Il quarto potere in Croazia
Sullo sfondo dello scandalo del colosso agroalimentare croato Agrokor, il portale H-Alter indaga sui rapporti tra politica, media e affari in Croazia
(Originariamente pubblicato da H-Alter , media partner del progetto ECPMF)
In Croazia l’argomento di cui si è parlato di più nel mese di marzo è stata la crisi di Agrokor, l’impero agroalimentare e commerciale di Ivica Todorić. Il fatto che l’opinione pubblica croata fino all’ultimo momento non fosse al corrente del declino di questo colosso che impiega circa 60mila persone, pur trattandosi di un argomento di primario interesse pubblico, la dice lunga sullo stato di salute del giornalismo in Croazia e, indirettamente, sullo stato della democrazia e dell’indipendenza nazionale.
Lo sconvolgimento generale è avvenuto soltanto con la decisione dei potenti creditori internazionali di rivelare pubblicamente il debito di Agrokor. Al contempo, però, quel lato dell’affaire Todorić che riguarda ingenti trasferimenti di risorse pubbliche alla sua multinazionale e, più in generale, il ruolo dello stato nella costruzione del suo impero privato, nonché la provenienza stessa del suo patrimonio, rimane per lo più in ombra, mentre ad essere sistematicamente spinto in primo piano è l’imperativo di salvare il colosso agroalimentare.
A questo punto è lecito chiedersi come mai in tutti questi anni Todorić sia stato pressoché assente dai media croati. Tale domanda è stata sollecitata già un anno e mezzo fa nel corso di un’intervista rilasciata a H-Alter da Viktorija Car, docente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Zagabria e analista dei media. “Dobbiamo chiederci: cos’è ciò che è assente dai media? Ad esempio, sui media mainstream croati non vi è traccia di Todorić e Agrokor. Persino le ultime generazioni di studenti mi chiedono chi sia questo Todorić, se esista davvero, se si tratti di un personaggio fittizio o reale. Loro semplicemente non hanno mai l’occasione di vederlo sui media, eppure si tratta dell’imprenditore più influente del paese”.
La risposta di questa politologa è la seguente: i media non riflettono la realtà, ma piuttosto la costruiscono, sempre su spinta di qualcuno. L’unica domanda è chi sia questo qualcuno – un giornalista, un caporedattore o il proprietario dei media; quali siano i suoi criteri valoriali, la sua idea del ruolo del giornalismo e le sue reali intenzioni. “Per quanto riguarda l’affermazione che i media trasmettono l’immagine della realtà, deve essere chiaro che si tratta sempre di una costruzione mediatica della realtà. Sono i caporedattori e i giornalisti a decidere la scelta dei contenuti, l’ottica in cui inquadrarli, il linguaggio con cui trasmetterli”.
TVZ1
La crisi finanziaria di Agrokor ha fatto passare in secondo piano, almeno per un attimo, il panico provocato dall’offensiva che l’estrema destra croata sta conducendo contro i media, le istituzioni culturali, giornalisti, intellettuali, artisti. Il simbolo mediatico n.1 di questo assalto della destra, ancora in corso, è senza dubbio Velimir Bujanec, autore e conduttore di un programma televisivo intitolato Bujica (Corrente) che ospita regolarmente i più ottusi tra i filo-ustascia.
Lo show consiste in una chiacchiera banale, in cui le domande e risposte non sono che ripetizioni dello stesso ritornello, tale da far diventare prominenti antifascisti, attivisti per i diritti umani e politici appartenenti alla minoranza serba bersaglio di una spaventosa violenza verbale. È da qualche anno che questo programma viene trasmesso su Tv Z1, un’emittente locale di Zagabria, generosamente finanziata dalle autorità cittadine. Fino alla fine dello scorso anno, su questa stessa emittente andava in onda un altro programma simile, intitolato Markov trg (la Piazza di Marco), ideato e condotto da Marko Jurič, gemello ideologico-politico di Bujanec. Questo programma ha finito per essere cancellato dal palinsesto dopo che il suo autore, per l’ennesima volta, aveva diffuso falsità sulla Chiesa ortodossa serba in Croazia, definendola un focolaio di idee cetniche e salutando ospiti e spettatori con il saluto ustascia.
