Serbia: ancora nessuna chiarezza sul caso Savamala

Demolizioni nel cuore di Belgrado, proseguite per ore, con le autorità che affermano di non essere a conoscenza di nulla. A più di un anno di distanza rimangono ancora ignoti i nomi di chi è coinvolto nel cosiddetto "Caso Savamala"

18/10/2017, Bojana Jovanović, Milica Vojinović - Belgrado

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Illustrazione KRIK

(Originariamente pubblicato dal portale di giornalismo investigativo KRIK , il 2 ottobre 2017)

Uomini mascherati che fermano i passanti; ruspe sprovviste di targhe che demoliscono arbitrariamente edifici di proprietà privata; la polizia che si rifiuta di rispondere alle chiamate dei cittadini che le chiedono di intervenire. Sono i momenti salienti di uno sconcertante episodio avvenuto a Belgrado nella notte delle elezioni parlamentari anticipate dell’aprile 2016, quando è stata rasa al suolo una parte del quartiere storico di Savamala.

Sconvolta da questo atto criminoso, l’opinione pubblica serba ha chiesto che venisse resa nota l’identità degli organizzatori dell’accaduto. Sul caso è intervenuto anche il Parlamento europeo che, sottolineandone la gravità, ha sollecitato le autorità serbe a risolverlo al più presto.

In un primo momento né la polizia né la procura di Belgrado hanno attribuito molta importanza all’episodio, aspettando che passassero dieci giorni prima di cominciare ad agire. La reazione tardiva della polizia le ha precluso ogni possibilità di effettuare un sopralluogo, perché nel frattempo l’amministrazione comunale ha provveduto alla rimozione delle macerie degli edifici distrutti e al lavaggio delle strade.

Al termine dell’indagine, durata più di un anno, la polizia ha consegnato alla procura un rapporto che riassume quanto scoperto.

Un rapporto deludente.

La polizia non solo non è riuscita a stabilire chi abbia ordinato e organizzato l’operazione di demolizione, ma non è stata in grado nemmeno di rintracciare i meri esecutori della stessa: non ha svelato quindi l’identità degli uomini mascherati che tenevano sequestrati i cittadini mentre veniva attuata la demolizione, né tanto meno ha scoperto a quale ditta appartengono le ruspe usate per l’intervento.

Stando a questo rapporto, di cui KRIK è venuto in possesso, le indagini della polizia avrebbero scoperto meno di quanto l’opinione pubblica già sapeva grazie alle rivelazioni dei giornalisti.

Gli ispettori della divisione per la lotta alla criminalità economica della Direzione centrale della polizia criminale di Belgrado hanno ascoltato 16 testimoni, hanno visionato alcune videoregistrazioni dell’accaduto e hanno raccolto dati relativi al traffico telefonico, senza però analizzarli. Hanno inoltre chiesto alle aziende municipalizzate che in qualche modo erano coinvolte nella demolizione di fornire chiarimenti in merito.

Quelli invece che invece si erano espressi pubblicamente relativamente ai responsabili della demolizione non sono mai stati ascoltati dalla polizia. Così non si è ritenuto opportuno sentire il presidente Aleksandar Vučić che qualche settimana dopo il controverso episodio aveva dichiarato che dietro a quello che è successo vi erano i vertici dell’amministrazione comunale. Né tanto meno è stata ascoltata l’ex moglie del sindaco di Belgrado Siniša Mali che, in un’intervista rilasciata a KRIK nel febbraio di quest’anno, ha raccontato che egli stesso le aveva detto di aver organizzato la demolizione.

Benché il rapporto di polizia non abbia fornito risposte ai principali interrogativi sul caso Savamala, alcuni dettagli in esso contenuti suggeriscono che si è trattato di un’operazione ben orchestrata, nella quale hanno evidentemente avuto un ruolo anche le aziende municipalizzate della capitale. Perché senza il loro aiuto gli uomini mascherati e le ruspe non avrebbero potuto accedere all’area in questione, né sarebbe stato possibile spegnere l’illuminazione pubblica per far sì che l’intera operazione attirasse meno attenzione.

