Dentro il carcere turco di Silivri: testimonianza dal processo Cumhuriyet

L’avvocato Nicola Canestrini ha preso parte ad una delle udienze contro i giornalisti di Cumhuriyet come osservatore internazionale delle Camere Penali Italiane. Un’intervista

25/09/2017, Sofia Verza -

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La sede di Cumhuriyet - www.articolo21.org

L’11 settembre scorso alcuni membri dello storico giornale di opposizione turco Cumhuriyet sono tornati in aula. Infatti, 17 tra giornalisti, editori ed avvocati della rivista sono sotto accusa per sostegno ad organizzazioni t[]istiche armate. Nello specifico, si tratterebbe di un sostegno a FETÖ, associazione cui il governo turco imputa il tentato colpo di stato del 2016, e al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Dieci degli accusati sono in detenzione cautelare, in carcere in attesa di processo, alcuni già dal 2016. Nel frattempo, il processo contro Cumhuriyet è divenuto un simbolo dell’attacco al libero pensiero in Turchia.

OBCT ha intervistato l’avvocato Nicola Canestrini, membro delle Camere Penali Italiane e referente del progetto Endangered Lawyers (avvocati minacciati), che l’11 settembre si è recato nella prigione di Silivri, il penitenziario più grande d’Europa, a quasi 100 km da Istanbul. Qui, ha partecipato ad una delle udienze del processo Cumhuriyet come osservatore internazionale, assieme a molti altri rappresentanti di associazioni e gruppi attenti agli attacchi ai diritti umani fondamentali in corso in Turchia.

“Per la prima volta, e da qui in avanti, le Camere Penali hanno deciso di prendere parte ad un processo che non coinvolge solo avvocati” spiega Canestrini. “In questo caso inoltre, i colleghi turchi ci hanno confermato che gli avvocati non sono sotto processo per la loro attività di difensori, ma in quanto membri del consiglio di amministrazione del giornale e partecipi alla sua linea editoriale”. L’unico avvocato ancora in carcere, al momento, è proprio quello che svolgeva anche attività redazionale.

Alcuni estratti in video dell’intervista a Nicola Canestrini

Dunque, non solo avvocati che presenziano ai processi contro altri avvocati: gli osservatori italiani hanno deciso di dedicare alla Turchia un’attenzione a tutto tondo, monitorando gli attacchi ai principi fondamentali di uno stato di diritto, quali la libertà di espressione, il diritto alla difesa e la separazione dei poteri.

Chi sono gli osservatori internazionali, e che ruolo hanno di preciso?

Si tratta di avvocati, giornalisti o membri di associazioni che partecipano a certe udienze, in paesi diversi da quello di origine, per garantirne la legittimità. Si assicurano quindi che il processo si svolga regolarmente, e comunicano ai giudici e al governo del paese in questione che la comunità internazionale è attenta a quel che sta accadendo. Nel mio caso, ho svolto il ruolo di osservatore essendo presente fisicamente in aula: in altre occasioni invece scriviamo lettere, email e fax agli uffici del pubblico ministero e dei giudici. Una volta, durante il processo, il giudice ha voluto spegnere il fax per la grande quantità di comunicazioni che stava ricevendo.

Da quanto gli osservatori italiani si recano in Turchia e cosa rischiano? Ad esempio, l’avvocata Barbara Spinelli è stata respinta alla frontiera, qualche mese fa, mentre si recava lì come osservatrice.

I precursori di questa iniziativa sono stati i Giuristi Democratici, nel 2013. Io sono partito per la prima volta nel gennaio del 2016, dopo l’assassinio dell’avvocato di Diyarbakir Tahir Elçi. Partecipiamo a molte udienze: solo in questo mese di settembre, presenzieremo a una decina di processi.

Per quanto riguarda gli inconvenienti, sappiamo di poter rischiare il respingimento dal paese, l’espulsione e anche l’arresto. Non credo che essere italiano sia un deterrente a quest’ultima opzione, come dimostra il caso del giornalista Gabriele Del Grande.

Quali i rischi invece per gli avvocati che difendono i giornalisti, o altre categorie particolarmente osteggiate in Turchia oggigiorno? Accade, ad esempio, che i difensori vengano identificati con i reati del proprio cliente?

Si, accade. Sempre più spesso gli avvocati che difendono le migliaia di accusati di t[]ismo in Turchia vengono a loro volta indagati per favoreggiamento o complicità ad un reato di natura t[]istica. Più in generale però, questa non è un’operazione portata avanti solo dai giudici, e non avviene solo in Turchia. Si, qui ricevono delle minacce legali concrete, ma anche in Italia – ad esempio – l’opinione pubblica tende ad identificare l’avvocato con il suo assistito. Se difendi un presunto stupratore, significa che condividi il suo gesto, anche ideologicamente parlando. Non è un’associazione logica superata, in molti contesti.

In concreto, nel corso del processo Cumhuriyet, quali sono stati gli argomenti dell’accusa?

Tra le altre cose, sono stati sentiti i testimoni dell’accusa: si tratta di ex collaboratori del giornale che hanno dichiarato di non leggere più Cumhuriyet, perché la sua linea editoriale è cambiata e non ne condividono più i contenuti. L’accusa ha voluto desumere che c’è stata un’effettiva svolta nella linea editoriale, desumendo poi anche che dev’essere stata a favore delle due associazioni presunte t[]istiche. Sono salti (logici) grossi dal punto di vista giuridico: innanzitutto, si considera che il cambio di linea editoriale possa essere un reato, e poi bisogna chiedersi se la linea editoriale di per sé possa essere un crimine.

Per quanto riguarda poi l’argomento dell’accusa secondo il quale aver scaricato o utilizzato l’applicazione per inviare messaggi criptati, ByLock, proverebbe l’appartenenza a queste associazioni, anche questo non regge: non è una prova sufficiente. Chiunque può scaricare un’applicazione e desiderare segretezza per svariati motivi.

Alcune accuse agli imputati sono state aggiunte al loro fascicolo solo pochi giorni prima dell’udienza. Gli avvocati, di conseguenza, sono stati impossibilitati a preparare una difesa adeguata. Quali sono gli ostacoli per gli avvocati e per il diritto alla difesa in Turchia, quando si è accusati di t[]ismo?

Innanzitutto, durante i colloqui tra imputato e difensore, in carcere, c’è sempre una terza persona e tutto viene videosorvegliato. Inoltre, gli accusati hanno un limite numerico di avvocati che possono scegliere (tre), il pubblico ministero può esprimere il suo parere sull’avvocato della difesa, e se necessario può cambiarlo. Infine, il difensore non è più libero di accedere al carcere. Per entrare è necessaria una particolare autorizzazione, e su questo il ministro della Giustizia turco è stato chiaro: lui non è garante dei diritti dei detenuti.

 

Il 12 settembre, 10 avvocati appartenenti all’ HHB (Ufficio Legale del Popolo), nonché difensori degli insegnanti Nuriye e Semih – in carcere da quattro mesi e in sciopero della fame da sei mesi – sono stati arrestati. Altre associazioni di avvocati, come il ÇHD (Associazione degli avvocati progressisti) e l’OHD (Avvocati per la Libertà) sono state chiuse dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, che si protrae da più di un anno. L’udienza dell’11 settembre contro i giornalisti di Cumhuriyet si è conclusa con un nulla di fatto. I dieci imputati in detenzione cautelare sono rimasti in carcere, e gli altri sette imputati sono ancora in attesa di giudizio. La prossima udienza è oggi lunedì 25 settembre.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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