Oltre a questi due programmi, Bujica e Markov trg, un altro marchio di fabbrica della Tv Z1 sono le trasmissioni incentrate sull’operato delle autorità locali, anch’esse realizzate come conversazioni in studio, dove vengono ospitati alti funzionari locali, tutti membri del “partito di lavoro e solidarietà”, come si autodefinisce il partito Bandić Milan 365, il cui presidente a vita è l’attuale sindaco di Zagabria Milan Bandić. Il clientelismo è il filo conduttore della politica di Bandić, ex membro del Partito socialdemocratico (SDP), che è stato più volte arrestato e indagato per corruzione, ma mai messo sotto processo né tanto meno condannato.
Quindi, un buon giornalista avrebbe molte domande da porgli, così come ai suoi più stretti collaboratori. Eppure, le trasmissioni su Tv Z1 che li vedono protagonisti sono caratterizzate da dialoghi privi di qualsiasi elemento di conflittualità, il cui unico obiettivo è quello di promuovere progetti comunali, di cui alcuni totalmente insensati, per la cui realizzazione i potenti locali impegnano ingenti risorse pubbliche, ricevendo provvigioni il cui ammontare probabilmente non verrà mai reso pubblico.
Nel Registro delle emittenti televisive, gestito dall’Agenzia per i media elettronici, come responsabile di Z1 Televisione Srl risulta una certa Ana Krivić, il cui nome è ancora oggi praticamente sconosciuto all’opinione pubblica, così come lo era nel 2013 quando questa emittente le è stata “regalata” dall’allora proprietario Slobodan Ljubičić Kikaš. Proprio quest’ultimo è stato il cervello finanziario dello stato nello stato di Bandić: per anni è rimasto alla guida di Zagreb Holding, società ombrello che raggruppa tutte le aziende pubbliche operanti sul territorio della capitale, occupando circa 13mila dipendenti. Ed è stato sempre lui a finire, due anni e mezzo fa, in carcere insieme a Bandić.
La caporedattrice della televisione Z1 è Maja Šudić, ex giornalista di Radio 101, che quelli che hanno una buona memoria ricordano per un’intervista realizzata nel 2006 con Rade Dragojević, l’allora segretario dell’Associazione culturale serba Prosvjeta, in occasione delle Giornate della cultura serba tenutesi a Zagabria. La Šudić aveva montato quell’intervista in modo tale da intrecciare le risposte di Dragojević con le presunte dichiarazioni dei sopravvissuti al massacro di Ovčara, oltre che con quelle dei suoi responsabili, aggiungendo urla adeguate e altri effetti sonori, al fine di suggerire che Dragojević, Prosvjeta e la cultura serba come tale sono ontologicamente predisposti a compiere crimini di guerra. Reagendo con una lettera aperta, un gruppo di ormai ex giornaliste e giornalisti di Radio 101 ha definito il gesto della Šudić come “un montaggio in stile goebbelsiano” e “un esempio da antologia, politicamente, eticamente e professionalmente parlando, del peggior ciarpame mediatico”.
Agenzia per i media elettronici
All’inizio del mese di marzo, H-Alter ha richiesto, appellandosi alla legge sull’Accesso all’informazione pubblica, di prendere visione di tutti i contratti di finanziamento stipulati dal Comune di Zagabria con la Tv Z1 fin dalla sua istituzione. In linea con l’ormai consueta prassi dell’amministrazione comunale, le informazioni richieste non ci sono state fornite, per cui cercheremo di ottenerle con mezzi legali. Nel frattempo, navigando tra le pagine del sito ufficiale del Comune di Zagabria, abbiamo potuto constatare che solo nel 2016 la Tv Z1 ha ottenuto, in una gara d’appalto per il finanziamento di contenuti audiovisivi, all’incirca 2 milioni di kune (circa 270.000 euro), una somma ben superiore a quelle assegnate ad altre dieci emittenti televisive e radiofoniche risultate vincitrici dello stesso concorso. L’importo medio dei finanziamenti erogati si aggirava, infatti, intorno a poco meno di 800mila kune. Vi è inoltre da aggiungere che il sindaco Bandić è propenso a stipulare contratti di finanziamento prescindendo da procedure di gara, e sono in molti ad approfittarne, compresi alcuni media. Per cui non è da escludere a priori la possibilità che Krivić, Šudić, Bujanec e compagnia abbiano ricevuto da quell’indirizzo qualche “aiuto d’urgenza” sfuggito ai radar, né che sia ancora Kikaš a gestire dall’ombra l’intero progetto denominato Z1.
