Turchia, il processo ai giornalisti di Cumhuriyet

Partito a Istanbul il processo a giornalisti e amministratori del quotidiano Cumhuriyet, accusati di t[]ismo. Le voci dall’aula nel dibattimento simbolo del preoccupante rapporto tra giornalismo e potere in Turchia

27/07/2017, Dimitri Bettoni - Istanbul

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Disegni fatti nell'aula del tribunale durante li processo © Murat Başol

Iniziato il 24 luglio scorso, il processo ai giornalisti e membri esecutivi del quotidiano Cumhuriyet è il caso giudiziario per eccellenza, emblematico di quanto siano tesi e foschi i rapporti tra giornalismo e potere nella Turchia di oggi.

I 17 tra giornalisti e amministratori coinvolti hanno atteso in carcere per nove mesi l’avvio del processo, tempo che è stato definito dagli accusati stessi una punizione prima del verdetto di colpevolezza.

Le accuse a carico degli imputati sono per tutti di sostegno ad organizzazioni t[]istiche armate senza esserne membri effettivi, mentre per alcuni è stato ipotizzato il reato di associazione e gestione di organizzazione t[]istica.

Nel dettaglio, il giornale e la fondazione Yenigün, che lo finanzia e ne possiede il marchio, sono accusati di aver illegalmente modificato la linea editoriale allo scopo fare propaganda per alcune organizzazioni t[]istiche, oltre ad averle finanziate. Queste sono il Pkk (sigla del partito armato dei lavoratori del Kurdistan), il Pyd (l’organizzazione politica dei curdi siriani vicina al Pkk), il Dhkp-c (sigla del gruppo armato di sinistra leninista) e Fetö (acronimo coniato dal governo per indicare la rete dell’imam Gülen, accusato del tentato golpe). Difficile accomunarle tutte sullo stesso piano, ma nell’atto d’accusa sono frequentemente citate insieme ed indifferentemente. Questo perché il governo vede in esse uno scopo comune: la distruzione dello stato e del governo turchi.

Indicativa la testimonianza di Mustafa Kemal Güngör, avvocato e membro del consiglio d’amministrazione della fondazione Yenigün: “Quando sono stato condotto in prigione per la prima volta, la guardia alla registrazione mi ha chiesto perché mi trovassi lì. Ho risposto Fetö e Pkk. Mi guardò con incredulità: “Entrambe?”. Alla fine nel verbale scrisse soltanto Fetö”.

Giornalismo o t[]ismo

L’accusa di aver modificato la linea editoriale a scopi t[]istici è il cuore del processo. Secondo l’accusa, a questo scopo sarebbe stato eletto alla direzione del giornale Can Dündar, dopo che la composizione del board esecutivo della fondazione sarebbe stata forzosamente modificata attraverso l’estromissione di consiglieri sgraditi. Il consiglio d’amministrazione della fondazione Yenigün avrebbe in tal senso giocato un ruolo chiave.

Uno dei nomi allontanati sarebbe quello di Mustafa Balbay. La difesa sostiene che secondo lo statuto del giornale non è possibile essere candidato politico e contemporaneamente parte del consiglio d’amministrazione, quindi dopo una votazione Balbay sarebbe stato allontanato dall’incarico. Balbay si era infatti candidato nelle fila del partito repubblicano CHP.

L’allontanamento è visto dall’accusa come segno di manipolazione della linea editoriale del giornale. Balbay ha in seguito twittato che “A Cumhuriyet si può essere Fetö o Pkk, ma non parlamentari CHP”. Il tweet è stato usato come prova d’accusa. Eppure la firma di Balbay risulterebbe tra quelle che hanno aperto le porte a Dündar alla direzione del giornale.

Anche Güray Öz, giornalista, è accusato di aver influito su questa votazione. Eppure sostiene: “Non ero nemmeno presente nel consiglio quando Balbay è stato allontanato”.

Disegni fatti nell'aula del tribunale durante li processo © Murat Başol

Disegni fatti nell’aula del tribunale durante li processo © Murat Başol

Kadri Gürsel, giornalista tra gli accusati, dice che “Vengo accusato di essere parte del consiglio di amministrazione, ma io sono soltanto un consulente e non ho mai avuto alcun incarico decisionale, contrariamente a quanto dice l’atto d’accusa”.