Alcuni testimoni, i cui nomi sono stati oscurati nella copia del rapporto consegnata a KRIK, hanno riferito che a un certo punto l’illuminazione pubblica in via Hercegovačka è saltata e che la polizia municipale aveva rimosso un veicolo che bloccava il passaggio alle ruspe. È inoltre emerso che quella notte, diversamente dal solito, l’azienda municipalizzata “Gradska čistoća” non aveva effettuato il servizio di lavaggio in via Hercegovačka. Vi sono alcuni indizi che suggeriscono anche un coinvolgimento del consiglio comunale.

Il contenuto del rapporto di polizia è stato tenuto nascosto all’opinione pubblica per mesi.

KRIK ha chiesto di poter visionare questo documento richiamandosi alla Legge sull’accesso alle informazioni di pubblico interesse. In un primo momento la procura si è rifiutata di consegnarlo, e solo a seguito dell’intervento del Commissario per le informazioni di pubblico interesse Rodoljub Šabić una copia del rapporto è stata inviata ai giornalisti di KRIK.

Di seguito riportiamo i punti chiave del documento.

Il custode immobilizzato

La polizia ha effettuato colloqui con i testimoni oculari soltanto dieci giorni dopo l’accaduto. Alcuni di loro hanno detto di non ricordare tutti i dettagli di quello a cui avevano assistito.

Un custode, incaricato della sicurezza di alcuni edifici in via Hercegovačka che sono stati distrutti quella notte, ha raccontato che intorno alle due del mattino nel giardino “hanno fatto irruzione tre uomini mascherati, dicendogli di uscire dalla guardiola e di seguirli”. Si sono poi impossessati del suo cellulare, dopodiché, come si legge nel rapporto, “è stata distrutta la guardiola fino a poco prima occupata dal custode”, che “in quell’occasione ha visto tre ruspe demolire gli edifici circostanti […] Ha visto anche una ventina di uomini mascherati posizionarsi intorno all’edificio dell’azienda ‘Iskra ogrev’”.

Poco dopo le tre del mattino gli uomini mascherati se ne sono andati, intimando al custode di non chiamare nessuno per altri dieci minuti.

In base ad alcuni dati contenuti in questa testimonianza, i giornalisti di KRIK hanno constatato che si tratta del custode Slobodan Tanasković, deceduto a poco più di un mese di distanza dalla notte delle demolizioni.

Tanasković è morto in ospedale pochi giorni dopo essere stato ricoverato con sintomi di pre-infarto. Una parte dell’opinione pubblica sospettava che la sua morte fosse legata a quel controverso episodio, ma il ministro della Salute Zlatibor Lončar ha smentito tale ipotesi, dicendo che al paziente “non è stato arrecato alcun danno”.

Prima di finire in ospedale, Tanasković ha più volte rilasciato dichiarazioni ai media, raccontando che gli uomini mascherati lo tenevano immobilizzato. Di questo non vi è alcuna menzione nel rapporto della polizia.

Miloš Đorđević, che quella notte suonava in uno dei locali della zona, il “Sava mali”, ha dettagliatamente raccontato alla polizia come gli uomini mascherati lo hanno fermato mentre stava caricando l’attrezzatura nella sua macchina parcheggiata in via Hercegovačka.

“È stato avvicinato da tre uomini con dei passamontagna in testa che gli hanno ordinato di seguirli verso un cartellone che reclamizzava ‘Belgrado sull’acqua’. Dietro al cartellone c’erano già altre persone portate da uomini mascherati. In tutto c’erano circa una ventina di uomini mascherati. A un certo punto una ruspa ha cominciato a demolire gli edifici situati alle spalle del testimone, che non ha potuto vedere da dove è arrivata perché aveva la testa girata verso il cartellone e ripiegata in basso […] Durante la demolizione gli uomini mascherati interrogavano i cittadini raggruppati dietro al cartellone su che lavoro facessero, impossessandosi dei loro cellulari”, si legge nel rapporto.

