Georgia, storia delle bimbe mai nate
Aborto selettivo per selezionare il sesso del nascituro. Una pratica adottata nel Caucaso meridionale per ottenere un figlio maschio. Qualcosa però lentamente sta cambiando
In Georgia si dice che se, dopo una nascita, regna il silenzio, i vicini bisbiglino: “È una bimba vero?”. Nella repubblica caucasica i bambini sono un tesoro, ma nascere femmina è ancora una disgrazia e nell’attesa dell’agognato maschio spesso le coppie scelgono di non farle venire al mondo.
Quando nel 2012 Arsen Gvenetadze, ginecologo di fama nazionale, aprì la sua clinica alla fecondazione in vitro i pazienti affollarono la struttura alle porte di Tbilisi. Mahir e Lala (i nomi non sono reali) erano in cima alla lista – Gvenetadze se li ricorda bene, come del resto tutti i suoi assistiti.
“Erano i nostri primi pazienti, poco più che trentenni,” ricorda il medico 53enne. “Avevano già tre bimbe e quando vennero da me il padre mi disse che se il trattamento avesse funzionato e Lala fosse rimasta incinta di una femmina, avrebbero scelto l’aborto. Volevano un maschio per mantenere in vita il nome della famiglia”.
La natura scelse per loro portando una coppia di gemelli, una femmina e un maschio, e salvando così in un colpo solo il nome della famiglia e una bambina destinata all’oblio. Il caso di Mahir e Lala non è il primo nel quale è incappato Gvenetadze in 27 anni di professione – e non sarà l’ultimo.
Speriamo non sia femmina
Dalla caduta dell’Unione sovietica, in Georgia e nei suoi vicini caucasici, Armenia e Azerbaijan, nascono più maschi che femmine, una disparità che ha creato uno squilibrio demografico simile a quello già registrato in Asia, soprattutto in Cina e India.
Lo squilibrio tra maschi e femmine alla nascita non è anormale. Se la natura segue il suo corso infatti il coefficiente è di 105 maschi ogni 100 femmine – i maschi sono più vulnerabili alle malattie infantili e il numero tende all’equilibrio negli anni dell’adolescenza.
Uno studio del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) in Georgia ha analizzato i dati demografici tra la fine del 1980 e il 2012 e ha registrato una crescente disparità tra i sessi a partire dai primi anni Novanta: dal dato standard dei 105 maschi per 100 femmine, in alcuni anni si sono raggiunte punte di 120. Nel 2013 una ricerca pubblicata dalla rivista medica specializzata “Prospettive internazionali in materia di salute sessuale e riproduttiva” si è imbattuta in distorsioni pesanti in tutta l’area caucasica – in Armenia e Azerbaijan sono nati in media 115 maschi, 10 oltre la media. I dati hanno evidenziato che il numero di bambine nate era il 10 per cento inferiore a quello che sarebbe stato se il rapporto fosse stato normale. Solo la Cina presenta un divario più profondo.
UNFPA stima che tra il 1990 e il 2010 non siano nate 25.000 bambine. Se il fenomeno dovesse mantenersi costante, il numero è destinato a raggiungere le 80.000 nel 2050, con gravi conseguenze demografiche sul medio-lungo termine.
I numeri sfalsati sono il risultato di una selezione del sesso del feto prima della nascita – l’accesso a tecnologie come l’ecografia è pratica comune e le coppie optano per l’aborto nel caso in cui il sesso del feto non corrisponda a quello desiderato. Che in Georgia è quasi sempre quello femminile.
In epoca sovietica l’ecografia era rara perché alcune parti dei macchinari necessari avevano un uso militare e l’importazione dall’occidente era vietata.
Dal 1991 l’analisi è diventata disponibile e conveniente in tutta la regione – con un costo medio di 16 euro – e l’aborto è legale fino a 12 settimane.
Alexander Gurchiani, 78 anni, e sua moglie Svetlana Khaphtani, 73, non hanno atto ricorso a nulla del genere. La coppia, originaria delle remote montagne di Svaneti, nel nord della Georgia, ha allevato con orgoglio nove figlie, oggi tra i 46 e i 30 anni. Le femmine? Mai state un problema, dice. “Dopo tante ragazze non ci sarebbe dispiaciuto un maschio, giusto per cambiare, ma la cosa più importante è che i figli siano tutti sani”, spiega la coppia che oggi vive in Tbilisi.
Medici, esperti, nonché attivisti per i diritti delle donne sono cauti nell’analisi del problema, perché, dicono, ecografia e aborto non sono che due pezzi di un mosaico complesso. La tecnologia è disponibile anche in Ucraina e altre repubbliche dell’ex spazio sovietico dove però il rapporto maschi/femmine alla nascita non è cambiato – alcune aree del Caucaso del nord e in Turchia hanno registrato un leggero squilibrio, ma è nel Caucaso meridionale che il fenomeno è più marcato.
“Collegare la disparità tra i sessi direttamente all’aborto è molto rischioso, può scatenare reazioni anti abortiste dagli effetti pericolosi,” spiega Lela Bakradze, rappresentante UNFPA in Georgia. “L’aborto è una procedura medica, non uno strumento di pianificazione familiare e ha implicazioni rilevanti in termini di diritti umani".