La testimonianza di Akin Atalay, tra i fondatori, aggiunge dettagli sulle elezioni contestate: “Nelle elezioni del consiglio di amministrazione, l’accusa sostiene che se un candidato risultato sconfitto fosse stato eletto, avrebbe impedito la pubblicazione di articoli pro-t[]ismo. Quest’accusa è l’unica giustificazione per cui ci troviamo qui oggi, altrimenti questa faccenda sarebbe competenza di un tribunale amministrativo. I procuratori hanno temuto che se non avessero aggiunto quest’accusa di t[]ismo ai capi d’imputazione, sarebbero stati loro stessi etichettati come sostenitori di Fetö”.

Giornalismo d’accusa e giornalismo sotto accusa

La modifica della linea editoriale avrebbe quindi portato alla pubblicazione di articoli volti a mettere in cattiva luce il governo e facilitare la propaganda delle organizzazioni t[]istiche.

Il giornalista Mehmet Sabuncu si difende: “Sono accusato attraverso i miei articoli di aver dato sostegno mediatico allo scandalo corruzione del 17 dicembre [del 2013 e che coinvolse ministri del governo e sfiorò anche Erdoğan e la sua famiglia, nda]. Sono un giornalista, come avrei potuto evitare di scriverne? Anzi, se al giornalismo fosse stato concesso di indagare adeguatamente su quel caso, forse la situazione odierna in Turchia sarebbe assai diversa”.

“Un mio articolo del 31 luglio 2015 titolato ‘Guerra in patria, guerra nel mondo’ [citazione del motto kemalista, ‘Pace in patria, pace nel mondo’ nda] viene indicato come prova. Ma nell’atto di accusa si specifica che i piani del golpe sono stati preparati il 9 novembre dello stesso anno. Eravamo quindi in anticipo rispetto ai golpisti?”.

E ancora “Un altro mio articolo è titolato ‘Pericolo nelle strade’ ed è additato dall’accusa come un tentativo di polarizzare la società, incitando all’odio. Eppure il procuratore non si è nemmeno degnato di leggere le prime due righe del testo, dove invito all’attenzione contro atti provocatori in un momento in cui la gente è in strada per difendere la democrazia. Giornali come Star [vicino al governo, nda] sono usciti con titoli identici ai nostri, eppure non risulta siano perseguiti per essi come Cumhuriyet”, conclude Sabuncu.

“Mi trovo qui perché sono rimasto fedele ai principi del giornalismo, ho denunciato Fetö e la sua alleanza con il governo, al quale avevo persino esposto il pericolo nel cooperare con una simile organizzazione. Le mie previsioni si sono avverate”, precisa Kadri Gürsel.

Molti dei difensori hanno lamentato come l’impianto accusatorio sia costruito attraverso l’ausilio di articoli ed editoriali di giornali noti per essere vicini alle posizioni del governo. Questo, unito al fatto che chiamati in causa sono articoli, titoli e tweet dei giornalisti di Cumhuriyet, ha reso “tutto ciò un processo al giornalismo stesso”, come sostenuto dall’avvocato della difesa Fiket Filiz.

Le accuse di affiliazione e l’applicazione Bylock

Giornalisti e membri esecutivi di Cumhuriyet avrebbero intrapreso tutto questo perché affiliati con le organizzazioni t[]istiche. In particolare i rapporti personali con altri membri della rete Gülenista e l’utilizzo dell’applicazione per smartphone Bylock, che le autorità ritengono usata per un certo tempo dalla rete per coordinarsi, costituiscono l’impianto centrale dell’accusa.

Ma Kadri Gürsel non ci sta e ribatte: “Sono stato accusato di essere un t[]ista perché ho ricevuto messaggi da persone che avevano utilizzato Bylock. Non ho mai risposto a nessuno di questi contatti. La comunicazione unidirezionale non può essere utilizzata come prova di corrispondenza. Se i procuratori non hanno valutato l’inconsistenza di queste prove hanno fallito nel loro dovere. Se l’hanno recepita eppure insistono con le loro accuse, significa che stanno abusando della loro posizione”.