Anche altri testimoni hanno raccontato una versione quasi identica dei fatti, facendo pian piano emergere dettagli che suggeriscono che gli esecutori della demolizione godevano dell’appoggio delle aziende municipalizzate di Belgrado.

Servizio parcheggi

Uno dei testimoni, guardiano notturno del lungofiume, ha raccontato di essere stato avvicinato da un uomo che, presentandosi come addetto alla sicurezza del cantiere ‘Belgrado sull’acqua’, gli aveva chiesto di spostare una macchina parcheggiata nei pressi della kafana “Savanova”, sulla strada che portava al cantiere. Gli aveva inoltre detto che sarebbe arrivato un carro attrezzi per rimuovere un’altra macchina, parcheggiata all’inizio di via Hercegovačka, cosa effettivamente avvenuta.

“Una volta andato via il carro attrezzi, sono arrivate alcune macchine dalle quali sono scesi una decina di uomini, senza passamontagna in testa, e si sono allontanati in direzione di via Hercegovačka”, ha raccontato il testimone, aggiungendo: “Poi sono passate le ruspe, provenienti dalla direzione del cantiere ‘Belgrado sull’acqua’ e dirette verso la via Hercegovačka”.

Dall’azienda municipalizzata “Parking servis” hanno confermato alla polizia che quella notte hanno provveduto alla rimozione di un veicolo che bloccava l’ingresso in via Hercegovačka. Così facendo, hanno lasciato libero il passaggio alle ruspe, ma stando alle loro parole, hanno fatto solo il loro lavoro.

Come si legge nel rapporto, “hanno precisato che l’area in questione è oggetto di regolari controlli e sopralluoghi in quanto ospita numerosi locali notturni, e che spesso si rende necessario un intervento”.

Il custode dell’edificio di Geozavod, situato all’inizio di via Hercegovačka, ha fornito alla polizia ulteriori informazioni su quanto accaduto quella notte. Stando alla sua testimonianza, l’imbocco della strada era rimasto bloccato dai camion per tutto il tempo della demolizione.

“Erano parcheggiati in modo tale da bloccare il traffico nel tratto compreso tra la rotatoria e la stazione degli autobus ‘Lasta’. Ricorda che i camion erano sprovvisti di telone, ma non riesce a ricordare se avevano qualche scritta né i numeri delle targhe”.

Anche il sopracitato Miloš Đorđević ha raccontato alla polizia che via Hercegovačka era chiusa.

Quando gli uomini mascherati lo hanno lasciato andare, si è accorto che la ruspa stava ancora demolendo e che l’uscita di via Hercegovačka era bloccata dai camion. A quel punto è stato avvicinato da tre uomini senza passamontagna che gli hanno indicato un’altra via da prendere.

“Gli individui in questione non portavano alcun distintivo ed erano vestiti in maniera normale. Uno era alto, calvo, con una piccola barba, grande di statura, mentre degli altri due non ricorda niente, non avevano nessuna caratteristica particolare”.

Problemi con la videosorveglianza

È curioso che quella notte la maggior parte delle telecamere di sorveglianza installate sugli edifici circostanti l’area interessata dalla demolizione abbiano smesso di funzionare.

Stando a quanto raccontato alla polizia dal vicedirettore dell’azienda di autotrasporti “Lasta”, le telecamere installate all’ingresso della stazione degli autobus non funzionavano perché due mesi prima, a causa del previsto spostamento della stazione, era stata spenta una parte dell’impianto di videosorveglianza.

Anche il custode della stazione ha detto che le telecamere di sorveglianza che riprendono una parte di via Hercegovačka non funzionavano, per cui sui monitor in portineria non poteva vedere la demolizione.

Questa circostanza si è rivelata particolarmente sfavorevole, perché la stazione degli autobus “Lasta” si trova esattamente di fronte alla zona interessata dalla demolizione.