Meglio un maschio
Per un paese che politicamente guarda a ovest, la Georgia rimane una società fortemente tradizionale e patriarcale dove le coppie, rigorosamente sposate, sono sotto costante pressione per dare alla luce figli maschi: è un’affermazione di virilità per i padri, una garanzia per il nome della famiglia, e una certezza di sostegno per i genitori una volta anziani.
“C’è un pregiudizio latente, spesso non dichiarato, verso le femmine. Genitori, suoceri, e parenti tutti vogliono l’erede maschio,” continua Bakradze.
Alle profonde radici patriarcali si aggiunge la storia recente ad aprire un vaso di Pandora, rimasto chiuso e sotto pressione in epoca sovietica. Nei vorticosi anni Novanta, al disgregarsi del disegno comunista, il nucleo famigliare divenne l’unico punto di riferimento mentre intorno tutto cadeva a pezzi – l’assenza di un figlio maschio che sostenesse la famiglia significava essere più vulnerabili agli shock politici, sociali ed economici che Georgia, insieme con Armenia e Azerbaijan, visse alla conquista dell’agognata indipendenza.
Inesorabilmente i figli maschi cominciarono ad aumentare, le femmine a diminuire. Per Christophe Guilmoto, ricercatore in demografia presso l’Istituto francese di ricerca per lo sviluppo e autore del rapporto UNFPA, “dopo la nascita di femmine, [le coppie usano] l’aborto selettivo come strumento per battere le probabilità biologiche [di avere femmine]. I potenziali genitori, scrive, “cercano di rispondere al desiderio di un [figlio maschio] senza aumentare le dimensioni della famiglia.”
La distorsione aumenta con il secondo o terzo figlio – circa un terzo delle coppie affronta una terza gravidanza nella speranza che arrivi il benedetto maschio.
Ma le voci dei padri che danno valore alle figlie femmine cominciano a farsi sentire. E sono autorevoli.
“Negli ultimi 25 anni ho incontrato molte coppie pronte a interrompere una gravidanza perché in attesa di una femmina,” racconta Giorgi Ugrekhelidze, arciprete a Tbilisi, nonché padre di tre femmine e nonno di due. “Nella maggior parte dei casi sono gli uomini a spingere le mogli a prendere questa decisione. Credo però che il vento stia cambiando, comincia ad esserci un dibattito pubblico intorno al problema, parlarne non può che essere positivo.”
Vietare o educare?
Organizzazioni internazionali, come il Consiglio d’Europa che nel 2011 commissionò un rapporto sul fenomeno, e associazioni no-profit hanno a più riprese chiesto al governo di adottare politiche rilevanti. Nel 2013 alcuni legislatori georgiani hanno ventilato la possibilità di vietare il test prenatale che identifica il sesso del feto, mentre i gruppi conservatori, sostenuti dalla potente Chiesa ortodossa, hanno cavalcato l’onda e chiesto l’abolizione in toto dell’aborto.
Eppure i dati dimostrano che solo una parte degli aborti praticati in Georgia si basano sulla selezione del sesso, senza contare che l’esperienza asiatica, soprattutto quella cinese, dimostra che vietare non risolve il problema, ma lo complica perché spinge le coppie a cercare una soluzione con aborti clandestini.
“L’aborto è solo uno strumento non la ragione e deve poter rimanere accessibile per quelle donne che ne hanno bisogno per diversi motivi. L’obiettivo vero deve essere quello di diffondere l’utilizzo di moderni metodi di contraccezione,” sottolinea Bakradze.
Nella religiosissima Georgia, è più facile a dirsi che a farsi. È opinione ancora diffusa che i metodi contraccettivi limitino la fertilità e le associazioni sanitarie si muovono costantemente su un campo minato, promuovendo la pianificazione familiare – che la Chiesa condanna – come mezzo per limitare l’aborto – pratica che la Chiesa condanna ancora di più. Nel suo discorso di Pasqua nel 2013 il patriarca Ilia II, di gran lunga la figura più rispettata nel paese, ha definito l’interruzione di gravidanza “un orribile delitto di creature innocenti che non possono difendersi. E il dottore partecipa a questo delitto.”
Eppure, fino alla metà degli anni 2000 la Georgia aveva un tasso di aborto tra i più alti in Europa. Nel 2005 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha segnalato nel paese una media di 19,1 aborti ogni 1.000 donne in età riproduttiva – il che significa che ogni donna affrontava 3,1 aborti nel corso della sua vita.
La tendenza sta però rallentando e l’ultimo studio sulla salute riproduttiva del 2010 mostra che si è scesi a 1,6 aborti per donna. Il miglioramento delle condizioni di vita così come una progressiva rivoluzione mentale sono per Bakhradze le ragioni principali perché “l’educazione è l’unica soluzione a lungo termine.”
“La visione di figli come pilastro della famiglia non riflette più la realtà sociale della Georgia di oggi,” osserva Bakhradze . “Le donne sono diventate più indipendenti, sia socialmente che economicamente, spesso sono loro i capifamiglia, loro a sostenere i genitori, i loro e quelli del marito. L’idea che sia l’uomo a sostenere la famiglia è ormai anacronistica.”
Gvenetadze è d’accordo. Ottimista per natura, il medico-pittore è convinto che i tempi stiano cambiando, lentamente ma inesorabilmente. “Oggi chi si rivolge a me desidera un figlio, che sia maschio o femmina ha sempre meno importanza.”