Gli indizi sull’esistenza di un legame segreto tra i proprietari dei media elettronici e le strutture di potere ogni tanto vengono a galla, com’è successo nel 2013 grazie ad un’iniziativa di H-Alter tesa a sollecitare l’Agenzia per i media elettronici (AEM) a pubblicare i contratti di concessione per la diffusione di programmi delle emittenti televisive a copertura nazionale. Fino ad allora, l’AEM si rifiutava sistematicamente di renderli pubblici, ritenendo che l’interesse dei proprietari dei media a proteggere i propri “segreti commerciali” fosse più importante dell’interesse dei cittadini a essere a conoscenza della natura dei contratti stipulati in loro nome nonché del grado di rispetto dei termini contrattuali.
Alla fine, l’organo competente a tutelare il diritto all’accesso alle informazioni pubbliche, all’epoca l’Agenzia per la protezione dei dati personali, ha preso posizione a favore dell’iniziativa di H-Alter, ordinando che i contratti in questione venissero pubblicati. Ed è emerso che gli scostamenti dai termini contrattuali erano davvero drammatici. Tutto ciò non ha impedito ai deputati del Parlamento croato di approvare con voto unanime il rapporto annuale dell’AEM, esattamente come avevano fatto negli anni precedenti, dimostrando che, per ovvie ragioni, tengono di più agli interessi dei proprietari dei media piuttosto che a quelli di coloro grazie ai quali sono entrati in parlamento.
Il proprietario ideale?
Come dovrebbe essere il proprietario ideale dei media, colui che, in nome della professionalità, etica e dell’indipendenza, rischierebbe di entrare in conflitto con l’imprenditore più potente del paese e proprietario della più grande catena distributiva della carta stampata? Colui che, in nome di quegli stessi valori, rinuncerebbe ai milioni provenienti dalle casse comunali che avrebbero potuto garantirgli sopravvivenza e profitto? Colui che, guidato dall’entusiasmo per il giornalismo, non si immischierebbe nel lavoro di redazione impiegando redattori disposti a soddisfare i suoi desideri imprenditoriali? Colui per il quale la responsabilità di trasmettere informazioni di interesse pubblico sta al di sopra del guadagno personale?
Nemmeno Charles Foster Kane riuscì a persistere a lungo in tale ruolo, pur avendolo fortemente voluto all’inizio del film. All’inizio del proprio “film” lo ha voluto anche Nino Pavić, che negli anni Settanta faceva parte della redazione del mitico settimanale Polet, per poi diventare, negli anni Novanta, fondatore dell’Europapress Holding, oggi il più grande gruppo editoriale del paese (recentemente diventato Hansa Media), guadagnando il suo “primo milione” durante gli anni della guerra, quando scriveva articoli guerrafondai sul settimanale Globus. Tra le pubblicazioni di Europapress Holding di proprietà dell’ex giornalista Pavić e le pubblicazioni di Hansa Media di proprietà di Marijan Hanžeković, che si è occupato di giornalismo solo in qualità di avvocato della Radiotelevisione croata (HRT) incaricato alla riscossione del canone, non vi è alcuna differenza sostanziale.
Si è inoltre verificato che nemmeno la natura giuridica di un media è necessariamente determinante per la realizzazione dell’interesse pubblico. Un media appartenente al “primo settore” (quello pubblico) nell’arco di pochi mesi, a causa del cambio al vertice dello stato, può vedersi trasformato da gradito in sgradito, e la HRT ne è l’esempio migliore. Il cosiddetto “secondo settore”, che in linea di massima dovrebbe essere orientato al profitto, ha partorito alcuni dei migliori prodotti del giornalismo croato – sono infatti stati registrati come società commerciali sia il Feral Tribune, comunemente considerato un bastione dell’informazione libera, sia Arkzin, rivista ufficiale della Campagna croata contro la guerra, spesso considerato precursore degli odierni media non-profit.