Un impiegato dell’azienda “Simpo”, i cui uffici si trovano all’inizio di via Hercegovačka, ha raccontato agli agenti di polizia che “il sistema è andato in crushdown e che i video ripresi dalle telecamere di sorveglianza sono andati persi”.

“Ha inoltre precisato di non avere alcun archivio di videoregistrazioni. Nel corso del colloquio ci ha spiegato che le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza vengono conservate per 28 giorni”, si legge nel rapporto.

Tuttavia, alcuni filmati dell’accaduto sono stati recuperati.

Quattro giorni dopo i fatti, i giornalisti di KRIK sono riusciti a venire in possesso di alcuni video delle telecamere posizionate su uno degli edifici della zona che hanno registrato l’intero episodio. La polizia ha chiesto di avere i video in questione soltanto venti giorni dopo la loro pubblicazione sul sito di KRIK.

Come precisato nel rapporto, gli agenti di polizia “hanno provato a ‘filtrare’ il materiale video al fine di ottenere una migliore resa di filmati e immagini, per poter estrarre dati su macchinari e persone coinvolte nella demolizione, ma non ci sono riusciti per via della scarsa qualità delle registrazioni”.

Tuttavia, prosegue il rapporto, ne hanno tratto qualche conclusione.

“In uno dei filmati si vede come le macchine da cantiere prima abbiano demolito la parte interna, ovvero gli edifici che non si affacciavano direttamente sulla strada”, dopodiché sono state abbattuti gli edifici adiacenti al marciapiede. “Nel video si vedono anche alcune persone ignote che perlustrano la zona in questione, vigilando sui lavori di demolizione”.

Questi filmati sono stati consegnati alla procura insieme al rapporto.

Buio in via Hercegovačka

Oltre alle telecamere di sorveglianza, quella notte ha smesso di funzionare anche l’illuminazione pubblica. A un certo punto si è improvvisamente spenta, per cui la demolizione avveniva al buio completo.

Come affermato nel rapporto della polizia, nei filmati recuperati da KRIK si vede che all’inizio della demolizione l’illuminazione in via Hercegovačka era accesa.

“Ad 1 ora e 43 minuti della registrazione l’illuminazione stradale comincia a spegnersi, prima un lampione e poi tutti gli altri”, si legge nel rapporto.

Un impiegato della stazione degli autobus ha detto alla polizia che il buio in via Herzegovačka era una circostanza “strana”.

“Ha inoltre notato che quella sera via Hercegovačka non è stata pulita, anche se il servizio di lavaggio veniva effettuato ogni giorno alla stessa ora”.

Anche altri testimoni hanno riferito che l’illuminazione stradale si era spenta, ragione per cui la polizia ha chiesto spiegazioni all’azienda municipalizzata “Elektrodistribucija”.

Nella risposta dell’azienda si afferma che “non era prevista alcuna interruzione, finché non è arrivata una segnalazione tramite il collegamento in diagonale con la città”. Il rapporto non chiarisce tuttavia cosa questo significhi.

Dall’Elektrodistribucija hanno inoltre precisato che alle cinque e mezzo del mattino hanno ricevuto una segnalazione dalla polizia riguardante un trasformatore caduto in terra sotto il ponte Gazela. Dopo aver effettuato un sopralluogo hanno constatato che i cavi della “rete elettrica che alimenta gli edifici in vie Hercegovačka e Mostarska erano stati tranciati”.

La polizia ha raccolto dati relativi al traffico telefonico effettuato nella zona di Savamala nella notte delle demolizioni, ma non li ha analizzati. Nel rapporto viene precisato che, dal momento che si tratta del centro città dove ci sono numerose centraline telefoniche e molti utenti, non avrebbe alcun senso avventurarsi in analisi.

“I risultati delle misurazioni effettuate sulle centraline telefoniche hanno dimostrato la presenza di numerose celle telefoniche nell’area in questione, dal che si desume che quella notte un ingente numero di utenti aveva generato il traffico telefonico”.

