Titografie
Quante vie e piazze sono ancora dedicate, negli stati nati dalla disgregazione jugoslava, a Jozip Broz Tito? Un commento
I nomi di vie e piazze accompagnano l’esperienza collettiva quotidiana dei cittadini. Tanto spesso ignorati, dimenticati o reinterpretati nei loro significati originari, quanto spesso al centro di dibattiti e controversie. Il recente caso di Piazza Tito a Zagabria è solo uno dei numerosi esempi.
Nei paesi che hanno vissuto l’esperienza socialista è il rapporto con il recente passato ad essere in molti casi al centro dell’attenzione. Tra quelli che hanno condiviso l’esperienza jugoslava, la figura del leader che guidò la federazione per trentacinque anni resta probabilmente la più dibattuta. Ulteriore conferma della diffusa sensibilità sul tema è l’attenzione rivolta dai media sud-est europei alla recente mappatura delle vie oggi dedicate al leader jugoslavo elaborata da Giorgio Comai OBCT. Un lavoro prezioso che, grazie all’accorpamento di dati su larga scala, permette uno sguardo di ampiezza inedita e offre numerosi spunti.
Spazio pubblico urbano
Lo spazio pubblico urbano è un potente trasmettitore di significati politici e rappresentativi: cambiare i nomi di vie e piazze rappresenta il metodo più rapido (ed economico) per cercare di influenzarli. In epoca jugoslava, la maggior parte dei centri abitati del paese sfoggiava almeno una piazza o una via dedicata al Maresciallo Tito. Nelle diverse repubbliche, alcune città avevano perfino integrato Tito nel proprio nome: da Titograd a Titovo Užice, da Titova Korenica a Titov Veles. La fine del socialismo e la dissoluzione del paese portarono via una dopo l’altra tali denominazioni. Stessa cosa accadde per le principali arterie delle nuove capitali nazionali: via Maresciallo Tito scomparve a Lubiana e a Belgrado, stesso destino conobbe piazza Maresciallo Tito a Skopje. Una via e una piazza sopravvissero invece rispettivamente nella Sarajevo dilaniata dal conflitto e nella Zagabria della riconciliazione nazionale del Presidente Tuđman.
La questione riguardava tuttavia centinaia di paesi e le città. Le tracce del passato socialista non vennero cancellate dal giorno alla notte e i paesaggi urbani rappresentano tutt’oggi luoghi di confronto e di rielaborazione. In molti casi, il rapporto è condizionato o piegato alle esigenze delle nuove narrazioni nazionali, in altri quel passato è difeso da chi continua a considerarlo un riferimento importante anche per il presente.
Siamo spesso abituati a guardare alle politiche della memoria come qualcosa di centralizzato, calato dall’alto, emanato dal vertice politico della struttura statale. Studiando le mappe di “Finding Tito ” è possibile spostare l’attenzione dal fenomeno su larga scala ai contesti locali, alle realtà regionali o cittadine. La toponomastica è quasi sempre affare delle amministrazioni e delle comunità locali, che rivelano le difformità di un processo non sistematico. Sono numerosi i casi che meriterebbero di essere approfonditi.
Cercando Tito
Esplorando la mappa, l’attenzione viene inevitabilmente attirata dalla situazione della Vojvodina. La regione autonoma della Serbia è disseminata di markers che indicano la presenza di vie intitolate al Maresciallo. In un territorio dove convivono decine di gruppi nazionali diversi, la “fratellanza e unità” di epoca titina viene spesso considerata un riferimento ancora attuale. Approfondendo lo sguardo si nota come le città più grandi abbiano sostanzialmente seguito il destino del resto del paese: Novi Sad, Zrenjanin, Pančevo, Sremska Mitrovica, Sombor, Kikinda, si presentano senza richiami al leader jugoslavo (fa eccezione Subotica). Tito rimane invece straordinariamente presente nei centri minori e nei paesi, luoghi dove il processo di revisione è risultato molto più lento, grazie a una minore esposizione alle attenzioni “etnificanti” della politica della memoria ufficiale.
Un’altra regione che si distingue per la peculiare concentrazione è l’Istria (e il Quarnero), dove Tito è ancora presente soprattutto nei nomi delle vie, delle piazze e dei parchi nelle città costiere come Capodistria, Pola, Umago, Cittanova, Rovigno, Parenzo e Fiume. Qui, le ragioni possono essere diverse. In primo luogo, Tito è considerato il fautore della riunificazione dei suddetti territori alla Croazia (nell’ambito della federazione jugoslava) dopo la Seconda guerra mondiale. Inoltre, la regione è stata contraddistinta anche dopo gli anni Novanta da un orientamento politico (regionalista o socialdemocratico), distante da quello della destra croata revisionista che nella maggior parte dei casi promuove la rimozione dei simboli del passato socialista.
Muovendo invece lo sguardo verso la Lika e la Dalmazia si perde quasi ogni traccia del Maresciallo. Nel 2015 anche Sebenico, ultima tra le grandi città, ha rinunciato alla propria poljana Maršala Tita. Si tratta di zone particolarmente coinvolte dal conflitto degli anni Novanta. Ai tempi della Repubblica serba di Krajina le amministrazioni separatiste si impegnarono a ridefinire la toponomastica per esaltare la “serbità” del territorio, mentre un’operazione parallela veniva condotta nelle zone sotto il controllo di Zagabria. Nel 1995, la riconquista da parte croata dei territori sotto il controllo serbo non riportò quindi indietro le lancette del tempo. In questo processo di doppia cancellazione, la mappa sembra rivelare l’eccezionalità del piccolo centro di Donji Lapac, unico in questa parte del paese a conservare tutt’oggi la propria Via Maresciallo Tito.