D’altra parte, alcuni giornalisti, pur essendo proprietari dei media appartenenti al cosiddetto “terzo settore”, non esitavano a fornire servizi di relazioni pubbliche a certi politici né a sbrigare affari sporchi quando si trattava di orchestrare un preludio mediatico alle restrittive “politiche sui media” propugnate dalla destra croata, facilitandone la messa in atto.
La lotta per un’informazione vera, così come la lotta per preservare o far progredire la democrazia, sarà sempre esattamente questo: una lotta, un processo dinamico. Da una parte del campo di battaglia possiamo aspettarci di vedere coloro che, per vari motivi, desiderano manipolare l’opinione pubblica, mentre dalla parte opposta dovrebbero stare coloro la cui principale preoccupazione è l’interesse pubblico, che è intrinsecamente legato al senso stesso della professione giornalistica: alcuni giornalisti e giornaliste, associazioni di categoria, organizzazioni di società civile, magari anche alcuni partiti e alcune istituzioni dello stato, purché siano rimasti immuni dal clientelismo politico.
La posta in gioco di questa lotta è enorme, perché chi detiene il potere sull’informazione governa davvero lo stato e la società. E gli standard raggiunti nel campo dell’informazione pubblica non sono mai irreversibili. Per cominciare, è importante sapere chi sta davvero dietro ai media, perché ciò potrebbe essere la chiave di “lettura” di quanto scritto e detto.
Il Piano d’azione Open Government Partnership, approvato dal governo di centrosinistra (SDP/HNS) per il biennio 2014-2016, prevedeva, tra l’altro, una serie di misure tese ad aumentare la trasparenza dei media, compresi i loro assetti proprietari.
Stando alla posizione del governo, dimostratasi purtroppo meramente dichiarativa, era necessario migliorare il quadro normativo in materia di trasparenza e indipendenza dei media, in primis modificando la legge sui media attraverso l’introduzione di nuove norme volte a tutelare i giornalisti che decidono di segnalare episodi di censura avvenuti all’interno della propria redazione; definire presupposti del rapporto tra concessionarie di pubblicità e mezzi di comunicazione; assicurare la trasparenza dei dati relativi ai proprietari dei media, anche quando si tratta di persone fisiche; sancire l’obbligo, spettante ai media, di rendere trasparenti i loro rendiconti finanziari annuali nonché di pubblicare e rendere facilmente accessibili determinate informazioni, comprese quelle riguardanti “la struttura dell’assetto proprietario, con eventuali quote di partecipazione/legami in altre aziende mediatiche e non solo (ad esempio comproprietà, legami personali e familiari, incarichi nei partiti politici), ricavi derivanti da attività svolte, regolamento della redazione, recapiti di contatto”.
In aggiunta a queste misure, ci si proponeva di modificare il quadro normativo esistente in modo da facilitare l’iter decisionale relativo all’erogazione di sovvenzioni e agevolazioni pubbliche a determinati media. A tal fine, il Piano d’azione prevedeva una serie di modifiche da apportare alle legislazione pertinente (legge sui media, legge sui media elettronici, legge sull’imposta sul valore aggiunto, ecc.).
Oltre a ciò, era prevista, sempre in riferimento ai media elettronici, l’istituzione dell’obbligo giuridico di pubblicare tempestivamente sul proprio sito web informazioni complete e veritiere concernenti la sintesi del programma, gli obblighi del concessionario, l’area di servizio e di copertura, lo schema di programmazione, il palinsesto giornaliero e settimanale, il contratto di rete tra concessionari, nome del direttore responsabile, informazioni di contatto e/o formulario di feedback. Infine, il Piano d’azione prevedeva che l’Agenzia per i media elettronici fosse responsabile per la pubblicazione di contratti di concessione aventi ad oggetto la fornitura di servizi di media audiovisivi e radiofonici, compresa tutta la documentazione presentata per la partecipazione alla gara d’appalto.