Demolizioni sotto “Gazela”

La demolizione degli edifici di proprietà privata nel quartiere di Savamala non è l’unica ad essere avvenuta quella notte.

Nel rapporto di polizia è riportata anche la testimonianza di un custode incaricato della sicurezza degli edifici appartenenti all’azienda “Toplica trans” situati sotto il ponte Gazela, sulla riva opposta della Sava rispetto al cantiere “Belgrado sull’acqua”.

Il custode ha raccontato alla polizia che intorno alle due del mattino ha visto arrivare alcune macchine nere, con vetri oscurati, sprovviste di targhe, dalle quali è sceso un gruppo di uomini mascherati.

“In tutto erano 10 o 12. Lo hanno fatto uscire dalla guardiola, si sono impossessati del suo cellulare e, dopo aver rimosso la scheda, glielo hanno restituito. Poi è arrivata una ruspa che prima ha distrutto l’edificio del club ferroviario, e poi anche gli uffici dell’azienda ‘Toplica trans’. Prima di abbatterli, gli uomini mascherati hanno forzato l’ingresso degli uffici, intimando al custode di allontanarsi senza volgersi indietro né fermarsi da nessuna parte”.

Il custode è andato direttamente alla polizia, la quale è arrivata sul luogo dell’accaduto poco dopo le quattro del mattino, quando ormai tutto era distrutto e gli uomini mascherati e le ruspe già spariti.

“Millennium team”

Dal momento che uno dei testimoni ha raccontato che le ruspe erano arrivate in via Hercegovačka dalla direzione del cantiere “Belgrado sull’acqua”, era logico che la polizia sentisse i rappresentanti dell’azienda "Millennium team", esecutrice dei lavori di costruzione di questo faraonico progetto.

Uno dei comproprietari di “Millennium team”, Ivan Bošnjak, è un amico del sindaco di Belgrado Siniša Mali.

I rappresentanti dell’azienda hanno smentito qualsiasi coinvolgimento nella controversa demolizione, affermando che quella notte “non c’era nessuna attività né venivano eseguiti lavori, e le macchine edili non si allontanavano dal cantiere”.

Non hanno però potuto fornire alcuna prova a sostegno di tali affermazioni perché, come sostengono, il cantiere non dispone di nessun impianto di videosorveglianza.

Ricordiamo che tutti gli edifici distrutti quella notte sorgevano nell’area dove si sta costruendo il complesso “Belgrado sull’acqua”.

La polizia ha raccolto informazioni sulla proprietà degli edifici demoliti, verificando se si trattava di fabbricati abusivi o meno. Ha inoltre parlato con i proprietari delle aziende i cui uffici sono stati distrutti, chiedendo anche all’Ufficio del catasto di fornirle dati pertinenti.

Uno dei proprietari dell’azienda “Iskra”, i cui locali sono stati distrutti, ha raccontato che la mattina successiva alla demolizione ha parlato con i poliziotti della stazione di Savski venac, i quali gli hanno detto che “ad occuparsi dell’intervento di demolizione sono la polizia comunale, l’ispettorato edilizio e il consiglio comunale”.

L’inerzia della polizia

Uno degli aspetti più controversi dell’intera vicenda riguarda l’inazione della polizia. Quando quella notte alcuni cittadini hanno chiamato la polizia per denunciare di aver assistito alle demolizioni e ai maltrattamenti dei passanti, quest’ultima si è rifiutata di intervenire, e nessuna pattuglia è stata mandata in via Hercegovačka.

L’allora Difensore civico Saša Janković ha effettuato una verifica dell’operato della polizia in quell’occasione, al termine della quale ha redatto un rapporto che contiene anche le trascrizioni delle chiamate fatte dai cittadini alla polizia. Come emerge da queste trascrizioni, gli operatori di turno si sono rifiutati di accogliere le denunce dei cittadini, inoltrando le loro chiamate alla polizia comunale, con la precisazione che tale ordine è arrivato "dai vertici della polizia".

