Nel segno della Carta di Roma

Presentato il quarto Rapporto della Carta di Roma, Notizie oltre i muri, dedicato a come i media hanno trattato il fenomeno migratorio nell’anno che sta per finire

22/12/2016, Fazıla Mat - Roma

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Come e quanto i media hanno parlato del fenomeno migratorio nel 2016? Notizie oltre i muri, quarto Rapporto Carta di Roma presentato questa settimana a Roma, analizza il tema individuandone le trasformazioni e le tendenze. Un primo dato è un “approdo alla normalità” della questione, con un calo della “componente ansiogena” delle notizie, mentre nei toni e negli stili delle notizie sull’immigrazione risultano comparire i “modelli tipici dell’informazione politica”.

Il rapporto ritrova conferma di questo cambiamento di esposizione attraverso l’analisi dei dati effettuata dall’Osservatorio di Pavia, secondo il quale nel 2016 i politici italiani ed europei risultano essere presenti una volta su due nei servizi sui migranti trasmessi in televisione in prima serata. Tuttavia, questa “normalizzazione” – spiega il presidente dell’Associazione, Giovanni Maria Bellu – è anche una conferma “della tendenza del nostro sistema informativo ad assecondare l’agenda politica”. E se i media sembrano aver preso atto del fatto di dovere smettere di trattare la questione con toni “ansiogeni” ed “emergenziali”, la politica continua ancora a considerare l’immigrazione come “terreno di scontro”.

Dal rapporto emerge anche che la trasformazione della questione in un “tema routinario” ha portato alla normalizzazione della comunicazione del fenomeno nella percezione dei cittadini, ma non del fenomeno in sé. La paura nell’opinione pubblica italiana non risulta infatti scomparsa e per il 40% delle persone l’immigrazione rappresenta ancora un fattore di pericolo. Risulta inoltre problematica anche la selezione delle informazioni riguardo all’immigrazione, dove i motivi delle partenze e delle fughe sono spesso taciuti, mentre si tende a privilegiare il racconto sugli approdi e sui loro effetti.

Un altro dato che emerge dalla ricerca è quello che vede una maggiore attenzione dei media a non farsi veicolo dell’hatespeech, linguaggio dell’odio, rivolto agli immigrati. “Tuttavia dovremmo riflettere sul fatto che l’hatespeech, quello che dilaga nei social network, trova alimento nella cattiva informazione – spiega sempre Bellu – ed è questa la ragione per cui non possiamo sentirci innocenti”.

Per Ilvo Diamanti, professore di Analisi dell’opinione pubblica all’Università di Urbino, va fatta una fondamentale distinzione tra i media tradizionali – dove si assiste per l’appunto ad una “normalizzazione” dell’immagine dei migranti – e i nuovi media, da lui definiti anche "immediati", dove invece la stessa immagine subisce un’estremizzazione. “Perché diversi media producono diversi messaggi, anche quando il contenuto è lo stesso”, sottolinea l’analista. Nel rapporto emerge infatti che nei social media, e in particolare su Twitter, le opinioni degenerano in un conflitto virtuale che sfocia in insulti razzisti e sessisti violenti. Singoli casi che vengono facilmente trasformati in simboli generalizzati a interi gruppi e categorie, arrivando a comprendere tutti gli immigrati “stigmatizzati senza distinzione”. E se la percentuale dei commenti razzisti e xenofobi risulta in verità minima – rappresentando solo il 2% dei messaggi pubblicati nelle piattaforme sociali – è altrettanto vero che questa percentuale riesce a ottenere grande visibilità attraverso una cassa di risonanza che include gli stessi media nuovi e tradizionali.

Questa tensione, secondo Diamanti, intervenuto alla presentazione del rapporto, rischia di riprodursi sui diversi ambienti sociali, favorendo la diffusione di atteggiamenti intolleranti fra le componenti più giovani, istruite e socializzate alla comunicazione digitale. Ed per questo che il rapporto afferma la necessità di rendere evidenti queste tendenze nella comunicazione in tema di immigrazione.

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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