“Sono stato accusato di avere contatti con 13 presunti membri dell’organizzazione su un totale stimato di 215.092 presunti utilizzatori di Bylock. Sono un giornalista, godo della libertà di contattare ogni fonte di notizia”, ribadisce Mehmet Sabuncu.

“Come si può sapere se qualcuno che ti contatta ha installato o meno Bylock sul proprio telefono?” chiede retoricamente Mustafa Kemal Güngör. “Non ricordo molto di questi messaggi scambiati, ma se il procuratore li considera criminali è lui che deve darne dimostrazione”.

Oltretutto, secondo le autorità ci sarebbero ancora migliaia di comunicazioni sospette collegate a Bylock in attesa di essere decriptate.

Bülent Utku ritiene che “Di conseguenza chiunque di noi potrebbe aver avuto contatti telefonici con un utilizzatore, eppure tuttora non sono certi e stabiliti i criteri legali per cui gli utilizzatori di Bylock sono considerati criminali. Com’è possibile difendersi efficacemente da questo genere di accuse?”.

Güray Öz replica sconsolato: “La telefonata con cui vengo collegato a Fetö è una chiamata ad un ristorante di Ankara per ordinare del cibo”.

Akın Atalay declina secondo la sua visione la situazione processuale in un quadro inquietante: “Questo caso è stato montato non su prove, ma sul disperato tentativo di costruire una rete di supposte relazioni che hanno scavato nella vita personale non solo degli imputati, ma anche di parenti, amici, pronipoti e persino ex mogli di vent’anni prima. Sono state analizzate le mie conversazioni telefoniche degli ultimi 5 anni. In questo periodo di tempo risulta che io sia entrato in contatto con cinque utilizzatori di Bylock e con sei soggetti collegabili a Fetö. Tutto è costruito sulla casualità. Dovremmo controllare anche i tabulati del procuratore. Ad oggi risulta che almeno un procuratore su quattro abbia avuto legami con Fetö. È assai probabile che i tabulati del procuratore che mi accusa risultino, alla luce di questo metodo assurdo, assai più sospetti dei miei”.

Atalay racconta anche di come si è ritrovato accusato di affiliazione al Pkk: “Sono stato collegato perché ho avuto contatti professionali per un anno con Erol Dora, un tempo impiegato di un’agenzia stampa ed eletto nel 2015 nelle file l’HDP (oggi coinvolto in un’altra inchiesta dell’antit[]ismo). Erol avrebbe trasferito una somma di denaro sospetta a Pervin Buldan (esponente HDP) e per questo accusato di affiliazione al PKK. Di conseguenza il procuratore mi ritiene a mia volta affiliato”.

I conti in banca sotto la lente d’ingrandimento

I disegni di Tarık Tolunay fatti durante il processo a Cumhuryet © Tarık Tolunay

I disegni di Tarık Tolunay fatti durante il processo a Cumhuryet © Tarık Tolunay

Anche i conti in banca dei giornalisti sono stati passati al setaccio. L’accusa ritiene che alcuni trasferimenti di denaro siano indicativi dei rapporti criminali degli imputati.
Önder Çelik racconta: “Una delle transizioni finanziare che mi viene contestata è un pagamento di 300 lire pagato per la riparazione della mia auto. Il conto del meccanico era intestato alla moglie, la quale ha lavorato due anni prima per un’azienda sospettata di aiutare Fetö”.

Akın Atalay invece avrebbe pagato un lavoro di carpenteria per dei pavimenti 2.500 lire turche. Il figlio del carpentiere, di nome Atilla, avrebbe poi effettuato un secondo pagamento ad un’azienda sospetta di essere parte della rete gülenista. Il procuratore perciò avrebbe collegato Atalay all’azienda gülenista per tramite di Atilla. Così sarebbe costruito l’impianto d’accusa.

I movimenti finanziari di Cumhuriyet

La fondazione che sostiene il giornale, Yenigün, è stata accusata di essere in difficoltà finanziarie e aver perciò intrattenuto rapporti economici con realtà vicine a Fetö.