La procura ha chiesto al Servizio di controllo interno del ministero dell’Interno di svolgere un’indagine sull’operato della polizia nella notte delle demolizioni. A tutt’oggi non si sa nulla sullo stato di avanzamento di questa procedura, né se essa sia stata effettivamente avviata.

Nel rapporto di polizia di cui KRIK è venuto in possesso si precisa che gli ispettori incaricati delle indagini sul caso Savamala hanno chiesto spiegazioni alla polizia comunale. Nella riposta fornita da quest’ultima, si afferma che nella notte delle demolizioni hanno ricevuto due chiamate da parte di un cittadino, al quale è stato spiegato che i fatti denunciati non rientravano nella competenza delle polizia comunale, invitandolo a rivolgersi alle autorità preposte.

“È stato inoltre precisato che le pattuglie della polizia comunale non hanno effettuato alcun intervento in via Hercegovačka”.

Indagini senza risultati

Quanto sopra esposto è praticamente tutto quello che la polizia è riuscita a scoprire sul caso Savamala in più di un anno di indagini.

Nel giugno di quest’anno, il rapporto finale delle indagini è stato consegnato alla procura di Belgrado, che in base ad esso doveva decidere se avviare o meno un procedimento penale.

Dopo aver analizzato il rapporto, la procura di Belgrado si è dichiarata incompetente, sostenendo che si trattasse di reati di competenza dell’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale ordinario di Belgrado, preposto all’accertamento di illeciti per i quali sono comminate sanzioni meno gravi.

Quello che la procura ha omesso di rilevare, e che emerge chiaro dal rapporto della polizia, è che quest’ultima non ha minimamente indagato sui retroscena della controversa demolizione, ovvero sui suoi organizzatori e scopi.

Resta ignoto perché la polizia non abbia convocato per un colloquio quelli che hanno pubblicamente dichiarato di sapere chi aveva organizzato la demolizione, ovvero il presidente della Repubblica Aleksandar Vučić e l’ex moglie del sindaco di Belgrado Marija Mali.

Ricordiamo che, a un mese e mezzo di distanza dalla demolizione, il presidente Vučić ha dichiarato che dietro a quanto accaduto a Savamala stanno i più alti organi dell’amministrazione di Belgrado, senza però rivelare l’identità dei diretti responsabili, limitandosi a definirli “completi idioti”. Ha inoltre aggiunto che i dati di cui dispone provengono dalle indagini della polizia, e che sarà la procura a valutare se sussistono o meno gli estremi di un reato penale.

Marija Mali è stata più precisa, spiegando, in un’intervista rilasciata a KRIK nel febbraio di quest’anno, che quell’"alto funzionario dell’amministrazione comunale” è in realtà il suo ex marito che si è vantato con lei di aver organizzato la demolizione.

“Siniša aveva il compito di ripulire quell’area, perché aveva concluso un affare con gli investitori arabi per costruirvi ‘Belgrado sull’acqua’. Mi ha raccontato quello che è successo come se fosse la cosa più naturale del mondo. ‘Ho avuto un problema, alcuni non volevano sloggiare. Ho organizzato un’azione per fare piazza pulita. Gli uomini sono arrivati in piena notte e hanno distrutto qualche edificio. Non ho fatto niente di male’. Stando alle sue parole, si è trattato di alcune baracche, capanne”, ha raccontato Marija Mali ai giornalisti di KRIK.

Dopo che la polizia aveva consegnato il suo rapporto alla procura, Siniša Mali ha dichiarato di esserne rallegrato e di sperare che, nel caso il suo nome non dovesse apparire nel rapporto, i giornalisti gli chiederanno scusa. Non è dato sapere se Mali in quel momento fosse a conoscenza del contenuto del rapporto.

Ad ogni modo, resta il fatto che le indagini della polizia hanno contribuito poco o nulla a fare chiarezza sui retroscena di questo caso. Pertanto i nomi dei responsabili delle demolizioni rimangono ancora ignoti.

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