Dinamiche simili hanno contraddistinto il Kosovo, un altro territorio nel quale le tormentate vicende dell’ultimo decennio del XX secolo hanno cancellato il nome di Tito dalla toponomastica. Lo illustra al meglio il caso della vecchia “Maršala Tita” di Pristina, importante via pedonale del centro cittadino. Divenuta Vidovdanska nei primi anni Novanta, in ricordo del giorno di S.Vito e della battaglia di Kosovo Polje – mito nazionale serbo – venne rinominata Boulevard Madre Teresa dopo il conflitto del 1999, in onore della celebre religiosa, nata a Skopje da una famiglia di origini albanesi-kosovare.
In Bosnia Erzegovina, l’affermazione dell’appartenenza nazionale della Republika Srpska ha portato da tempo alla scomparsa dei riferimenti a Tito all’interno dei confini dell’entità governata da Banja Luka. Rimangono le significative eccezioni di Srebrenica e Kozarac, luoghi tragicamente segnati dalla guerra, contraddistinti dalla significativa presenza della comunità bosgnacca e al centro dell’attenzione degli osservatori internazionali. Nell’altra entità del paese, la Federazione, il Maresciallo mantiene ancora il proprio ruolo nelle principali città “multietniche” come Sarajevo, Mostar, Tuzla, Zenica, (tra le maggiori, fa eccezione Travnik), nei cantoni più densamente popolati di Tuzla e Zenica-Doboj, mentre sembra avere quasi totalmente abbandonato le zone più rurali.
La sostanziale presenza a macchia di leopardo che contraddistingue il territorio macedone riflette ampiamente il contesto politico del paese, attraversato da atteggiamenti divergenti rispetto alla memoria di Tito e dell’esperienza jugoslava. Fu in epoca socialista che la Macedonia vide riconosciuti per la prima volta i propri confini, le proprie istituzioni e l’identità nazionale macedone. Convivono tuttavia percezioni che ribaltano questa visione e che insistono sulla necessità di una totale rottura con quell’esperienza. Le contraddizioni che dividono la società e i partiti principali si ripropongono a livello locale, condizionando la toponomastica.
Ritorni
Ciò di cui “Finding Tito” non può tuttavia parlarci è la profondità storica del fenomeno e le diverse fasi della politica della memoria nei paesi della regione. Se da una parte illustra con grande efficacia i risultati di quella che uno studioso che si è occupato a lungo del tema – Srđan Radović – chiama “decommemorazione”, non rileva i processi nell’altra direzione: la “ricommemorazione” o i “ritorni” di Tito
Il caso di Lubiana, ad esempio, testimonia una volta di più il rapporto oscillante con il passato jugoslavo che attraversa la società slovena. Via Maresciallo Tito, ovvero la principale arteria cittadina in epoca jugoslava, cambiò nome già nel 1991. Nel 2009, tuttavia, l’amministrazione locale dedicò a Tito una nuova lunga via che dalla periferia cittadina porta in direzione del centro. La decisione risultò molto controversa e appena un paio di anni più tardi – in seguito ai ricorsi di alcuni cittadini – la Corte costituzionale slovena dichiarò incostituzionale il riferimento al Maresciallo in quanto simbolo di un sistema totalitario, repressivo dei diritti umani e delle libertà.
Anche il lungo viale Josip Broz Tito a Podgorica è frutto di sviluppi recenti. La città, rinominata Titograd nel 1946, non aveva in epoca socialista una via dedicata a Tito. Quella che si trova oggi sulle mappe della capitale montenegrina è frutto di una ri-commemorazione di metà anni 2000. In altri casi, la revisione della toponomastica ha riconosciuto l’importanza storica del personaggio, preferendo però sostituire l’enfatico “via Maresciallo Tito” dei tempi jugoslavi con un più laico via Josip Broz Tito. Il paese natale del leader jugoslavo, Kumrovec, ha rinunciato perfino al celebre soprannome, dedicando semplicemente la via al concittadino Josip Broz: circostanza che ha finito per ingannare anche l’interrogazione al database di Google maps.
Queste dinamiche evidenziano quanto la disputa pubblica sulla figura di Tito e più in generale su tutto il periodo socialista resti aperta – per quanto discussa con toni diversi – nei diversi paesi della regione. La stessa intitolazione dell’ex Piazza Tito a Zagabria è stata nel corso degli anni più volte sostenuta, contestata e approvata, prima della recente rimozione. La questione sembra tutt’altro che chiusa, visto che non sono pochi coloro che hanno promesso di impegnarsi per riportare il nome del Maresciallo in quello che pensano sia il posto che merita.
Consigliati dall’autore:
Un libro: Srđan Radović, Grad kao tekst , Bibiloteka XX vek. Belgrado, 2013.
Un documentario: Nestanak heroja / Disappearance of Heroes di Ivan Mandić
(Serbia, 2009)