In un rapporto indipendente sul progresso compiuto dalla Croazia nell’attuazione degli obiettivi dell’Open Government Partnership, pubblicato all’inizio del 2016, si precisa che, per quanto riguarda il miglioramento del quadro normativo in materia di trasparenza, il governo di Zoran Milanović non ha compiuto alcun passo avanti. In altre parole, “non si è nemmeno iniziato” ad attuare gli obblighi assunti. L’unico “quasi-progresso” ha riguardato la pubblicazione, da parte dell’Agenzia per i media elettronici, della maggior parte dei contratti di concessioni per la fornitura di servizi di media audiovisivi e radiofonici (e ciò in buona parte grazie alla sopracitata iniziativa di H-Alter).
Per quanto riguarda l’impegno a garantire la trasparenza degli assetti proprietari dei media, i due esecutivi susseguitisi alla caduta del governo Milanović, entrambi nati dalla coalizione tra HDZ e Most, si sono dimostrati ancora meno efficienti, tant’è che il Piano d’azione per l’attuazione dell’Open Government Partnership per il biennio 2016-2018 non è stato nemmeno presentato.
Conversazione con Saša Paparella, autore del libro Gazda (Centro croato per il giornalismo investigativo e la libertà dei media, Zagabria, 2016), dal quale è stato tratto l’omonimo documentario su Ivica Todorić e Agrokor
In Croazia, dove i tentativi giornalistici di indagare il “fenomeno” Todorić sono stati decisamente pochi, il suo libro, così come il film che ne è seguito, rappresentano un’eccezione. Qual è stata la ricezione del libro e del film nei media mainstream croati?
Alla vigilia della prima del film, tenutasi nell’estate scorsa, ne hanno scritto per primi i critici cinematografici di Jutarnji list. Queste recensioni sono state pubblicate senza alcun problema, ma poi a un certo momento qualche censore si è accorto di quello che è successo, oppure qualcuno da Agrokor ha chiamato la redazione, ed è sparito tutto dal portale di Jutarnji. Successivamente, il settimanale Nacional ha dedicato al film la copertina e altre sei-sette pagine di un suo numero, facendo sì che anche altri media si sentissero incoraggiati. Lo sbarco definitivo sui media mainstream è avvenuto con la partecipazione del regista del film Dario Juričan a un programma televisivo molto seguito intitolato Nedjeljom u 2.
Alla fine del 2016, l’autore e conduttore di questo programma Aleksandar Stanković ha invitato Juričan a partecipare all’ultima puntata dell’anno, pensata per riunire gli ospiti più interessanti. Purtroppo, i vertici della HRT hanno dimostrato di non possedere un simile coraggio, per cui, a dispetto di una petizione sottoscritta da alcuni sindacati ed associazioni, intitolata Gazdu na HTV-u, le possibilità che questo film venga trasmesso dall’emittente pubblica sono minime. Per fortuna, ciò non ci ha colti impreparati. Mentre lavoravamo al film abbiamo chiesto qualche consiglio a Stefano Tealdi, produttore cinematografico italiano che a suo tempo fece un documentario su Silvio Berlusconi che nessuna emittente italiana voleva trasmettere, sicché alla fine è andato in onda su un canale svizzero in lingua italiana.
Quanto al libro Gazda, ancora non è stato oggetto di alcuna recensione ed è possibile acquistarlo in pochi luoghi: al cinema Europa di Zagabria dove si è tenuta la prima del film, tramite un negozio online e in una piccola catena di librerie. Ed è per questo che molti dei potenziali lettori, soprattutto quelli poco propensi ad utilizzare i social network, non sanno nemmeno che il libro esista.
In un’intervista rilasciata a H-Alter, Viktorija Car sosteneva che Todorić fosse presente sui media croati in tutta la sua invisibilità. È d’accordo con questa constatazione? Come commenta il fatto che l’imprenditore più potente del paese goda di un tale trattamento?
Ho letto quella intervista e spesso, quando invitano Dario e me ad assistere alle prime proiezioni di Gazda in diverse città croate per raccontare al pubblico quello che non siamo riusciti a far stare nel film e che potrebbe essere interessante, cito quell’esempio menzionato dalla Car su come gli studenti pensano che Ivica Todorić nemmeno esista, è come se il più grande imprenditore croato fosse diventato quasi una creatura mitica.
