Kurdistan iracheno, la Turchia dice “no” al referendum sull’indipendenza

Il referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno è osteggiato sia da Baghdad che da Ankara. Quest’ultima lo considera una vera e propria minaccia alla sua stessa integrità territoriale

22/09/2017, Dimitri Bettoni - Istanbul

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Bandiera del Kurdistan

Mancano tre giorni al referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno, una consultazione popolare fortemente voluta dal Governo Regionale del Kurdistan (GRK) e dal suo leader Masoud Barzani.

Sebbene non abbia valore legale, ma sia una forma di consultazione della volontà popolare, il governo dell’Iraq lo osteggia perché costituirebbe una minaccia all’integrità nazionale. La Corte costituzionale irachena lo ha dichiarato illegittimo in una sentenza che richiama l’articolo 151 della costituzione. Ma i curdi leggono questo sentenza come strumentale e chiedono: “Dov’era la corte quando decine di altri articoli a nostra tutela venivano violati?”.

Anche le Nazioni Unite non vedono di buon occhio il referendum a causa delle tempistiche in un contesto di guerra ancora aperta. Il timore è che possa minare la solidità della coalizione anti Stato Islamico, anche se i curdi hanno combattuto e combattono non solo per la liberazione dal Califfato, ma anche in un’ottica di futura indipendenza.

Gli sforzi di mediazione dell’ONU non hanno portato ad alcun frutto: Barzani insiste sulla necessità di avere una consultazione referendaria che sia base delle future trattative con il governo centrale di Baghdad. L’attuale costituzione, votata e sostenuta anche dal GRK nel post-Saddam, è considerata dai Curdi fallimentare per non aver tutelato i diritti di autonomia acquisiti. Da parte irachena invece il vice primo ministro Al-Maliki insiste che ogni trattativa debba essere condotta all’interno dei confini costituzionali e senza precondizione alcuna.

Ma sono soprattutto i paesi vicini ad opporsi con maggiore veemenza al referendum: Iran e Turchia hanno esplicitato senza mezzi termini la loro contrarietà e cercano di sfruttare tutto il loro peso regionale politico ed economico per far annullare la consultazione.

La sensazione è che il referendum si farà lo stesso, anche perché Barzani si gioca la propria immagine personale di leader curdo: un’eventuale retromarcia equivarrebbe a perdere gran parte della popolarità conquistata.

Questo nonostante il clima nella regione non sia certo l’ideale per una consultazione elettorale, sia per una traballante situazione economica ed istituzionale del Kurdistan iracheno, con il parlamento locale reso inattivo da ormai due anni, sia per l’alto rischio di scontri aperti. Il referendum si terrà anche in zone non ufficialmente appartenenti al GRK ma rivendicate dal governo di Erbil, come la città di Kirkuk, dove una fortissima presenza della polizia e la conseguente militarizzazione dei seggi è stata la risposta al rischio di scontri inter-etnici, fomentati anche dalle milizie paramilitari dietro cui si celano gli stati confinanti.

Reazioni in Turchia

La Turchia osserva con crescente tensione e sembra voler mettere in campo tutte le sue risorse per far deragliare il progetto referendario. Il ministero degli Esteri ha rilasciato un comunicato dove sostiene l’imprescindibilità dell’unità territoriale dell’Iraq: “Il voler insistere con questo referendum avrà un prezzo”. Ankara teme che l’indipendenza del Kurdistan iracheno possa minare la sua stessa integrità territoriale, rinfocolando le spinte autonomiste della popolazione curda presente sul territorio turco.

Devlet Bahçeli, leader del partito della destra ultranazionalista MHP, ha dichiarato che la possibilità stessa di un Kurdistan indipendente costituisce un valido motivo di guerra. Nelle parole del leader MHP trovano spazio sia l’astio storico verso qualsiasi progetto di autonomia o indipendenza curda, sia il tema dei turcomanni in Iraq, terzo gruppo etnico del paese e concentrato proprio nel nord, con cui Ankara vanta legami storici ed etnici.

Secondo la narrativa nazionalista turca, un’indipendenza curda metterebbe a rischio la sopravvivenza turcomanna e questo autorizzerebbe la Turchia ad intervenire militarmente. Questo patrocinio della Turchia sulle popolazioni turche nei paesi confinanti (alla stessa retorica si assiste anche nello scenario siriano) non è però sempre percepita positivamente dai turcomanni stessi, che nel caso iracheno hanno più volte ribadito come il loro riferimento sia piuttosto il governo centrale di Baghdad.

Un altro elemento del referendum curdo che alimenta il dibattito in Turchia è l’appoggio esplicito a Barzani arrivato da Israele, paese che ha certamente interessi strategici nel vedere realizzata l’indipendenza del “Bashur”, nome con cui i curdi indicano il Kurdistan meridionale.