La difesa ha negato queste difficoltà finanziarie, sottolineando come non ci siano procedimenti di bancarotta in corso, i salari siano regolarmente pagati, le pubblicazioni procedano e non ci siano richieste da creditori. La vendita di alcune proprietà allo scopo di estinguere debiti pregressi, che l’accusa contesta in quanto gli importi risulterebbero fuori logica di mercato, sarebbero secondo la difesa state certificate dall’apposita agenzia statale. “Se gli importi sono fraudolenti, perché chi ha certificato l’operazione non è a sua volta sotto processo?” chiedono gli avvocati. “In ogni caso, si tratta di reati finanziari che nulla hanno a che fare con il t[]ismo e quindi non di competenza della corte penale che conduce il processo”.

Akın Atalay chiarisce che “il giornale è anche accusato di transazioni finanziare sospette, per un totale di 170mila lire su un totale di 230 milioni. Si tratta di regolari pagamenti ad agenzie stampa (Cihan Haber) di cui tutti i media si servivano, o il pagamento di inserzioni pubblicitarie (Bank Asya tramite Kaynak Medya) che il giornale ha accettato cinque volte, mentre altri media hanno accettato centinaia di inserzioni. Ora queste compagnie sono risultate essere parte della rete di Gülen e perciò questo giornale, viene accusato di fare parte a sua volta della congrega.

Procura ed esperti sotto accusa

A mettere in crisi l’impianto accusatorio ci sono due elementi che la difesa contesta.

Il primo è relativo ai procuratori della repubblica. Il caso contro Cumhuriyet è stato avviato da Murat Inam, procuratore a capo delle indagini, che oggi è a sua volta alla sbarra perché ritenuto essere affiliato a Gülen e accusato di aver falsificato le indagini di casi precedenti. Tutta la difesa insiste quindi sull’illegittimità di un processo iniziato da un procuratore accusato, ma non condannato, di associazione t[]istica. I procuratori responsabili dell’atto d’accusa, dopo l’allontanamento di Inam, sono invece Mehmet Akif Ekinci e Yasemin Bal: sempre secondo la difesa questo cambio dei procuratori sarebbe un fatto insolito e sospetto per la giurisprudenza turca.

Un altro elemento che la difesa ha usato per sconfessare l’impianto accusatorio si trova nei tre esperti chiamati in causa dalla procura per avallare le accuse. Due di essi sono Ünal Aldemir e Abdullah Çiftçi: il primo si è occupato delle fonti informatiche disponibili al pubblico, il secondo delle elezioni nel consiglio amministrativo della fondazione che sostiene Cumhuriyet.

Secondo la difesa, entrambi sarebbero stati scelti esternamente alle liste previste dal codice di procedura penale. È possibile selezionare esterni alle liste in casi speciali e motivati, ma il procuratore non avrebbe ancora fornito alcuna giustificazione in merito.

Il terzo esperto, che ha indagato su eventuali crimini finanziari, rimane tutt’ora anonimo nonostante le richieste della difesa. Il procuratore avrebbe giustificato l’anonimato con la protezione da pressioni esterne, ma la difesa ha sottolineato che i report sono ormai stati realizzati e consegnati alla corte, perciò questo pericolo di pressione non avrebbe più ragione d’essere.

Akın Atalay aggiunge che “nel caso dell’esperto di informazione digitale, che ha saputo realizzare un report completo in soltanto dieci giorni, non solo il suo nome non compare sulle liste da cui la procura sarebbe tenuta ad attingere, ma è anche un volontario di un centro studi vicino al governo. Nel suo report, ha selezionato a piacimento parti del giornale per costruire una narrativa fittizia e di comodo, senza mai menzionare come il giornale abbia più volte condannato il tentato golpe militare”.

Il giornalista Mehmet Sabuncu conclude: “Questo processo diverrà famoso come pietra miliare dell’abolizione dell’autocensura, una volta che i giornalisti di Cumhuriyet saranno scagionati”. Per i giornalisti accusati, in palio c’è il tentativo del potere centrale di intimidire l’intero giornalismo d’opposizione.

Il processo Cumhuriyet proseguirà nei prossimi giorni con altri interventi della difesa e domande dei magistrati.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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