedone), Bruxelles potrebbe però vedersi costretta di passare dagli inviti al dialogo alla mediazione tra le due capitali.

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