La stampa turca ostile al referendum ha ampiamente riportato la notizia e stuzzica così l’antisemitismo e l’antipatia cronica nei confronti dello stato ebraico tratteggiando un parallelismo negativo con il possibile futuro stato curdo. L’appoggio israeliano spacca però anche l’opinione pubblica curda, specialmente tra i conservatori, dove un Kurdistan sostenuto da Israele è malvisto. Non manca però chi apprezza qualsiasi sostegno al progetto dello stato curdo, indipendentemente dalla provenienza.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è espresso in prima persona contro il referendum e ha lanciato un monito a Barzani: “Quando hai bisogno bussi alla nostra porta e ottieni tutto il sostegno che ti serve… Ma quando si parla di separazione dall’Iraq, fai orecchie da mercante. Dovremo parlare con il primo ministro iracheno Al-Abadi, con cui condividiamo la medesima visione”. Una presa di posizione forte, seguita dalla decisione di schierare nuove truppe al confine turco-iracheno e autorizzare un’imponente esercitazione militare.

Il fattore Iran

Ankara flette i muscoli anche per una terza ragione, oltre alla tradizionale ostilità verso l’indipendenza curda ed il patrocinio turcomanno: il timore verso l’Iran. L’eventuale destabilizzazione dell’area potrebbe portare Teheran ad usare le proprie milizie, già presenti sul territorio iracheno nella lotta contro l’IS, per rinsaldare la sua presenza sciita in Iraq, soprattutto a Kirkuk. Un’eventualità che al governo turco, ideologicamente affine al sunnismo della Fratellanza Musulmana, non piace.

Eppure Ankara e Teheran, divise dagli intrecci di politica e religione, si ritrovano dallo stesso lato della barricata in quanto ostilità all’indipendenza curda, dato che anche l’Iran ospita un’importante minoranza curda con istinti di autonomia mai del tutto sopiti. Questa schizofrenica natura dei rapporti tra Turchia ed Iran rende lo scenario assai liquido.

Il GRK, per bocca del primo ministro Nechirvan Barzani, si è detto scettico di fronte alla possibilità di un intervento militare diretto dei due potenti vicini, perché un’opzione militare di questo tipo “non è nell’interesse dei due paesi”.

Convergenze politiche ed energetiche

Nel caso della Turchia, questo interesse riguarda soprattutto la storica alleanza con Barzani nella lotta al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che nelle montagne di Qandil del Kurdistan iracheno ha il suo centro nevralgico. Il PKK ed il KDP di Barzani, al governo nel KRG, pur uniti dall’etnia e dal comune obiettivo di un’indipendenza curda, sono schierati su posizioni politiche opposte: lo stato nazionale e tradizionale voluto da Barzani rappresenta, per il PKK come per il PYD in Siria, un []e ideologico a cui contrapporre il progetto del confederalismo democratico di ispirazione libertaria e antistatale.

Tra i due gruppi non corre buon sangue e l’alleanza Barzani-Erdoğan, al netto della querelle referendaria, è tutt’oggi solida. Lo dimostra il tentativo del KDP di mediare tra PKK e Ankara per ottenere il rilascio di due alti ufficiali del MIT (i servizi segreti turchi), catturati l’agosto scorso.

A rinsaldare ulteriormente i legami tra Kurdistan iracheno e Turchia c’è poi l’enorme afflusso di petrolio e gas che, partendo dalla regione curda, prima attraversa una Turchia di per sé affamata di energia e poi conduce verso l’ancora più lucrativo mercato europeo. Il GRK già esporta da tempo petrolio senza l’autorizzazione di Baghdad passando attraverso il confine turco, una via economica essenziale per tamponare la disastrata economia del GRK e non dipendere troppo dai trasferimenti del governo centrale, da tempo bloccati e destinati ad esserlo ancora a lungo.

Il rinnovo dell’ingente investimento della compagnia russa Rosnef per la costruzione di un importante gasdotto – che dal 2020 condurrà il gas curdo attraverso la Turchia verso l’Europa – è il simbolo di un obiettivo economico importante per entrambi i paesi, oltretutto sostenuto dal patrocinio di Mosca, che acquista così peso politico ed economico nello scenario.

Un’alleanza sottobanco?

Questi legami militari, economici e di intelligence tra Turchia e Kurdistan iracheno si cristallizzano nelle parole che Barzani spese nel 2016, quando sostenne che l’AKP è l’unico partito di governo turco che potrebbe chiudere un occhio nei confronti di un Kurdistan indipendente.

Secondo Barzani quindi, le parole di Erdoğan e lo sfoggio militare al confine non sarebbero altro che il tentativo di accontentare la retorica nazionalista turca, e di conseguenza la base elettorale che sostiene il governo di Ankara. Erbil potrebbe quindi implicitamente ottenere un non ufficiale semaforo verde alla propria indipendenza in cambio di un ulteriore espansione della collaborazione in chiave anti PKK.

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