E mentre molte delle odierne celebrities investono tutte le loro risorse per diventare visibili, Ivica Todorić è disposto ad andare oltre, pur di rimanere invisibile. Dopotutto, è un uomo che opera nell’ombra – non si immischia apertamente in politica, ma lontano dai riflettori corrompe i partiti politici. Non esprime pubblicamente il proprio parere sulla politica economica nazionale, ma spinge affinché i suoi manager, o almeno i loro coniugi, entrino nel governo, nella Banca centrale e nell’Antitrust. Oltre a ciò, non è un uomo particolarmente eloquente e tende a rispondere frettolosamente alle domande, com’è accaduto nel 2000 quando, pur essendo ormai il più ricco imprenditore croato, aveva rilasciato al quotidiano Vjesnik una dichiarazione incredibile: “Se io non avessi uno stipendio, se mio figlio e mia figlia non lavorassero e se mio papà non ricevesse la pensione, difficilmente, visti i tempi odierni, riuscirei ad arrivare a fine mese”. Dopo questa sortita, si è circondato da esperti di pubbliche relazioni, che hanno formato una scudo umano intorno a lui.
Quanto questa invisibilità di Todorić ha a che fare con gli assetti proprietari dei media mainstream?
In una situazione in cui i giornali non possono più vivere esclusivamente dalla vendita delle copie, la loro sopravvivenza dipende dalla vendita degli spazi pubblicitari, e allora è chiaro quanta influenza ha su di essi il più grande inserzionista del paese. La posizione di Todorić è rafforzata anche dal fatto che il suo colosso Agrokor gestisce Tisak, la più grande catena di edicole in Croazia. Per quanto Todorić eviti i giornalisti, alla fine di ogni anno organizza un pranzo in cima alla sua torre, per radunare caporedattori e rappresentanti dei proprietari delle più grandi aziende mediatiche del paese, ed è probabilmente in quelle occasioni che, tra due bocconi, si decidono le politiche editoriali dei media croati.
E la direttrice del marketing di Agrokor è figlia di Todorić, giusto perché nulla venga lasciato al caso. Questo modus operandi ha fatto sì che i media (soprattutto quelli cartacei) diventassero sempre più dipendenti dalle grosse aziende e dalle loro inserzioni, dal momento che i lettori, rendendosi conto di quanta vigliaccheria vi fosse nell’evitare di trattare temi scabrosi riguardanti Agrokor, hanno perso fiducia nei giornali, smettendo di comprarli.
Tenendo conto del recente cambio di proprietà avvenuto in seno al più grande gruppo editoriale croato, è probabile che anche Agrokor cambi la propria strategia pubblicitaria, sicché potrebbe facilmente accadere che i media mainstream, dopo essere rimasti senza pubblico, rimangano anche senza ricavi pubblicitari.
Cosa ne pensa del modo in cui adesso, dopo l’esplosione della notizia sui debiti di Agrokor em>, i media croati parlano di Todorić?
Da quando è scoppiata la bolla di vetro che avvolgeva Agrokor, i quotidiani croati pubblicano decine di notizie su questa multinazionale e il suo proprietario. Peccato che lo facciano solo adesso, perché se avessero cominciato a farlo prima, ora non ci si troverebbe di fronte a tutti questi scheletri all’improvviso saltati fuori dall’armadio, per non parlare del fatto che il commercio al dettaglio, l’agricoltura, i media e diversi altri settori dell’economia croata legati ad Agrokor poggerebbero su fondamenta più sane. Alcuni media sono talmente ipocriti che ora si occupano del modo in cui Todorić aveva privatizzato alcune imprese pubbliche, nonostante si tratti di fatti che risalgono a più di vent’anni fa. Tuttavia, non tutti vanno così lontano – alcuni media continuano a parlare dei problemi di Agrokor in maniera molto superficiale, senza dare giusto risalto alle responsabilità della famiglia Todorić e dei suoi manager, per lo più amici di famiglia. Perché non si sa mai che il fondatore di Agrokor possa raddrizzarsi all’ultimo momento e tornare a guidare il suo colosso aziendale.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto